Linea d'ombra - anno XI - n. 78 - gennaio 1993

solo tardivamente, e senza convinzione, venivano scoperte alla vigilia del colpo di stato. E l'Italia doveva e poteva intervenire con maggiore forza e convinzione nelle assisi internazionali, alle Nazioni Unite come alle Comunità Europee, e financo presso il Vaticano, per prevenire, denunciare, sollecitare e stimolare senza sosta quella risposta internazionale che oggi tardivamente, sotto la bandiera americana e non ONU, e con un profilo che rimane prevalentemente militare, si va compiendo sotto i nostri occhi attoniti. E atterriti per l'ipocrisia di un sistema internazionale che interviene solo come e dove vuole, e dà nomi nuovi a cose vecchie, e viceversa, perché più grande è la confusione degli animi, e delle menti, e maggiore è lo spazio di azione dei più ricchi e potenti. Così si parla, e qualcosa dentro di noi arrossisce e s'infuoca, di "protettorato" delle Nazioni Unite là dove è, se non altro per la massiccia sproporzione di forze, palesemente americano, di ingerenza "umanitaria" nel momento stesso in cui si inviano cannoni e carri armati e truppe scelte, manager di guerra e non di pace, in una zona del mondo in cui si fa guerra e ci si uccide da anni. Ragazzi analfabeti di quindici anni e anche meno, nati in guerra e a questa addestrati dalla fame e il bisogno, maneggiano mitra e kalashnikov, e non libri o penne, perché questo è quanto il Terzo Mondo affamato ottiene dall'Occidente "umanitario". E chiamiamo "signori della guerra" loro e non noi, veri mercanti d'armi, e primi fornitori, nel momento stesso in cui inviamo altre armi, più nuove e più mortali, perché combattano (o sostituiscano?) le vecchie. Ma crediamo veramente che tutto questo serva ad aumentare la nostra e loro umanità? Siamo ancora nel 1992, o non stiamo precipitando nell'orwelliano "double talk" di 1984? Solo chi non sa cosa sia la Mogadiscio del 1991-1992 può pensare che altre armi, e altre inevitabili morti, possano servire la e ILCONflSTO causa della pace e dei valori umanitari in Somalia. La battaglia di Mqgadiscio, così spettrale e inspiegabile nella sua insensata casualità e efferatezza così come comunemente riportate sulla stampa, vista da vicino pres~nta non pochi elementi di prevedibilità e "razionalità" politica. E lo scontro tra clan contrapposti che rivendicano entrambi il diritto di proprietà (gli Abgal di Ali Mahdi) o il possesso (gli Haber Ghidir di Aidid) sul territorio della capitale disertata dai vecchi gruppi Darood e famiglie claniche alleate o clienti di Siad Barre. La lotta non è tanto "clanica" quanto politica in quanto corrisponde a una diversa percezione della resistenza sostenuta contro il regime di Siad Barre nonché la risposta da dare al dopo-Barre: i seguaci di Aidid rivendicano una più antica tradizione di resistenza al regime e dunque un diritto di risarcimento e un cambio di guardia; i seguaci di Ali Mahdi sostengono di essere stati loro a causare la fuga del dittatore e rivendicano diritti di preminenza sul territorio di Mogadiscio che non intendono cedere ad altri. La lotta per il potere tra i due gruppi è esasperata dalla grave situazione alimentare e di smobilitazione delle risorse produttive nel paese. Di qui la lotta feroce, intrapresa casa per casa a Mogadiscio. Di qui anche la natura particolare di questa guerriglia urbana che concentra sui centri urbani, e sulla requisizione delle armi e la distribuzione degli aiuti alimentari, il proprio potere politico e le proprie risorse economiche. Roland Marchal, un ricercatore del CNRS francese che ha visitato di recente Mogadiscio riferisce ("Politique Africaine", giugno 1992) che i combattenti dei due gruppi ricevono ogni giorno un centinaio di cartucce di cui la metà viene subito scambiata con tè, sigarette e soprattutto kat, l'erba eccitante il cui consumo è indispensabile Somalia, foto di Alexondro Aviokon (og. Grazio Neri)

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==