"Harun ar-Rashid", disse Maometto, "avrai settanta padiglioni. Sta scritto. Ma il sonno, la fretta, la paura e l'elemosina te li porterai da solo in spalla fino al Paradiso". Ricorditidi me Siena mi fe ', Ma non con la sua pietra né con la sua aria fredda, né con la sua luce. Mi fece col seme che affiorava agli occhi di quanti aprivano di colpo le finestre per guardarmi. I loro sguardi andavano e venivano per il mio corpo come il rullo che assottiglia la pasta per. il pane. Disfemmi la Maremma. Mi infilzò Nello dei Paganelli sulla punta di un coltello, credendo ch'io non fossi vergine. E lo ero, benché macchiata dalla cupidigia dei senesi occhi virili. Fui tagliato prima del tempo io che volli esser giglio e passai per puttana e qu.elche sapevo di baci l'avevo letto nei libri. Nello se ne andò, col falcone sul guanto, senza aspettare che cantasse la tortora. Sull'altra sponda Sull'altra sponda mi dissero i vecchi si trasformano in alberi vecchi anch'essi senza foglie di fronte al sole che aspettano senza sapere cosa muti. Ma all'improvviso un albero qualunque sente salire dentro di sé la linfa d'un sogno già sul limitare della morte ma ancora tiepido come il latte della madre. Il sogno sale su per le vene dell'albero una vita intera che passa fino a farsi uccello un uccello che ricorda canta e se ne và subito prima che tutti gli alberi muoiano. Se diventerò albero vecchio sull'altra sponda del fiume e mi toccherà essere l'albero che ricorda e sogna puoi star sicura che sognerò te i tuoi occhi grigi come l'alba e il tuo sorriso con cui si vestirono le labbra delle rose nei giorni più felici. Copyright Editorial Galaxia. STORII/CUNQUIIRO DUE RACCONTI Qualcuno canta a ChiHor C'era in India una città circondata da mura. Di lei si diceva che coronava la collina su cui era costruita come un elmo rosso cinge la testa di un guerriero. La collina era stata cosparsa di sale e cenere perchè non vi crescesse nemmeno un filo d'erba. Ma ai suoi piedi scorreva un fiume dalle acque azzurre, un fiume che scendeva cantando dalle montagne più alte del mondo e sulla sua sponda sì che c'erano alberi e alte erbe, pascoli per i bufali e risaie. La collina si chiamava Chittor, la città della muraglia Chittorgarh e il fiume Gambhiri. AChittorgarh vivevano gli irascibili guerrieri luhar, avvolti in grandi mantelli azzurri, armati di lunghe lance, agili nella selva come la tigre o il serpente. Chi attraversava il fiume Gambhiri doveva pagare, con la borsa o la vita, o con entrambe, un pedaggio ai luhar. Ogni luhargi era un re e ogni guerriero, in sella al suo piccolo cavallo afgano, era una parte del vento che soffiava sull'immensa pianura ... Ma a Delhi stava seduto su un trono simile alla coda di un pavone un imperatore mogol, Akhbar Khan, sovrano crudele e pacifico allo stesso tempo, per il quale mille architetti avevano eretto palazzi affinchè il gran monarca delle trombe d'oro potesse studiare la profonda scienza degli echi. Tutti i giorni gli arrivavano notizie delle cruente scorrerie dei luhar, e un giorno i luhar rubarono dodici coppe di giada verde piene di tè d'autunno che l'Imperatore della Cina aveva mandato a suo cugino il Gran Mogol dell'antica Delhi. Akhbar Khan si fece arricciare i capelli; su questo punto mi attengo a Tavernier, e con Tavernier viaggiava uno del mio paese, Seijas Lobera, turcimanno del levante, ammiraglio nel mare australe magellaneo, corsaro del re cattolico, corrispondente di Newton e di Gipsy, quello della palingenesi, e membro della Reale Accademia delle Scienze di Parigi. Tavernier spiega cosa facevano i khan di Delhi quando partivano per la guerra: innanzitutto s'arricciavano i capelli. Subito dopo gli portavano davanti un giovane elefante e di fronte a quel simbolo di lunga vita e di infallibile memoria, il khan giurava di compiere queste e quelle imprese. Dopo l'arricciatura dei capelli e il giuramento, il re mogol faceva un bagno in tre oli diversi: di noce, di palma e di cocco, poi si profumava e passava tre settimane a consultare oracoli e ascoltare astrologi e, durante quei giorni mantici, toccava solo oggetti di ferro. Se le stelle e i presagi erano propizi, il Gran Mogol, con sette tuniche dalmatiche, partiva per la guerra. Così Akhbar Khan arrivò davanti alla collina chiamata Chittor e la assediò per un anno sotto il sole, sotto le grandi piogge e u~' altra volta sotto il sole e quando il Gambhiri dalle acque azzurre nmase in secca i luhar si consegnarono alla clemenza del Gran Mogol. Il Gran Mogol, contrariamente a 9uanto_ si_ pensav~ non ordinò di sgozzare i luhar. Fece sedere 1 g~em~n sco~~ sulla collina deserta e impose loro cinque divieti che 1 guemen acce!- tarono pronunciando una sacra e solenne promessa secondo il rituale che creava, conservava e differenziava ~e c~te _e.le sottocaste in India. (Molte caste nascono per esclusione, 1scnztone a un mestiere a un'arte o a un lavoro e, generalmente, la ca:sta così nata prom~tte nel caso di ascrizione per punizione, di attenersi alle proibi~ioni, le quali diventano quindi "volon ·
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