cultura che c'è in paesi come la Siria, l'Egitto, il Marocco, la Tunisia, e confrontatela con quella di altri paesi arabi ricchi. Da anni stiamo assistendo impotenti al tentativo da parte dei paesi arricchiti con il petrolio di imporre una nuova cultura araba che vada nella direzione scelta da loro stessi. E questo processo si è già messo in moto: comprano la stampa, comprano scrittori, registi, attori, tutte persone che altrimenti, per difficoltà economiche, non avrebbero mai l'occasione di esprimere la propria arte nei paesi d'origine. Così si sta creando una nuova cultura consumistica, a imitazione di quella occidentale, che per noi è senza identità. Perciò durante la guerra del Golfo sono emersi più di una corrente culturale e più di una spiegazione di questi avvenimenti politici e militari. La sconfitta dell'Iraq è stata una sconfitt11per tutti gli arabi. Anche quelli che hanno vinto sono sconfitti, perché si è trattato di una vittoria per conto di altri, e cioè dell'America. Credo che la sconfitta sia grande, la ferita molto profonda e tutto questo si pagherà in futuro. Secondo lei si può parlare di un 'unica cultura araba? Forse si potrebbe anche dire ch_e,çè' un 'unica cultura araba con un unico programma, però ci sono moltissime sfumature che cambiano da un posto all'altro. Anche in uno stesso paese c'è più di una cultura e più di un dialetto. Ad esempio nell'est della Siria Vita quotidiana a Bagdad (foto di Filip Horvat/Saba/Contrasto). INCONTRI/ MUNIF di parla come in Iraq e tra Damasco e Amman non ci sono poi grandissime differenze di dialetto. Ma questo non vuol dire che la geografia linguistica e culturale araba sia unica. C'è una diversità che arricchisce. Vuol dire qualcosa agli intellettuali occidentali? Ho notato che durante la guerra del Golfo non si è visto né si è capito il ruolo avuto dalla cultura occidentale. Cioè non c'è stata quella mobilitazione che ci fu, ad esempio, per la guerra del Vietnam. La cultura è finita per diventare un'eco della propaganda dei mass-media. Adesso dobbiamo ricostruire i ponti che collegano le culture e le civiltà, senza inutili chiacchiere dei politici o minacce dei militari. Perché la cultura è la coscienza che deve rimanere adesso e nel futuro per noi e per le altre generazioni. Senza una cultura profonda e umanitaria, e senza una vera coscienza non c'è speranza per il futuro che sarà in mano ai mass-media e ai militari. Ci dovrebbe essere una democrazia universale. Non si può dire che un uomo meriti la libertà e un altro no. Prendiamo l'America, ad esempio, che se da un alto ha fatto cadere il regime comunista con il pretesto della democrazia e dei diritti dell'uomo, dall'altro protegge altri regimi, che non hanno neanche costituzioni, e dove si calpestano i più elementari diritti umani. Perciò io incito gli intellettuali occidentali ad alzare la voce per far scoprire tutte queste cose, e a non rimanere in silenzio! 59
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