Linea d'ombra - anno XI - n. 79 - febbraio 1993

interno, del ghetto, della "difesa" di sé dall'intrusione dell'altro. La xenofobia è un arcipelago incoerente di disagi reali e di stereotipi, ma non è ancora razzismo, inteso come fissazione delle differenze in una forma ideologica coerente. Forse, appunto, l'antisemitismo potrebbe catalizzare la trasformazione dell'arcipelago xenofobo nel continente compatto di un'ideologia razzista. (D'altra parte, i nazisti di oggi imputano al "mondialismo" ebraico l'essere fautore della trasparenza dei confini e dunque dell'immigrazione). Ma fortunatamente avviene anche il contrario: proprio perché l'antisemitismo ha dimostrato in questo secolo il limite a cui possono arrivare le ideologie della differenza, esso è rifiutato, nella sua forma esplicita, dai molti, e ciò trattiene dallo spingere le proprie pulsioni xenofobe fino a farne un'ideologia. In questo senso, l'antisemitismo di quelli che disegnano svastiche sui muri o sulle tombe sembra avere effetti controproducenti rispetto alle proprie intenzioni: dà un segnale d'allarme e risveglia gli anticorpi sociali. L'hanno dimostrato, in Italia, le stelle gialle sui negozi ebrei di Roma, nel novembre 1992: c'è stata una risposta massiccia e prolungata. Ma le forme acute forniscono un alibi alle forme croniche: "non siamo nazisti, anzi siamo contro, dunque non siamo né razzisti né antisemiti". Eppure l'area dei "portatori sani" di antisemitismo è piuttosto estesa, e in buona misura inconsapevole, come siamo tutti poco consapevoli dei nostri sostrati antropologico-culturali. Ci sono intellettuali della reazione cattolica, come Vittorio Messori (su "L'opinione") o Franco Cardini (su "Il sabato") che vanno promuovendo una nuova forma di "revisionismo storico", secondo il quale il razzismo e l'antisemitismo moderni, e lo stesso nazismo, non avrebbero alcun ascendente nei due millenni di martellante antigiudaismo cristiano, ma sarebbero figli esclusivi dell'illuminismo, sicché le loro tesi, per altro venate di antisemitismo tradizionale, ne sarebbero immuni. Scagionare la matrice cristiana della tradizione antisemita è un pericolo. È tuttora feconda e continua a generare stereotipi anche in forma secolarizzata. L'idea ad esempio che la politica "sionista" sia ispirata da una "religione spietata e di vendetta" deriva da un assunto antigiudaico antico-cristiano ed è molto in voga nella sinistra. Ma il pericolo si misura anche da quella perversione dell'idea di tolleranza secondo la quale si avrebbe il "dovere democratico" di offrire tribune pubbliche ai neonazisti e agli antisemiti di attualità. Il difetto non sta tanto nel fatto in sé, quanto nell'idea di tolleranza e di democrazia che sottintende. È vero che Voltaire ha detto: mi batterò fino alla morte perché tu possa esprimere le tue idee, anche se sono contrarie alle mie; ma aveva premesso: mi batterò con tutte le mie forze contro quelle tue idee. Appunto, la perversione consiste nel tener buona la conclusione lasciando perdere la premessa, cioè la contrapposizione di contenuti. Come se la democrazia dimostrasse la sua superiorità risolutiva sul solo piano del metodo, offrendo microfoni ai suoi nemici; come se la democrazia fosse un'idea andreottiana, una specie di pantano senza principii, capace di dissolvere in melma ogni contrapposizione di principio. La critica delle certezze, il senso di colpa per le certezze sconfitte, sfocia qua e là in un relativismo integrale secondo cui un'opinione vale l'altra, ognuna è tanto inconsistente quanto "degna di rispetto", e anche la falsa testimonianza di chi nega che siano mai esistiti i campi di sterminio rientra nel diritto di opinione, dato che non esisterebbero criteri validi di verità. Questo relativismo filosofico è una delle forme di suppurazione intellettuale presenti nella sinistra, tra quelli che, avendo sostiIL CONTESTO tuito i dogmi del passato con il dogma del dubbio, non saprebbero più se dar ragione a Galileo o al Cardinal Bellarmino. 