Linea d'ombra - anno XI - n. 78 - gennaio 1993

VOCI ARABE DOPO IL GOLFO Incontro con I Abd ar-Rahman Munii a cura di Isabella Camera d'Afflitto 'Abdar-RahmanMunifèuna delle voci più autorevoli di tutta la cultura araba contemporanea. Con il drammaturgo Sa' d Allah Wannus e con altri intellettuali dirige la rivista QadayawaShahadat(Questioni e testimonianze) edita a Cipro. Nato aAmman in Giordania nel 1933 da madre irachena e da padre saudita, ha studiato in Giordania, in Iraq, in Egitto, si è poi trasferito in Jugoslavia dove ha conseguito un dottorato in economia del petrolio. Dal 1975 al 1981 è tornato a Baghdad dove ha diretto la rivista anNaft waat-Tanmyya (Il petrolio e lo sviluppo). Tenace oppositore della guerra Iran-Iraq, ha conosciuto la galera irachena prima di trasferirsi esule in Francia dove ha vissuto fino al 1986. Autore di un libro che ha riscosso enorme successo in tutto il mondo arabo, Sharq al-Mutawassit (A est del Mediterraneo) in corso di pubblicazione in Italia da parte dell'editore Jouvence, dopo quindici anni ha pubblicato a Beirut un secondo romanzo ambientato in quello stesso misterioso paese oltre il Mediterraneo, Qui ora... A est del Mediterraneo per la seconda volta. Dal 1986 risiede a Damasco. Ed è proprio nella capitale siriana, in una gelida giornata primaverile, che ho avuto il piacere di conoscerlo e di séambiare con lui quattro chiacchiere davanti a bollenti tazzine di caffè arabo. Cominciamo dalla sua vita alquanto movimentata. Come molti altri scrittori arabi ha conosciuto anche lei la prigione e l'esilio, ma la sua emigrazione in Europa ha avuto un epilogo perché lei è tornato a vivere in un paese arabo. Sono andato in esilio a Parigi prima di tutto per motivi politici. Ho dovuto lasciare l'Iraq perché ero contro quella immotivata guerra con l'Iran, solo così ho potuto dimostrare pubblicamente il mio dissenso. In Francia mi sono dedicato esclusivamente alla scrittura che è diventata poi l'unica mia preoccupazione e anche la mia ossessione. In Francia ho scritto la maggior parte de Le città del sale (Monumentale opera in cinque volumi, messa al bando dall'Arabia Saudita. N.d.R.). lJa l'emigrazione è di solito una condizione temporanea perché l'uomo deve poter tornare nella sua terra. Certo, se non può viverci per motivi politici o economici è naturale che sia costretto a cercare altri posti. Ma la sua permanenza all'estero dovrebbe essere temporanea e non definitiva. lo sono rimasto cinque-sei anni a Parigi, di più non potevo restarci sia per motivi economici, sia perché sentivo il bisogno del mio paese e soprattutto di essere vicino alla mia gente. Questo vuol dire che lo scrittore che vive alt' estero diventa estraneo alla sua gente? · 58 Io penso che il romanzo sia l'arte dei piccoli dettagli. Da questa scrittura viene fuori il modo di parlare della gente, come agisce, come sente le cose che lo circondano, l'odore, le voci, i colori, insomma tutto l'ambiente. Sono queste piccole cose che alla fine costruiscono un mondo intero. E da qui viene la mia necessità di essere vicino alla mia gente e ai loro problemi, mentre dall'esilio tutto questo è troppo lontano. Eppure nei suoi scritti si avverte sempre l'esilio, al-manfa, alqhurba. È vero, io sono in un esilio senza fine da molto tempo. Forse in me c'è un po' l'anima del beduino, perché i beduini hanno questo bisogno di trasferirsi da un posto all'altro. Sento che l'uomo dal primo momento della sua nascita comincia a vivere il suo esilio. Recentemente le è stato conferito un importante premio letterarip arabo, premio che noi in Occidente ignoriamo completamente. E un vostro premio Nobel? Il 26 febbraio scorso ho ricevuto questo riconoscimento, il premio del sultano al- 'Uways, per la mia opera di scrittore. Si tratta di un premio nuovò che si assegna ogni due anni a varie categorie, dal romanzo alla poesia, alla critica, al teatro, alle scienze umane e filosofiche. La prima volta l'hanno ottenuto il drammaturgo Sa' d Allah Wannus, gli scrittori Hanna Mina, Giabra Ibrahim Giabra, e la poetessa palestinese Fadwa Tuqan. Quest'anno lo hanno dato a me per il romanzo, ad Alfred Faraj per il teatro, a Sa'di Yusuf per la poesia, a Ihsan 'Abbas per la critica, a Zaqi Nagib Mahmud per la filosofia. Quest'anno poi c'era un premio in più per onorare un poeta iracheno molto anziano che vive in Siria. Si chiama alGoiwahiri. Per quanto riguarda poi il vostro premio Nobel, averlo dato a Nagib Mahfuz - che sicuramente lo meritava - significa che se lo hanno dato ad un arabo dopo 89 anni, adesso possiamo starcene tranquilli per molto, molto tempo. Secondo lei la guerra del Golfo ha in qualche modo influenzato o cambiato i rapporti alt 'interno dei paesi arabi e tra i paesi arabi e l'Occidente? La guerra del Golfo è s~ta un terremoto. È stata una trappola per la selvaggina che ci è caduta dentro facilmente. Secondo me c'era una voglia di riassestare la geografia politica della regione, soprattutto dopo la fine della guerra fredda e dopo la fine della guerra Iran-Iraq. Vi ricorderete che gli americani si preparavano ad una guerra nel deserto già all'inizio dell'80. Dalla guerra con l'Iran, l'Iraq è uscito rafforzato militarmente ma indebolito economicamente. E i debiti li aveva soprattutto con l'Arabia Saudita e con il Kuwait che avevano cominciato a dettare legge in Iraq. Perciò si è arrivati alla guerra del Golfo. In un mio articolo sul Guardian ho detto che questa guerra si sarebbe potuta evitare se ci fosse stata una vera voglia di arrivare a una soluzione. E questa guerra è stata poi un terremoto anche per le alleanze tra arabi e Occidente e tra arabi stessi. E gli intellettuali arabi come si sono schierati? Da noi anche gli intellettuali non erano allineati su una stessa posizione. E poi c'è il problema di sempre: ci sono arabi ricchi e arabi poveri ma, com'è noto, la cultura e la civiltà si trovano nei paesi poveri e non in quelli ricchi. Pensate ad esempio alla grande

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