Linea d'ombra - anno XI - n. 78 - gennaio 1993

DALLE 11 RIMAS'' E 11 COPLAS'' ]osé Bergam[n a cura di Dario Puccini È abitudine inveterata, ovvero inevitabile scorciatoia informativa o critica o pseudocritica, definireJoséBergamin (1895-1983) uno scrittore eccentrico. Che, in poesia, in teatro o nello stesso campo più vasto della saggistica egli percorra sentieri tutti suoi, che egli faccia solo barba in contropelo a tutti, compresi i "valori" stagionati, che polemizzi con gli altri e spesso quasi con se stesso, e che applichi verso la propria opera -come ha detto Agamben - "un processo di autonegazione dialettica", è cosa esatta e accertata. Cosicché il fatto di potere o dovere dire così - "scrittore eccentrico" - è certamente un gesto appropriato per offrire un primo ritratto, già di per sé non infedele, di Bergamìn. Ma poi occorre dichiarare subito, per esempio - e lo vedremo qui - che egli scrisse poesia quasi sempre come un esercizio che confina con la filosofia e con la morale; o teatro, senza mai investirlo di tutti i crismi che chiede la scena, e deviando, in forma congrua o incongrua, verso la poesia e la fantasticheria, e del resto tutti i suoi saggi - corpus principale della sua opera, come dell'opera del suo maestro Unamunosono pretesti, divagazioni di rigore etico o nello stesso tempo di immaginazione lirica, paradossi, memorie, evocazioni, aforismi, segni del ricordo e del tempo. Ma anche dicendo tutto questo, ciò risulta insufficiente a spiegare cosa è stato Bergamin nella cultura e nella letteratura spagnola del Novecento. Saggi come Decadenza dell'analfabetismo (1933) o La importanza del demonio (1941) (stampati e tradotti insieme in Italia sotto il titolo del primo, il tutto a cura di Agamben, Rusconi Editore, 1974) e libri come Frontiere infernali della poesia (1954) sono titoli che nascondono, al di là del loro apparente "scandalo", un pensiero coerente e originalissimo, di cui sarebbe difficile trovare antecedenti precisi o che peggio ancora sarebbe voler riassumere con parole troppo semplificanti. Nel libro qui menzionato per ultimo (che fu tradotto e pubblicato in parte nel 1963, in una collana di Vallecchi di Firenze, diretta da Elena Croce e con prefazione di MariaZambrano ), il cattolico Bergamin delinea una mappa delle sue preferenze letterarie, tra le quali colloca (oltre Seneca, Dante, Rojas - autore de La Celestina-, Shakespeare, Cervantes, Quevedo, Byron) senza alcuna esitazione Sade e Nietzsche. Anticipando molti spagnoli, ma anche molti non spagnoli, egli nei due termini e concetti di "frontiera" (o "limite") e di "inferno", collocava l'arte e la letteratura in quel crogiolo di frammentazione e di voluta negazione, che solo oggi ad esse riconosciamo in epoca novecentesca; ed esaltando più che deplorando, nella "nuova arte", la "perdita del centro", che a molti cattolici appariva invece esiziale se non addirittura fatale. Naturalmente, tutto questo andava di pari passo con la decisa e piena reinterpretazione della poesia mistica (che avrebbe fatto un gran bene a· poeti laici come Guillén ed Hernandez), della poesia "analfabeta" dei gitani (che avrebbe fatto un gran bene alla fonte nativa di Lorca e di Alberti), e con la rivalutazione del barocco (che avrebbe fatto un gran bene ai neogongoristi), e, in strana consonanza con Walter Benjamin (l'osservazione è ancora di Agamben), con la rivalutazione di Sade e Nietzsche (che avrebbe fatto un gran bene, per esempio, a Bufiuel). Non a caso, nella rivista da lui diretta, "Cruz y Raya", segnata, sempre nel titolo da un + e da un - (per indicare che si trattava di una "rivista di affermazione e di negazione"), negli anni in cui svolse la sua attività ( 1933-1936) ospitò gran parte della migliore poesia spagnola del tempo: lì escono poesie di Machado, di Lorca e di Neruda; scritti di Heidegger, di Maritain, di Ortega e di Ram6n G6mez de la Serna; e saggi su Quevédo, su Gil Vicente, su Gracian e su Calder6n a opera ora di Damaso Alonso ora di Luis Cernuda o degli altri poeti e scrittori giovani dell'epoca. E quando dovette chiudere la rivista in seguito allo scoppio della guerra civile, non solo si schierò per la Repubblica aggredita, ma fu promotore di incontri internazionali (fu amico di Malraux e di Gide) e in particolare con gli scrittori cattolici francesi perché, a dispetto delle direttive o le ingiunzioni stesse dell'alto clero, si pronunciassero contro la rivolta di Franco, sostenuta da quasi tutta la Spagna cattolica di vecchio stampo. A lui, che non fu mai comunista, si attribuisce con piena autenticità il detto "meglio stare oggi con i comunisti e magari finire all'inferno": frase che egli preferiva non concludere secondo logica, perché non credeva affatto che il Paradiso fosse aperto automaticamente ai falangisti e agli alleati di Hitler e di Mussolini. Costretto all'esilio dal 1939, diresse in Messico la casa editrice Séneca, che per prima pubblicò prose di memoria di Alberti, e la rivista "Espafia peregrina"; fu in Venezuela e in altri paesi dell'America Latina; e in Uruguay svolse un grande lavoro presso l'Università (insegnando letteratura spagnola) e collaborando alle riviste del paese, tracui "Marcha", dove scrissero (vi è un libretto sull'argomento di Rosa Maria Grillo) Juan Carlos Onetti e Angel Rama. Nel 1958 potè rientrare in Spagna, ma già nel 1963, avendo messo la propria firma in un manifesto a favore dei minatori delle Asturie ed essere incorso nelle ire del regime, prima si rifugiò nella Ambasciata uruguayana, poi, per le proteste internazionali (tra cui quelle del Vaticano, del presidente Kennedy e del ministro della cultura francese Malraux), potè uscire dalla Spagna e ottenne il permesso di risiedere in Francia. Solo nel 1969 riuscì a riavere il passaporto spagnolo e a tornare nella sua casa di Madrid. Si colloca in questi ultimi anni del suo soggiorno spagnolo la edizione delle Poesias casi completas (1980), da cui abbiamo tratto le liriche qui tradotte, che provengono dalle raccolte Rimas y sonetos rezagados (1962) e da Duendecillos Y coplas (1963). Proprio inquesti giorni credo sia già nelle nostre librerie un ~l~o ~ibro di Bergamin, L'arte del toreare e la sua musica sile~zios~, ed1z1~mS~, Milano, splendidamente tradotto da Cesare Greppi. lsp1randos1 per il titolo (musica callada) a San Juan de la Cruz e a Calder6n, Bergamfn fa un viaggio letterario nel mondo di "esattezza geom~l?ca" ~ .m~glio di "tecnica artistica" della corrida che anche ai più accan1t1 nerruc1 di questo "sport" dovrebbe (suppongo) apparire come un seguito di preziose astrazioni e raffinate evocazioni poetiche in prosa. Ma forse meglio di ogni altra notizia su José Bergamf~ e sulla sua capacità inventiva e paradossale varrà ricor~are eh~ è propn~ da ~a sua pièce inedita che il regista Luis Bufiuel ha 1mb~tJto e 1:81•~ il suo film L'Angelo Sterminatore: quello, tant? IM:r~h•n~n I~ ncordi, dove~ branco di pecore blocca il passo a una sene d1s1gnon es1gnoreconvenutì per un lussuoso ricevimento.

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