7. Il grado di pericolo attuale dell'antisemitismo non si misura tanto dai suoi punti di massima intensità, 9uanto dalle sue rispondenze in verticale e in orizzontale. "In verticale" significa che tra la base e i vertici istituzionali si produce una sinergia: è quando i governi, le magistrature e le polizie, le chiese e le università producono disposizioni e messaggi che alimentino o non contrastino i movimenti xenofobi o antisemiti. Nell'autunno scorso, ad esempio, nel pieno delle mobilitazioni xenofobe in Germania, esponenti del governo e dell'industria tedeschi proposero di com111emorarei missili che il governo hitleriano aveva scagliato contro l'Inghilterra e il Belgio: si voleva esaltare un importante risultato tecnologico. Anche se gli argomenti dei vertici e gli argomenti della piazza erano diversi, si disponevano però in sinergia, entravano in reciproca risonanza "verticale". (La commemorazione è stata poi revocata.) L'estensione "orizzontale" si può misurare invece sul grado di consenso, o di tolleranza o di indifferenza con cui la popolazione guarda le manifestazioni estreme. È il caso di Rostock, ad esempio, dove molti cittadini applaudivano gli assalti dei giovani neonazisti contro le case degli asylanten. È il problema della "zona grigia", la quale non è attiva ma per buona parte galleggia mollemente su un sostrato di antisemitismo e di opache pulsioni xenofobe. Dalla sua inerzia in un senso o nell'altro dipendono gli sviluppi o il soffocamento delle tendenze estreme. In Italia, "L'indipendente", "L'Italia settimanale", "Il sabato", sono gli organi di un'area politica e culturale di nuova destra, insinuante e populista, che ha fatto della "zona grigia" il suo eroe, e ne vellica con piglio libertario gli umori più conformistici. Il quadro è però contraddittorio. Le manifestazioni democratiche, i dibattiti nelle scuole, l'atteggiamento prevalente nei mass media e nei sindacati hanno contrastato l'estensione orizzontale. Nelle istituzioni e nei governi sembrano prevalere le tendenze a respingere o contenere la sobillazione di destra, contrastandone l'estensione in verticale. Mi sembra una situazione diversa da altri periodi, anche peggiori, della storia europea. Diversa sul piano civile, ma anche su quello religioso. Ogni volta che il cristianesimo riprende contatto con i suoi fondamenti per riproporsi e rilanciarsi (ed è il caso di oggi) non può che trovarsi di fronte ai suoi rapporti con l'ebraismo. È una questione originaria, non risolta e forse non risolvibile. A fondamento del cristianesimo stanno infatti due movimenti divergenti e complementari: l'assunzione della matrice ebraica (]"'Antico Testamento") e la condanna degli ebrei. Per nascere il cristianesimo ha dovuto prendere dagli ebrei, e rifiutare gli ebrei. Protestanti e cattolici (non mi risulta per gli ortodossi) si dibattono anche oggi tra due tendenze: quella dell'antigiudaismo e quella del confronto e del dialogo ebraico-cristiano. Così, nello stesso momento in cui il presidente della CEI, cardinale Camillo Ruini, ribadisce e rilancia alla vigilia della Pasqua 1992 il principio dell'antigiudaismo teologico (gli ebrei sono stati reietti da Dio, perché hanno rifiutato il Cristo), il cardinale Martini fa suo il pronunciamento di Bonhoeffer contro il nazismo: "Chi non grida a difesa degli ebrei non è degno di cantare il gregoriano". Nel mondo cristiano si risvegliano le spinte antisemite, ma anche quelle opposte: è una differenza, rispetto alla fine del secolo scorso, quando le Chiese e i nazionalismi, movendo da presupposti contrari (le une in senso "universalistico", gli altri in senso particolaristico) trovarono nell'antisemitismo un punto di convergenza e di compromesso che preparò la tragedia. , ,

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