IL CONTESTO Xenofobia e antisemitismo Alcune riflessioni Stefano Levi Della Torre 1. Gli "ultra" allo stadio sognano una vittoria assoluta della loro squadra e un annientamento dell'avversario. Dal loro punto di vista, la partita è un gioco "a somma zero": vittoria più sconfitta= zero. La'partita è allora un simbolo di tutti i "giochi a somma zero", di tutti gli antagonismi totali, che sono quelli più tragici ma anche quelli intellettualmente ed emotivamente più elementari. Corrispondono allo schema binario "sì, no". L'esaltazione di Auschwitz allo stadio ha lo stesso senso: anche i nazisti sostenevano di aver ingaggiato con gli ebrei un "gioco a somma zero": o noi annientiamo loro o loro annienteranno noi. Così, la competizione sportiva è vista come antagonismo assoluto, come "soluzione finale", e Auschwitz ne è il paradigma e l'ideale. La partita invece di disinnescare il conflitto giocandolo, lo amplifica e lo proclama come intenzione politica. Domanda: è l'odio contro gli ebrei a ispirare un antagonismo assoluto, o è il bisogno di un antagonismo assoluto, elementare e risolutivo, ad assumere lo sterminio nazista come bandiera? È più la seconda cosa che non la prima; ma ciò non tranquillizza, perché anche l'antisemitismo strettamente inteso è ispirato dagli stessi meccanismi "astratti", dai principi economici dell'odio che governano i nostri comportamenti sociali non meno di quelli dell'amore e della solidarietà; odio e amore come istanze "a priori", che solo dopo trovano il loro oggetto, magari già codificato dalla tradizione. Chi esalta Auschwitz allo stadio, non lo fa, come qualcuno ha sostenuto, per ignoranza. Al contrario, lo fa proprio perché di Auschwitz sa quanto meno l'essenziale: che vi furono sterminate milioni di vittime, vagheggiate come nemici mortali. Per lungo tempo ho creduto, come molti, che la conoscenza dei campi di sterminio fosse il principale antidoto contro ideologie naziste o di "pulizia etnica". Ora le cose mi sembrano più complicate. Le conseguenze del sapere mi sembrano meno univoche. Da un lato, è vero, il sapere educa i molti, ma per altri può essere assuefazione o persino istigazione. È successo, dunque può succedere di nuovo, ha detto Primo Levi. (Ad esempio succede in Bosnia). Ha anche detto: chi nega che sia successo quel che è successo è proprio quello che è pronto a rifarlo. Ma forse è pronto a rifarlo o ad accettarlo, anche chi non nega affatto quanto è successo. In altri termini, mi sembra semplicistico pensare che la battaglia su questo fronte sia quella del sapere contro l'ignoranza. È una battaglia di principi, di valori e di coscienza, e il "sapere" non è ancora tutto questo, come il nazismo, che non era fatto di incolti, ha dimostrato. È anzi proprio questo rapporto tra sapere e barbarie uno dei problemi centrali che il nazismo ci ha lasciato in eredità. 2. Prima di tradursi eventualmente in atti concreti di persecuzione, l'antisemitismo è qualcosa di imponderabile. È difficile dire se lo si stia sopravvalutando o sottovalutando. Alita nelle sfere del linguaggio e delle rappresentazioni mentali, del "diritto di opinione" e della "libertà di espressione", un alito pesante, che non si sa se attribuire a cattiva digestione di qualche evento storico in corso, o a qualche più antica malattia contagiosa ereditaria. · Distinguiamo: la xenofobia sembra crescere in proporzione all'immigrazione e al mutamento del paesaggio umano, mentre l'antisemitismo non ha relazione con i dati qualitativi inerenti agli ebrei. La xenofobia se la prende coi vivi, l'antisemitismo (per ora) soprattutto con le tombe e con la loro memoria. Ciò mette in evidenza il carattere simbolico dell'antisemitismo. Ma simbolico non vuol dire innocuo: sullo sfondo dei campi di sterminio c'era appunto la sovraproduzione simbolica propria del nazismo. Ora che le simbolizzazioni che ci hanno orientato e contrapposto dopo la II Guerra mondiale sono logorate e avvilite, l'antisemitismo agita i suoi simboli in un contesto simbolicamente indebolito. Lo sfacelo del comunismo e gli affanni economici e istituzionali delle democrazie lasciano uno spazio pericolosamente vuoto; e come la scomparsa della minaccia di guerra nucleare tra superpotenze ha portato a un moltiplicarsi di guerre di ferocia senza limiti, così il crollo dei grandi schieramenti ideologici lascia il campo a ideologie senza remore. Adifferenza dello xenofobo o anche del razzista, che sviliscono l'oggetto della loro ostilità, l'antisemita immagina nell'ebreo (o nel "sionista") una figura di gigantesca e malcelata potenza politico-economica. Lo immagina complottare tenendo in mano le redini del mondo: i mass-media, la finanza, la politica americana. E in un periodo in cui la storia è difficile da interpretare poiché sono caduti i parametri usuali di interpretazione, quale il conflitto Est Ovest, chi propone la potenza e l'intenzione degli ebrei come spiegazione di quel che succede va incontro a suo modo al diffuso bisogno di comprendere. Il fascino dell'antisemitismo sta nella sua vocazione esplicativa. Diceva Mare Bloch che la nostra mente è molto più propensa a comprendere che a conoscere. L'antisemitismo comprende il mondo attraverso gli ebrei, senza darsi la pena di conoscere gran ché né del mondo né degli ebrei. 3. L'antisemitismo ha dunque due caratteri attraenti: risponde a una carenza di simbolizzazione, e risponde a un'esigenza di "comprendere". Ma c'è un'altra istanza oggi diffusa a cui l'antisemitismo risponde a suo modo: il bisogno di tradizione. Le analisi che legano l'antisemitismo a cause obiettive o congiunturali, quali la crisi economica, la disoccupazione, le incertezze psicologiche e materiali, colgono certo il vero, e il contesto in cui il fenomeno si manifesta, ma coprono una dimensione e un modo di funzionare dell'antisemitismo che ha altri ritmi e altri registri: coprono cioè il fatto che l'antisemitismo è una tradizione, si trasmette come una tradizione, ha l'andamento fluttuante ma persistente· di una tradizione, ossia di un fattore antropologico-culturale nell'Europa cristiana e post-Cristiana. Un suo terreno di persuasione e sviluppo si trova proprio nel bisogno diffuso di tradizione, di rifondazione e radice di fronte al mutamento e alle mescolanze. È quanto sta avvenendo, segnatamente nell'Europa centro-orientale: chi è spinto a riagganciarsi alle tradizioni popolari polacche, o ungheresi, o rumene, o russe vi troverà come componente essenziale l'antisemitismo; chi voglia rifarsi al filo ininterrotto di una tradizione dell'Europa cristiana vi troverà intrecciato l'antisemitismo. Vi troverà anche di meglio, certo. Ma il bisogno di tradizione e radice, cioè di identità duratura, segna questa fine 9
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==