IL CONTESTO pagina!) e poi, dentro una seconda cornice, troviamo ancora la nostra immagine, però collettiva, risultante dalla combinazione tra Montanelli e la Levi-Montalcini, Alberto Tomba e Lorella Cuccarini, più Armani, Sordi e la Fracci. Un impasto di nuovi ricordi e di vecchia genialità, un gruppo energetico ma rassicurante, con più carboidrati che proteine, come si addice a un popolo ormai arrivato alla terza età e deciso a gestire il proprio ospizio invece di progettare il proprio futuro. Seguono centosessanta pagine spente e tutte in discesa, farcite di foto senza vita e di note senza notizie, rimasticate da un campionario pressoché completo di sorridenti dentiere.C'è Cossiga e Gorbaciov, Mina e Dino Verde, ma non ce la si vuole prendere con le vecchie glorie perché non è una faccenda di generazioni: è piuttosto lo stile e il coraggio del Vero Manager, che sceglie sempre di ripromuovere il collaudato, di acquistare e firmare quello che già c'è e già si vende bene, come è già stato fatto con tutti i personaggi e i programmi Rai e perfino col Milan! (È grazie alle privatizzazioni che noi siamo destinati a rivivere ancora una volta, nella libertà del mercato, tutto ciò che abbiamo già passato sotto la dittatura burocratica del monopolio assistenziale). Pur partecipe di una lunga tradizione, non si può negare però che l'aria di morte che si respira, sfogliando "il settimanale degli italiani", è un risultato voluto e originale che fa di "Noi", prima ancora che parlino i dati delle vendite, un capolavoro del giornalismo e dell'editoria. Quel senso di leggera ed indolore putrefazione è intanto vero odore di casa nostra: visti come consumatori e telespettatori (e come considerarsi altrimenti?), ma soprattutto presi tutti insieme, non possiamo negare di essere così. Il vero problema è quanto ci teniamo a rimanerlo, se cioè davvero cercavamo uno specchio così impietoso; ovvero-posto il problema dalla parte dell'editore - in quanti correremo a comprarlo. Mai come stavolta i risultati delle vendite saranno stati così significativi. Ma, accerchiati come siamo (e ormai troppo diversi dagli Altri), si può davvero scegliere di non stare con Loro e di non essere nemmeno "Noi"? Riposte definitivamente tutte le bandiere, ci si accorge che presto anche i pronomi scarseggiano: un brutto affare per la nostra identità, che non a caso ormai si rifugia e si traveste come può. Se però il pericolo dovesse essere davvero quello di combattersi in nome della Chiesa del 7° giorno o della Pro-loco di Fossombrone, non sarebbe meglio - soprattutto se già lo si è fatto con il cervello - consegnare anch'essa all'ammasso? Ma non esageriamo. Un giornale in più "non è che un gioco", anche se è poi il frutto del lavoro dei tanti papà Disney che animano la carta stampata del nostro paese. Alla fine, con poche lire, si voleva soltanto far guadagnare un po' più di fede in "Noi" stessi, a quanti sono ancora disponibili a lasciarsi incantare dal luccichio di quella scherzosa copertina di specchio. Nessuno avrà creduto davvero di entrare nel mondo patinato dei vip, così come nessuno avrà storto il naso a quel leggero odorino di formaldeide, ancora molto al di sotto dei tassi consentiti. Crediamo che le vendite democratiche daranno ragione al nuovo settimanale degli italiani, in barba alle critiche e ai sinistri avvertimenti di gente come noi, ridotta a combattere la falsa coscienza con degli annunci di pura fantascienza: "Attenti! - vorremmo gridare -Quello specchio è solo il surrogato di un'altra cosa più rassicurante ancora, ma definitiva: come il vetro dello schermo televisivo anche quella povera carta stagnola sta lì al posto di un avveniristico, ancora tecnologicamente impossibile, sportello. Un giorno, forse, il nipotino di Berlusconi ci riuscirà. Gli incauti lettori entreranno in copertina e, proprio come è successo a qualche Pietro Maso e la 11 normalità'' Oreste Pivetta Sarà anche una domanda "scema", non solo "brutale", come pare giustificarsi Gianfranco Bettin nell'ultima pagina del suo libro L'erede, pubblicato da Feltrinelli (pp. 178, lire 20.000), ma sembra davvero la doman'da centrale, quella che spiega tutto il resto, le ragioni cioè e le condizioni di una storia terribile, che sta giungendo forse ora al suo epilogo (pensiamo al processo d'appello). Bettin chiede a Pietro Maso: "Rifaresti quello che hai fatto?". E il ragazzo, rinchiuso nel carcere del Campone di Verona, dopo qualche esitazione, risponde: "Salterei il mese di marzo ... Vorrei semplicemente che non ci fosse mai stato". Il mese di marzo non è quello del delitto. Pietro Maso, con gli amici Giorgio, Paolo e Damiano, uccise i suoi genitori alla metà di aprile, il 17, in una notte di pioggia fredda e ventosa, una notte perfetta per un delitto. li mese di marzo era stato invece il mese della "bella vita", quando i quattro, insieme con occasionali compagni, avevano sperperato i milioni che Giorgio aveva avuto in prestito da una banca per acquistare una macchina sportiva. Tanti milioni concessi, senza esitazione, ad un ragazzo che guadagnava un milione al mese, sulla garanzia del datore di lavoro. Milioni persi in un attimo. E poi una firma falsa sotto un assegno cambiato anch'esso senza esitazione per riparare al primo debito. 18 PietroMaso (arch. "Unità"). Di fronte ai concittadini che cercano l' assoluzione per le proprie coscienze, di fronte ai sindaci che fanno appello alle tradizioni del mondo contadino e alla unità delle· famiglie, di fronte ai vescovi che scoprono diavoli tentatori in agguato nel consumismo, nella caduta dei valori, nei miti televisivi della ricchezza e del successo, Pietro Maso sembra concludere il ragionamento che Bettin ha sviluppato con passione e con coraggio nel corso del suo racconto: non si può essere generici, non si può rimandare tutte le colpe al
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