Linea d'ombra - anno XI - n. 78 - gennaio 1993

SAGGI/GAETA Per altro, Simone Weil era ben consapevole dei rischi di una concezione che negava di nuovo alla sfera politica la sua autonomia; ma ha potuto farlo perché il rapporto da lei stabilito tra religione e politica non è più concepito in termini di potere, ma appunto di relazionalità. Porre la religione, o forse meglio sarebbe dire lo spirituale, a fondamento della politica non significa stabilire un primato dell'una sfera sull'altra, perché non ci sono più sfere, c'è solo l'uomo e l'universo attorno a lui; e riguardo ad esso il compito politicamente urgente è di ricondurre a unità la sua coscienza; in modo che esso possa ritrovare un punto di equilibrio personale e sociale nel pensiero e nell'azione, nella mente e nel corpo, in modo che possa riconoscere il proprio valore di individuo nell'insieme delle espressioni della vita quotidiana. Di questa concezione gli scritti politici di Londra sono I' espressione, certo incompleta ma, credo, sufficiente per segnare una svolta nel pensiero politico contemporaneo, a condizione naturalmente che si smetta di rivolgersi ad essi con sufficienza, che li si prenda sul serio. Bàsterebbe a tal riguardo riflettere seriamente sulle pagine introduttive de La prima radice. Vi troveremmo denunciata, in termini a mio avviso definitivi, tutta l'insufficienza della nozione di diritto, come strategia politica messa in atto dalla moderna cultura giuridica per regolare i rapporti tra gli individui e tra questi e lo Stato. Insufficienza evidente non appena si voglia riconoscere il legame che congiunge diritto e forza: "La nozione di diritto, si legge nel saggio La personne et le sacré, è legata a quella di spartizione, di scambio, di quantità. Essa ha qualcosa di commerciale. Evoca in se stessa il processo, l'arringa. Il diritto si sostiene solo su un tono di rivendicazione; e quando questo tono è adottato, vuol dire che la forza non è lontana, dietro di esso, per confermarlo, altrimenti è ridicolo" [Écrits de Londres, p. 23). In altri termini, l' affermazione dei diritti è politicamente efficace solo in quanto espressione di gruppi sociali organizzati in conflitto con altri gruppi sociali, e più in generale come mezzo per condizionare ed erodere il potere centrale dello Stato; mentre chi è fuori da tali gruppi di pressione è privato per ciò stesso della forza per affermare qualsiasi diritto, ed anche all'interno dei gruppi l'individuo è costretto a identificarsi con la lotta per l'affermazione di un diritto, che nella sua unilateralità tende ad escludere o a entrare in conflitto con altri e forse più rilevanti bisogni. Ora, secondo Simone Weil, questa contraddizione è dovuta ad una sorta di peccato originario, perché si è voluta elevare la nozione di diritto a principio assoluto, mentre i diritti dipendono da situazioni particolari, sono legati a condizioni di fatto: porli nel campo dell'incondizionato significa riconoscere implicitamente e contraddittoriamente una realtà al di sopra:di questo mondo, e introdurvi una nozione che non può avervi cittadinanza. Si tratta per così dire di un errore di prospettiva compiuto in buona fede. Gli uomini del 1789 non riconoscevano alcuna realtà incondizionata, "riconoscevano solo quella delle cose umane. Per questo hanno cominciato con la nozione di diritto. Ma, nello stesso tempo, hanno voluto porre dei princìpi assoluti" [La prima radice, p. 13], perché erano in qualche modo consapevoli che altrimenti l'affermazione dei diritti avrebbe potuto realizzarsi solo congiungendosi alla forza, piuttosto che essere espressione di un più alto senso di giustizia. Occorre dunque fare un passo ulteriore, occorre sottrarre il diritto alla forza: ma per questo occorre che esso trovi il suo fondamento non più in se stesso ma nell'obbligo di cui è correlativo. 78 Poiché a differenza del diritto, l'obbligo è effettivamente incondizionato: "L'oggetto dell'obbligo, nel campo delle cose umane è sempre l'essere umano in quanto tale. C'è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun' altra condizione abbia a intervenire, e persino quando non gliene si riconosce alcuno.Quest'obbligo non si fonda su nessuna situazione di fatto, né sulla giurisprudenza, né sui costumi, né sulla struttura sociale, né sui rapporti di forza, né sull'eredità del passato, né sul supposto orientamento della storia. Perché nessuna situazione di fatto può suscitare un obbligo. [...] Quest'obbligo è eterno. Esso risponde al destino eterno dell'essere umano. Soltanto l'essere umano ha un destino eterno. Le collettività umane non ne hanno. Quindi, rispetto a loro, non esistono obblighi diretti che siano eterni. È eterno solo il dovere verso l'essere umano come tale. [...] Questo obbligo non ha un fondamento, bensì una verifica nell'accordo della coscienza universale. [...] Il fatto che un essere umano possieda un destino eterno impone un solo obbligo, il rispetto. L'obbligo è adempiuto soltanto se il rispetto è effeìtivamente espresso in modo reale e non fittizio; e questo può avvenire soltanto mediante i bisogni terrestri dell'uomo" [La prima radice, pp.14-15]. Concedetemi un'ultima osservazione su un testo che è un manifesto politico certo non meno degno di appassionata attenzione del Manifesto di Marx. Per un secolo e mezzo, se prendiamo come punto di partenza appunto il 1848, abbiamo disperatamente, e spesso tragicamente, tentato di radicare la politica in dottrine sociali contrapposte, marxista, liberale, cattolica, per non parlare di quelle di ispirazione fascista e razzista. In tutte, seppure in diversa misura e con diverse conseguenze, abbiamo dovuto constatare l'indisponibilità a porre al centro della vita sociale l'individuo nel suo bisogno di bene; l'individuo in quanto concreta, definita realtà fisica e morale, e non innanzitutto in quanto rappresentante di classe, o in quanto produttore di beni di consumo, o in quanto portatore di diritti, o in quanto astratta persona umana. L'invito di Simone Weil, mai preso in seria considerazione, è di radicare la politica nell'umanità dell'individuo, nella sua creaturalità, in definitiva come risposta concreta alla sua domanda, muta o gridata, di bene, di giustizia, di libertà. Gli individui non hanno bisogno, contrariamente a quanto abbiamo tenacemente creduto, di una dottrina sociale, cioè di un artificio ideologico che consente alla collettività di prendere il posto del singolo, bensì di avvertire nei propri riguardi un rispetto sufficiente a che essi possano consentire liberamente alle esigenze della vita sociale, per quanto dure esse siano. Ora, perché questo cambiamento radicale si dia occorre che l'azione politica rinunci per quanto è possibile a concepirsi come forza; sarà allora sicuramente investita da un po' di quella "follia d'amore" che afferra tutti coloro che provano "il bisogno di vedere la facoltà del libero consenso espandersi ovunque in questo mondo, in tutte le forme della vita umana, presso tutti gli esseri umani" [Écrits de Londres, p. 49). Questa è la relazione conclusiva del Convegno internazionale "Simone Weil. ÌI radicamento della politica. L'Occidente e le altre culture", organizzato dall'Università di Bologna e tenutosi a Bologna dal 15al 17ottobre scorso. Si ringrazia il comitato scientifico che ha promosso l'iniziativa composto da Gianfranco Bonola, Guglielmo Forni, Giancarlo Gaeta, Adriano Marchetti.

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