STORIE/MILLHAUSER possesso di una piccola rendita annuale, lascito della sua zia preferita appena morta, e vedeva in quel trasferimento un' occasione che la affrancava dalle tristi circostanze della vita domestica e, insieme, le offriva l'opportunità di prendersi cura dell'adorato e scapestrato fratello. La proprietà comprendeva un fienile abbandonato che Moorash usava come studio. La nuova vita lo deliziava, in parte perché era felice di mantenere una certa distanza da Vai!, i cui paesaggi sognanti e i cui ritratti pieni di sentimento gli davano sui nervi. La casa era situata su una piccola pendenza conosciuta come Stone Hill, un nome che nel Diario di Elizabeth è talora attribuito alla collina, talora all'intera proprietà, e talora alla casa. La vita di Moorash a Stone Hill non fu certo così isolata come si è voluto far credere (cfr. Havemeyer, pp.56-58, per la classica concezione della "solitudine romantica" di Moorash); Elizabeth dà nota di frequenti visite: quella di William Pinney e di sua sorella Sophia, ad esempio, quelle di Edward Ingham Vai!, del miniaturista Thomas Swanwick, dell' artista popolare itinerante Obadiah Shaw, che si specializzò in vedute prospettiche dipinte sui coperchi delle scatole da sigari e in scene bibliche su vetro, nonché quella del poeta e ritrattista Lyman Phelps (più tardi avvocato di successo). Inoltre il Diario menziona numerose escursioni a Strawson e nelle campagne dei dintorni, e passeggiate bisettimanali a Saccanaw Falls, un piccolo ma popoloso villaggio con due chiese, quattro osterie, un magazzino di cereali, due forni, tre macellai, un vinaio, tre fabbri, uno scalpellino, una fabbrica di birra, una conceria, un pellicciaio, un cappellaio, due drogherie, nonché una fabbrica di strumenti musicali. Il dipinto, portato a termine sul finire dell'estate, dovrebbe essere visto come una protesta contro il vedutismo topografico del periodo, ai pittori dei primi paesaggi contemplativi dell'Hudson River, e forse contro il genere stesso del paesaggio, che per mezzo secolo avrebbe scavalcato, nella considerazione popolare, l'arte del ritratto. E invero c'è qui un elemento satirico molto preciso, a dispetto dell'assoluta serietà del lavoro. Come ebbe a domandare uno dei primi critici si potrebbe chiedere: dov'è il paesaggio? Moorash sceglie di dipingere una nebbia così spessa da cancellare tutto, una serie di forme grigie, bianche, e nere attraverso le quali filtrano sfumature di verde e, sulla destra, uno strappo di giallo ocra in cui fiammeggia, ascoso, il sole. Nulla che sia visibile è presente nel quadro, nulla che non sia quella nebbia meravigliosa e, in fondo all'angolo destro, un ramo che emerge tagliente nella sua totale nudità; qui e là altre forme esitano incerte. Moorash ha completamente abolito la prospettiva: nessun punto di vista, nessun centro. Non c'è nessuna "immagine": solo quell'inquietante ramo in fondo ali' angolo di destra al quale è affidata l'ambigua funzione di ancorare l'osservatore al luogo, di conferire stabilità, e anche di confondere definitivamente, destabilizzandolo, il punto di vista, giacché risulta impossibile determinare in che relazione il ramo stia con il resto. In genere si tende a leggerlo come un parametro di altezza, ma la sua posizione nella parte più bassa dell'angolo destro contraddice questa lezione e ci induce a immaginare di essere in un punto elevato dal quale guardiamo giù verso quella scena senza scena. Il dipinto non fa alcuno sforzo per assorbire l'osservatore in uno stato di sognante fantasticheria, o per destare profondi significati religiosi effusi dallo scenario della natura: semmai, il suo effetto è quello di inquietare, confondere, lasciare nell'incertezza. 32 5. ELIZABETH IN SOGNO (1836) Olio su tela, 67,31 x 91,44 Il capolavoro giovanile di Moorash fu rifiutato dalla National Academy ofDesign di New York e dal Boston Athenaeum ma fu accettato per una mostra dalla Pennsylvania Academy of Fine Arts di Philadelphia, dove attirò l'attenzione di parecchi critici che lo bersagliarono a colpi di ridicolo e, insieme, di indignazione morale. Il dipinto, cominciato in primavera e sospeso a favore del Paesaggio con nebbia, fu ripreso alla fine di agosto e condotto a termine, senza altre interruzioni, a metà novembre. Con l'arrivo del freddo Moorash fu costretto a trasferisrsi dal fienile in casa, dove trasformò, con l'aiuto di Elizabeth, il salotto di sopra in uno studio: la maggior parte dei mobili furono sistemati nella cucina a pianterreno. Lo spazio a pianterreno constava di due stanze - una grande cucina e la camera di Elizabeth - e di un piccolo vano sul retro che serviva come lavanderia; al piano di sopra c'erano una grande stanza che si affacciava sul davanti della casa (il salotto che era diventato lo studio di Moorash) e altre due stanze: la camera di Moorash e una destinata a magazzino o a stanza per gli ospiti. William Penney, ospite frequente nel 1836, ha lasciato (in una lettera alla sorella dell'8 settembre 1836) una vivida descrizione della casa trasformata, e di come l'ospite veniva ricevuto in una cucina in cui erano stati sistemati una poltrona, una scrivania, un divano sfondato e, ancora, una pila di tele appoggiate a una vecchia zangola in un angolo. Elizabeth Moorash (1814-1846) aveva ventidue anni al tempo del dipinto. Abbiamo la fortuna di poter confrontare un ritratto di lei del 1836: una miniatura ad acquarello su avorio dipinta da Edward Ingham Vail. I lucenti capelli corvini divisi in due bande che si liberano in uno sboccio di riccioli, e il nero drammatico del vestito che si fonde col nero dello sfondo, mirano a dare grande rilievo alla singolarità del volto, che Vai! rende meticolosamente con chiari e delicati colori: gli occhi, chiusi nel giro di grandi, pesanti palpebre, guardano con un'espressione di franchezza e intelligenza appassionata, appena sfumata da una sorta di sognante sguardo interiore, come se la sua attenzione più profonda fosse volta altrove. Elizabeth in sogno porta a pieno compimento la tecnica, già vista in Rat Krespel, secondo la quale un'immagine o un personaggio centrale contaminano tutto il mondo figurale presente nel quadro. Qui il volto di Elizabeth che sogna, appena percettibile, tanto è trasparente e prossimo a svanire, è effuso in tutto il dipinto: i suoi capelli trasparenti fluttuano nel cielo notturno, gli occhi sono lunghe pennellate di nero e porpora, le braccia nude si confondono con le candescenze della luna; e la stessa notte, rapita dall'incanto della fanciulla che, sognando, si dissolve, pare sciogliersi in fiotti di lucente oscurità o di buia lucentezza. Mondo e sognatrice si accavallano disfacendosi l'uno nell'altra. E, ciò malgrado, questo mondo di sogno non ha nulla di gentilmente languido, né ha la mollezza del sogno a occhi aperti. Al contrario esso è saturo di straordinaria energia, come se la notte fosse arsa dalle fiamme di un fuoco nero.
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