Linea d'ombra - anno XI - n. 78 - gennaio 1993

INCONTRI/WANNUS TESTIMONI DELLA STORIA Incontro con Sa' d Allah Wannus a cura di Monica Ruocco Nato nel 1941 nella provincia di Tartus, in Siria, Sa'd Allah Wannus è oggi uno dei maggiori drammaturghi arabi. Nel 1966 si trasferisce a Parigi dove 'è allievo di Jean Marie Serreau. Ritornato in Siria, Wannus si impegna a teorizzare e a realizzare un teatro che intervenga attivamente sulla realtà storico-politica alla quale si ispira. Nel 1969 scrive Serata di gala per il 5 giugno, sulla sconfitta del 1967, in cui emerge per l'efficacia dei contenuti e per il carattere sperimentale della messa in scena. Con questo lavoro Wannus mette definitivamente in atto la sua teorizzazione per un teatro basato sul concetto di tasyis, ovvero di politicizzazione. Non si tratta, secondo Wannus, di affrontare temi politici, il fine vero è quello di politicizzare il pubblico e trasformarlo in uno dei protagonisti che si muovono sul palcoscenico. In molti suoi lavori (L'avventura della testa del mamelucco Giaber, L'elefante o re del tempo, Serata con Abu Khalil al-Qabbani, Il re è il re, e per ultimo Lo stupro, sulla questione palestinese, oggi al centro di numerosi dibattiti) Wannus analizza la natura del potere politico e i suoi meccanismi, proponendo acuti riferimenti ai regimi autoritari. Spesso vittima della censura, alterna la sua attività a lunghi periodi di silenzio. Vive attualmente a Damasco dove, sollecitati dall'interesse suscitato dalla pubblicazione di un suo recente libro Hawamish thaqafiyyah (Appunti culturali), gli abbiamo rivolto alcune domande. Quali sono gli ostacoli che deve affrontare oggi un drammaturgo arabo nel proprio paese? Uno scrittore teatrale incontra attualmente moltissime difficoltà in quasi tutti i paesi arabi, ma forse la più importante è l'assenza di una società civile. Com'è noto il teatro è nato come una delle funzioni della democrazia ateniese, e ha continuato ad esistere attraverso i secoli con questa peculiarità e conservando questa funzione implicita. Il teatro, nella sua essenza, è l'universo civile nel quale lo spettatore libero dialoga attraverso una rappresentazione artistica con una delle tante immagini della condizione umana. Il teatro è, cioè, un luogo per la riflessione e la libertà. Quindi, l'assenza in molti paesi arabi di una tale società civile, presuppone l'assenza di un luogo basato sulla libertà. Ma non è stato sempre così ... Nei paesi arabi non abbiamo tradizioni teatrali antiche e consolidate nel tempo. All'inizio abbiamo cer~ato di sfruttare questo aspetto negativo a nostro vantaggio, e abbiamo considerato l'assenza di una tradizione come una libertà in più a nostra disposizione. Così, almeno per quanto riguarda me e la mia generazione, a partire dagli anni Sessanta abbiamo .. cercato di creare una nuova scrittura e un universo teatrale libero dalle pesantezze del teatro borghese europeo. Volevamo fondare le basi di un nostro teatro e, da questo, sviluppare le nostre tradizioni teatrali. All'inizio degli anni Settanta sembrava che fossimo riusciti nel nostro intento: il teatro arabo cominciò a ·essere sempre più presente nella vita sociale. E noi, drammaturghi, registi e attori, discutevamo con passione e progettavamo il nostro futuro. Ma proprio quando i nostri progetti cominciavano a realizzarsi, nella maggior parte dei paesi arabi si sono verificati importanti cambiamenti politici, cioè si è rafforzata una tendenza repressiva dei regimi al governo. La censura ha cominciato a essere più aggressiva e ha marginalizzato la cultura in generale e il teatro in particolare. Nel frattempo la televisione e gli altri mezzi di comunicazione hanno assunto un ruolo sempre più importante. In pochi anni la televisione è diventata un cancro che emargina la cultura, esalta la stupidità e, trasmettendo per lo più celebrazioni di regime, provoca la malinconia, la pazzia e impedisce l'esistenza di qualsiasi società civile. Qual è lo stato d'animo di uno scrittore in uno di questi paesi che lei descrive? · Le relazioni tra uno scrittore di teatro e il potere sono naturalmente tese perché il drammaturgo si sente assediato, bloccato: lo stato possiede tutti i teatri e controlla tutti gli enti di produzione teatrale. Anche il rapporto con il pubblico è condizionato dal- !' ostruzionismo e dalle difficoltà di dialogo provocate dalla censura e dall'assenza di libertà di opinione e di espressione. Qual è stato ilfilo conduttore della sua produzione teatrale? Volevo essere un testimone della storia della mia comunità ed essere, nello stesso tempo, una parte attiva di questa storia. Questa è la molla che mi ha spinto alla sperimentazione e al tentativo di rinnovare la struttura della scrittura teatrale. Ho sempre pensato a un teatro che si adattasse allo spettatore e alle sue abitudini ma, soprattutto, volevo scioccare il pubblico ponendolo, come un giudice, di fronte alla propria realtà e alla propria storia. Nel mondo aràbo attuale è possibile separare la produzione teatrale dall'impegno politico? Sono molti i drammaturghi arabi che hanno rivolto il proprio sguardo alla realtà sociale e ai cambiamenti della storia, soprattutto dopo la sconfitta del 1967. Da allora abbiamo riconsiderato criticamente tutti i diversi aspetti della nostra vita; speravamo di realizzare un cambiamento radicale e rivoluzionario a partire dalla struttura politica e sociale. Anche chi abitualmente scriveva solo per amore dell'arte è stato coinvolto da questa onda gigantesca e ha cominciato a scrivere ponendosi domande sulla politica e sulle questioni attuali. Questa tendenza continua ancora adesso e i testi teatrali più significativi sono proprio quelli a sfondo politico. Ma questo non vuol dire che )a scrittura teatrale si sia trasformata nella redazione di manifesti politici. I bravi drammaturghi, al di là del proprio impegno, sanno che l'arte ha le sue esigenze e che non si può trasformare un lavoro teatrale in un comizio politico. E cosa può dirci della sua esperienza in Europa? Non ha mai pensato di trasferirsi?

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