STORIE/MILLHAUSER In "Elizabeth in sogno" mondo e sognatrice si accavallano disfacendosi l'uno nell'altra. "La Pinacoteca Infernale" è in precario equilibrio fra humour e orrore. 6. LA PINACOTECA INFERNALE (1837) Olio su tela, 89 x 120,24 cm Il 15dicembre 1836, il Diario di Elizabeth fa menzione di una visita di John Pope Coddington, collezionista d'arte di New York e pittore dilettante, che lei descrive come "il più sconcertato di fronte alla nostra cucina-salotto". Sembra che sia rimasto ancor più sconcertato di fronte alle tele che gli furono mostrate, ma tre giorni dopo formalizzò la commissione di un ciclo di otto dipinti dal titolo Il potere dell'arte. Moorash si sforzò di tener fede all'improbabile commissione per quasi un anno, e infine, dopo il terzo dipinto, vi rinunciò. Gli piaceva riferirsi a quel ciclo come al suo "castigo", che tale presto diventò a dispetto del tema che molto lo attraeva e del guadagno che ne veniva. Una cosa è certa: che i primi due dipinti sono prove deludenti e rappresentano un passo indietro rispetto all'evoluzione della sua arte. Nel periodo degli studi universitari, Moorash aveva frequentato il Boston Athenaeum, e nei suoi due anni in Europa con William Pinney aveva passato molto del suo tempo nelle gallerie d'arte, alle aste, e alle mostre di Parigi e Londra, e aveva anche visitato un bel numero di collezioni private, quelle a cui Pinney aveva la possibilità di accedere, ma Moorash era tutt'al più un riluttante, impaziente visitatore di pinacoteche, "quei deliziosissimi camposanti con tanto di lapidi numerate" (lettera a Elizabeth del 14 maggio 1833). Ben noto è il suo rifiuto di seguire Pinney in Italia, paese che sosteneva fosse "una sterminata galleria di quadri decorata di ulivi" (lettera di William Pinney a Sophia Pinney del 6 giugno 1833). Le uniche immagini che guardava con piacere non erano - è risaputo - quelle dei quadri, ma le acqueforti esposte nelle vetrine dei venditori di stampe. Una fila di quadri in una galleria gli faceva venire in mente - così si espresse una volta con Edward Vail-dei prigionieri allineati per la fucilazione. Non v'è dubbio che sul tema infernale pesa molta dell'irritazione che gli procurava il "male necessario" - lo chiamava così - dei musei d'arte, ma sarebbe sbagliato non vedere nella tela altro che una vendetta contro i "mesi di noia asfissiante" che diceva di aver sofferto fra le lapidi numerate. Moorash credeva profondamente nel potere che la pittura ha di penetrare nell'anima di chi guarda. In una lettera a Pinney (senza data, 1835 circa) parla della "natura 'penetrativa' dell'arte, vale a dire, del suo potere di entrare nella mente e nell'anima, come un coltello entra nella carne", eal di là del gioco e della satira presenti nella Pinacoteca Infernale avvertiamo la nota inconfondibile e profonda di questo tema. La Pinacoteca Infernale non fa riferimento a un museo o a una collezione privata conosciuti. Vi sono raffigurate due altissime pareti gremite di quadri chiusi in cornici dorate e finemente intagliate (sono visibili trentotto dipinti in tutto), e, in un angolo, la statua su un piedistallo di marmo di una ninfa che esce dall'acqua. Dal vano di una porta si apre una prospettiva di gallerie ad arco. Ai lati opposti del salone siedono davanti ai loro cavalletti due realizzatori di copie. C'è anche una mezza dozzina di eleganti visitatori che guardano tutti stupefatti verso l'alto o premono le mani inguantate sulle finanziere e sui petti fruscianti di trine. Le figure dipinte son lì lì per uscire dalle spesse cornici. Una donnona nuda che pare aver appena abbandonato un banchetto allegorico se ne sta in piedi di fronte a un gentiluomo in finanziera irrigidito dallo sgomento, mentre un colonnello dalla faccia rubizza la ispeziona col monocolo. Un Giove nudo che si copre i genitali con un grappolo d'uva bianca, sembra sul punto di rapire una donna terrorizzata con un mantello all'ultima moda; un indiano coi colori di guerra brandisce un tomahawk. Distinguere fra visitatori della pinacoteca e figure sfuggite dai quadri non è possibile, effetto che corrisponde alle precise intenzioni di Moorash. Questo satirico interrogativo sui confini che fanno collabire illusione e realtà riceve, a dire il vero, ulteriore complessità da un singolare dettaglio comico: uno degli imitatori è rappresentato mentre si scansa turbato dalla tela, dalla quale sta uscendo una gamba infilata in uno stivale lucido lucido. Dato che la tela è la copia precisa di un dipinto sulla parete, Moorash ha introdotto una figura che per due volte è rimossa dalla vita. Eppure il suo brio artistico non finisce qui: lo stivale uscito dal quadro getta un' ombra chiaramente delineata sulla cornice mentre l'altro, ancora dentro, continua ad allungare la sua ombra artificiale. Vengono così postulate due ordini d'ombre, uno "reale" e uno "artificiale", benché l'osservatore sia ovviamente consapevole che l'ombra "reale" non sia meno "artificiale" di quella "fittizia". Complica vieppiù il gioco il fatto che nel dipinto di cui si sta facendo la copia figura una statua che proietta un'ombra e che, sulla parete della sala, un'ombra la proietta anche il pittore. A dispetto di tali elementi di vivacità epistemologica e assolutamente satirici, la Ch. W. Peole, L'artistanel suo museo. 33
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