Linea d'ombra - anno XI - n. 79 - febbraio 1993

posizioni oltranziste sulla divisione dell "\talia in tre repubbliche. Tutto questo - ed altro ancora - non serve certo a dimostrare che la Lega sta diventando uguale agli altri partiti, ma, al contrario, che si conferma come oggetto della loro ammirazione. Un'invidia del suo successo elettorale oppure della sua vittoria culturale? Si scherza soltanto a metà quando si afferma che il leghista ha vinto soprattutto sul piano dei "valori", ed è questa vittoria che ha finito da tempo di preoccupare e che viene realisticamente valutata e inseguita da tutti. Forse "valori" è una parola un po' grossa, ma come spiegarsi altrimenti, soprattutto nel moderno Nord - fra le case e le città in fondo tutte uguali, la routine nervosa e omologante, il territorio nebbioso e pianeggiante - quello strano miracolo di veder sventolare disinvolte bandiere medioevali, sentire discorsi antiRisorgimentali, toccare con mano le relazioni, i confini e le radici di una nuova e salda collettività? È bastata la tranquilla sicurezza dell'alterità a corroborare un senso di identità (con relativo bagaglio di folklore) che ieri - altri - costruivano faticosamente a partire dall'individuazione del nemico. Il leghista invece propriamente non ha nemici (e, nonostante gli sforzi, non è riuscito a farsi eleggere nemico da nessuno, nemmeno dai coriacei patrioti missini!): si ricorderà d'altronde come le accuse di razzismo siano in fondo sempre state signorilmente "smentite" dai leaders leghisti. Non sono state rigettate con indignazione, ma piuttosto ragionevolmente ridimensionate sulla scia della ormai famosa barzelletta dell' "io razzista? sarai tu che sei negro!". È questa logica ferrea ma pacata che è infine stata premiata: ormai nessun partito arriva a negare- solo perché mosso da cieco slancio universalistico o peggio falsamente altruistico - la preoccupante massa di "differenze" che segnano le diverse e sempre più esotiche etnie che con troppa leggerezza stiamo alloggiando fra noi! Né sarà allora così irragionevole o insensato rintracciarne altre, certo minori o anche minime, man mano che si scende la nostra penisola, dopo un secolo di irrisolta questione meridionale. E allora, che fare davanti alle legittime incomprensioni di oggi e ai prevedibili conflitti di domani? Un po' come successe quando si capì "la lezione del Cile" e si passò al compromesso storico ..., vuoi vedere che oggi l'esempio da studiare e da evitare è la Bosnia? Leghisti o no, gli italiani sono del resto tutti abbastanza cresciuti e civili da rifiutare i deliri di superiorità della teoria razzista e talvolta persino la volgarità violenta della prassi xenofoba: che c'è di male allora a riconoscere che fra noi ci sono molti, forse troppi, Altri? Risorto (o ridotto) così, il valore dell'alterità è certo poca cosa, ma - sembra che insistano i realisti - è tutto quello che abbiamo. Vogliamo buttare via anche questa poca acqua sporca? Una nuova e buona sensatezza sta imperando, ma non per questo con i leghisti è finita a tarallucci e vino. È invece successo che il dibattito si è fatto più costruttivo: i ragionieri di Varese sono stati messi già alla prova e nulla osta a che questa nuova generazione della politica faccia vedere cosa sa fare in questioni di Governo; non si possono ripetere gli errori fatti con i giovani del '68 !Anche la dura polemica contro la Lega prosegue, ma è stata affidata a gente più abile, che sa sdrammatizzarla: ci provano anche i ragazzini di Avanzi, ma accanto a veri professionisti come Arbore, difensore ed esempio del genio meridionale, o come Pippo Baudo e le trasmissioni televisive del Nord e Sud uniti nella gara! Sarebbe poi sciocco stupirsi del fatto che di questa battaglia culturale sia stata investita la televisione: chi altri in questo mezzo secolo ha risposto all'ansia irrisolta del Risorgimento ed