sopportare passivamente la costante fissità dello sguardo di Moorash. Sophia aveva sempre dovuto combattere una segreta disapprovazione per l'eccentrico amico del fratello. Dopo il fallimento della proposta di matrimonio, si convinse che era stato Moorash il vero responsabile del rifiuto di Elizabeth. Col fratello non condivideva neppure l'entusiasmo per la pittura di Moorash: Sophia osservava i quadri con sgomento e crescente disgusto, a essi preferendo i ritratti così ricchi di dettagli e così elegantemente precisi di Chester Calcott ed Edward lngham Vail. Le sedute cominciarono il 3 luglio e continuarono per più di una settimana fino a quando Sophia non vi pose fine. Sembra che poi ella mitigasse la sua resistenza; infatti il 23 luglio Elizabeth ci dà notizia di un'altra seduta. L'ultima di cui si è conoscenza ebbe luogo 1'8 agosto. Moorash lavorò al dipinto per tutta l'estate ma lo portò a termine solo in ottobre, molto tempo dopo che Sophia e William erano ritornati a Boston. Non conosciamo che cosa pensasse Sophia del dipinto, ma, stando ai suoi gusti, non può averlo tenuto in grande considerazione. Il dipinto fa pensare a un precedente capolavoro di Moorash, Elizabeth che sogna, anche se qui egli fa uso dell'artificio del paesaggio visto da una finestra. Un segmento del telaio della finestra divide il dipinto in due regni: un regno interno suggerito da una porzione di parete sulla quale è visibile parte di un quadro (non identificato); e un regno esterno che racchiude il giardino che s'oscura e il cielo crepuscolare. Il contrasto fra l'uno e l'altro è tuttavia indebolito o addirittura messo in discussione, giacché è impossibile tracciare una netta distinzione fra il mondo dell'arte e il mondo della natura, fra il mondo dell'immaginazione e il mondo dell'esperienza: la stanza esonda nel paesaggio, che a sua volta echeggia la stanza, e la stessa Sophia diventa una presenza spettrale del giardino fluttuando oltre la finestra, ma, al contempo, facendo da collegamento fra mondo interno e mondo esterno. Entrambi i mondi appaiono come oggetto del sogno a occhi aperti di Sophia, e lei stessa è materia di sogno. È come seMoorash avesse cercato di rappresentare la stessa esperienza del fantasticare, la progressiva incertezza dei confini che separano realtà e fantasia. Elizabeth fu "profondamente colpita" dal dipinto e lo riteneva "magistrale" (16 ottobre). Moorash gliene fece subito dono e lei lo appese nella sua stanza da letto fra le due finestre che guardavano sul giardino. 18. L'ISOLA DI PHAEDRIA (1842) Olio su tela, 83,05 x 106,68 cm Nelle lunghe sere d'inverno del 1841-42 Elizabeth lesse a Edmund, ad alta voce, notte dopo notte, Guy Manne ring, Quentin Durward, e Il nano nero, di Sir Walter Scott, Le storie raccontate due volte di Hawthorne (l'edizione del 1837) il Manfreddi Byron e The Faerie Queene di Spenser. Pare che quest'ultimo l'abbia letto, la sera, un canto alla volta, per settantaquattro sere consecutive (i sei Libri completi di dodici canti ciascuno, e i due canti delle Mutabilities). Durante la lettura a Edmund piaceva starsene disteso sul divano della cucina a gambe incrociate, la testa su un cuscino, le mani al caldo contro il camino della pipa, e lo sguardo perduto nelle nuvole di fumo bluastro. Il soggetto è preso dal Libro II, canto VI, di The Faerie STORIE/MILLHAUSER Queene, quando Spenser introduce la figura della tentatrice Phaedria, il cui obiettivo precipuo è quello di trascinare i cavalieri olte il Lago dell'Ozio nella sua dolce isola, e cullarli dentro una vita di indolente piacere sensuale. Come la più sinistra tentatrice di Spenser nella Casa della Beatitudine, Phaedria deriva da una ricca tradizione di maghe rinascimentali in giardini incantati, in particolare dall'Alcina di Ariosto e dall'Armida di Tasso, entrambe modellate a loro volta sulla Circe di Omero. Phaedria è presentata come "dissoluta" e "frivola", ma è depositaria di un potere seduttivo tremendo: quello di distogliere l'eroe da un'impresa irta di difficoltà, di offrire il sollievo di una pausa, di allentare la volontà. Essa è la voce segreta che sussurra all'orecchio di tutti coloro le cui vite sono destinate a un compito gravoso: è la canzone delle sirene, la stessa canzone sentita da Ulisse legato all'albero maestro e da Gustav von Aschenbach, esausto, sulla spiaggia. Moorash, che viveva per il suo lavoro, deve aver spesso avvertito, l'esistenza di un mondo diverso dal suo, la vaga lusinga di un'altra vita: una vita di pace, di dolcezza, di abbandono ai sensi. Il proposito di Moorash non è certo quello, ovvio, di riprodurre un calco fedele della descrizione di Spenser, ma semmai quello di rendere il potere di incantamento che domina l'isola: ed essa, infatti, si profila, oscura, davanti a noi, immersa in una luce non terrena, che lascia intravedere, a squarci, ombrosi recessi di verde subito riassorbiti dal buio vellutato.L'isola, fosca congerie di blu, verdi e violetti che si accavallano in fluide, caotiche pennellate, sembra farci cenno di entrare, sembra lusingarci coi profumi di verdi crepuscoli estivi, sembra alterare i nostri sensi con una sognante, molle dolcezza: è un invito a piegare il capo, grave di stanchezza, a cedere. E tuttavia, mentre lo facciamo, siamo nondimeno drammaticamente consapevoli di una pressione opposta e contraria. Quel buio è troppo buio, quei muschi osi recessi si chiudono troppo presto. L'invisibile ovunque si desta. Abbiamo troppi indizi che da quella seducente oscurità mai faremo ritorno e che quel sensuale abbandono altro non è se non la Morte. La potenza evocativa di Moorash è, in effetti, tutta rivolta a quel territorio del profondo in cui amore e morte non si distinguono più: il desiderio di abbandono, la voglia di perdersi l'uno nell'altro, diventano resa totale e definitiva, cupio dissolvi. Senza esaurienti risposte restano gli interrogativi circa l'influenza che la Phaedria di Moorash può aver subito dai dipinti ispirati all'opera di Spenser. The Faerie Queene aveva ispirato numerosissimi dipinti, sia in Europa che in America, dal 1770 in poi. È possibile che a Moorash non fossero ignoti tre quadri di West del 1770 ( Una nel bosco, La caverna della disperazione, e Fidelia e Speranza),/! cavaliere della croce rossa (1793)di Copley, ell volo di Florimell (1819) di Allston, anche se non v'è la minima traccia di qualsivoglia attenzione prestata a uno di questi solenni studi accademici, e in ogni caso il suo approccio a Spenser è assolutamente originale. Si potrebbe, invece, parlare di influenza indiretta - e la cosa appare più verosimile - a proposito del misterioso culto per Spenser che imperversò a Cambridge durante i primi due anni di università di Moorash (1826-18_28)e che, prima di spegnersi di punto in bianco per strane c!fcosta~ze rimaste non chiarite, ebbe il suo grande momento con la costituzione di una società segreta che si chiamava "I figli della Regina 41
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==