STORIE/MILLHAUSER Pinacoteca Infernale contiene una più oscura pulsione avvertibile dalla cospicua presenza di immagini inquietanti: un leone che tiene nelle fauci la gamba strappata di un uomo di mondo, il quale giace fissando con orrore il moncherino da cui sprizza il sangue e pendono brandelli di muscoli e vene; un bandito con una rossa cicatrice sulla guancia che sta affondando il pugnale nel collo di una donna inginocchiata; e in un angolo buio una signora col corpetto stracciato e i capelli scarmigliati che cerca di divincolarsi da un satiro dallo sguardo malizioso il quale la tiene per i capelli e le strizza il capezzolo di un seno nudo. Con le sue figure tratteggiate con cura e la sua luce rossastra, il dipinto è in precario equilibrio fra humour e orrore. Gli aspetti grotteschi, quando non addirittura sadici, della Pinacoteca Infernale hanno sollevato dei dubbi su una eventuale connessione con il movimento Demonista (1835-1836), specialmente alla luce della difesa delle loro opere sostenuta da Moorash contro l'esangue accademismo del periodo, e tuttavia, se non si tien conto di poche caratteristiche tanto generiche da apparire del tutto irrilevanti, ben scarso è il rapporto fra la pittura satirica di Moorash e le dubbie produzioni di quella scuola. I lavori più significativamente demonisti trattano soggetti inequivocabilmente intesi a scioccare e a solleticare morbosamente l'osservatore: tortura, stragi (in particolare di donne seminude trucidate da turchi in coloratissime uniformi), orge romane piene di brocche rovesciate e seni nudi, e studi di donne sanguinanti straziate da belve feroci. John Pine (1805-1849), il quale, dopo aver abbandonato i Fantasmacisti, divennne il leader riconosciuto della scuola demonista, era celebre per i suoi studi meticolosi di cadaveri femminili parzialmente sezionati, di donne incatenate mangiucchiate dai topi, e per le sue scene boscherecce in cui satiri dalle cosce pelosissime sodomizzano pallide fanciulle tutte occhi azzurri e sognanti, labbra rosee e natiche d'avorio. Pine fu arrestato nel 1836 e dopo che fu liberato si trasformò in un artista alla moda di nature morte, specializzato in rugiadosi grappoli d'uva, sanguinosi tagli di carne e bottiglie mezze piene di vino scuro illuminate dal sole. Il fatto che Moorash, in una conversazione con Edward Ingham Vai!, si sia preso la briga - così si dice - di tessere le lodi di Pine non dovrebbe essere interpretato come apprezzamento della pomo grafia e di una sensualità mortuaria, quanto piuttosto come un palese attacco contro la rettitudine e il servilismo di Vail e del suo gruppo. 7. GALATEA (1837) Olio su tela, 111, 76 x 89,50 cm Il secondo dipinto del ciclo Il potere dell'arte fu cominciato l'ultima settimana di marzo e concluso il 21 aprile, tempi estremamente rapidi per Moorash. Gli ampi, liberi colpi di pennello di Elizabeth in sogno lasciano qui il posto alla tecnica rigorosa di un accademico neoclassico che miri alla scrupolosa resa del più minuto dettaglio e ai vertici della definizione lineare. È così marcato il distacco di Moorash dai suoi precedenti esperimenti sulla vanificazione del contorno che non si può fare a meno di sospettare da parte dell'artista lo sforzo deliberato e quasi parodistico di andare incontro a un gusto che non è il suo. 34 Le fonti della leggenda di Galatea sono nelle Metamo,fosi di Ovidio (X, 243-297), anche se lì, va sottolineato, la statua di Pigmalione non ha nome. Moorash tratta l'episodio liberamente, in un modo che non ha precedenti. Galatea è rappresentata in uno stato di transizione, metà di marmo, metà di carne: la metà viva lotta per liberarsi dalla gelida pietra. La visione è inquietante perché è come se la creatura fosse intrappolata nel marmo. La metà viva è sì quasi bianca come quella di marmo, ma la colora appena un pallidissimo incarnato, che la trattiene nell'indeterminatezza del fantasma. Dello scultore si vede solo la mano contratta, dalle vene e dai muscoli della quale si deduce una reazione di terrore. 8. IL DISVELAMENTO (1837) Olio su tela, 98 x 75 cm L'oscura I uce sinistra che affosca la nettezza dei contorni, la deliberata approssimazione delle facce rapite, l'appiattimento del piano del quadro, l'atmosfera enfatica, tutto traccia una secca linea di demarcazione fra questo dipinto e i primi due del ciclo Il potere dell'arte. Mostra anche come Moorash riguadagni la direzione più autentica della sua arte dopo essersi sforzato di cedere a quello che aveva immaginato fosse il gusto del suo improbabile mecenate.L'artista, seminascosto nel buio, è rappresentato qui come una figura demoniaca che cattura senza mezzi termini il pubblico con un incantesimo, e il pubblico lo fissa dal basso, impaurito. L'incerto fuoco prospettico sembra situato sopra il pubblico, a livello del palcoscenico: una strategia, questa, che consente a Moorash di non mostrare, come si era proposto, l'opera d'arte svelata. Non si vede altro che un drappeggio di velluto che pende sul palcoscenico ed è impossibile dire se, ciò che è stato scoperto sia un dipinto, una statua o che altro. Nel suo Diario (8 novembre 1837) Elizabeth annota che "il quadro del demone mi ha fatto venire i brividi". Questa nota deve riferirsi a Jl disvelamento, che era stato cominciato ai primi di ottobre, e non a un dipinto perduto, come suppone Havemeyer. Il 9 novembre Elizabeth passò una notte di "brutti sogni" e scrive che, quando si svegliò, sentì "che Edmund camminava avanti e indietro, nella camera di sopra, avanti e indietro, avanti e indietro. Volevo raggiungerlo per tenere il suo capo adorato sulla mia spalla, ma sapendo che il sospetto di avermi svegliato l'avrebbe angosciato, non potei raccontargli il mio brutto sogno, per cui rimasi immobile nel mio doloroso guscio di quiete". Il dipinto continuò a suscitare grande impressione, giacché, quasi un anno · dopo (4 agosto 1838) leggiamo: "William ed Edmund, mezzanotte e un quarto. Meriti della pittura e della letteratura. William era convinto che ci fosse un moto contemporaneo di tutte le arti insieme. Edmund ribatteva con viole9za che un dipinto ti colpisce 'tutto a un tratto', con la pienezza della sua forza, senza disperderla. Un dipinto 'spara'. William (sorridendo): È così pericolosa l'arte? Edmund: Dipingere è un lavoro eseguito dal demonio. Che lo sappia e se ne guardi l'osservatore! Io citai come esempio il quadro del demone. Edmund rise, e disse che gli aveva dato un mese di malditesta ma che ora lo vedeva come una robettina che poteva spaventare solo un ragazzino."
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