ha per davvero, dopo l'Italia, pensato a fare gli italiani? Ed è evidente che IL CONTESTO soltanto gli "italiani", una volta "fatti", saranno in grado di arrestare l'emorragia delle subculture e delle microetnie regionali. Certo, non basta replicare alle accuse o risollevare il prestigio dei terroni con le solite canzoni napoletane e i vecchi film di Totò. Ma dove non arriva il piccolo conduttore, si spinge il grande condottiero della tv ed è in questa chiave che occorre leggere la rischiosa operazione cli Berlusconi di lanciare un grande moderno giornale sottotitolato "il settimanale degli italiani". Non ha altra spiegazione l'ambiziosa scommessa di un giornale che per la prima volta si dà un target assoluto e sembra volersi misurare - com'è abitudine del suo proprietario - con i record dell'auditel. Che bisogno c'era, infatti, di un giornale come "Noi" e per tutti noi? Non eravamo già compresi e soddisfatti dai cento altri che fanno dell'Italia il paese del più gran numero di lettori di periodici? E che smania è presa a un così grande Emittente di immettere un altro prodotto in un mercato già zeppo di Suoi giornali che si fanno concorrenza fra loro? Deve esserci sopra qualcosa, se sotto, cioè sul piano del mercato, non si riesce a immaginare niente: un progetto politico e culturale elevato di cui - ci scusiamo - non lo ritenevamo capace. Lui deve essersi accorto che alle grancti testate universali, impegnate a illustrare il complessivo Panorama dell'Epoca di Oggi alla Gente del Mondo e al singolo Europeo (non mi riesce mai di infilare nella lista l'Espresso, che comunque, inteso come caffè, è un vanto della nostra Repubblica), fa riscontro un solo neo, un periodico dal titolo angusto e retrivo, fazioso e minimalista, che suona come un'istigazione al frazionismo ideologico ed esalta la frantumazione molecolare del nostro povero popolo diviso: quel "Famiglia Cristiana" che, per inciso e per di più, è da sempre in testa alle vendite! Circuitato dalla parrocchia e alimentato da abbonamenti strappati al confessionale, ha finora subdolamente schivato il confronto aperto del mercato, mentre i Suoi giornali, esposti alle intemperie delle edicole e alle intemperanze del pubblico, salvavano il baluardo del {_)luralismodemocratico! E ora di superare le beghe e le leghe residue - deve aver pensato - perché, se in politica e in amore tutto è lecito, la cultura e l'informazione sono un mercato da tempo unificato, un primo consistente brandello di Italia innegabilmente unita. Ed è chiaro allora che la Lega non c'entra, se non come esempio stavolta non più da invidiare ma da imitare: dove è stato possibile risvegliare un'identità locale, ci dev'essere spazio anche per il network dell'identità! È così che finalmente, dopo di Loro, siamo nati anche "Noi", l'ennesimo giornale calderone che vola sopra le differenze e colma le distanze, cercando l'unità degli italiani nel loro minimo comun denominatore narcisistico, statistico e soprattutto televisivo. Proprio come succede per i proirammi tv, il contenuto non ha la stessa importanza del contenitore, anche se qualche novità e qualche curiosità non guasta: supereranno la crisi del settimo anno Pippo e Katia? chi sono le suore che fanno da mangiare al Papa? riuscirà Bossi a rispondere alle diecimila domande del sempre più manzoniano Gervaso? Il tutto è completato da circa quarantasei rubriche e da uno- scoop erotico eccezionale: il nudo di Greta Garbo. Ma il vero lavoro è quello dell'immagine, la grafica e, sospettiamo, perfino la scelta degli inchiostri che hanno un tono stinto che fa sembrare il giornale già vecchio, già visto. Già acquistato! La sigla, cioè la copertina del primo numero è poi addirittura doppia, eppure assolutamente identica: dapprima ci si trova davanti al trucchetto dello specchio (sbatti Tutti in prima 17

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