Linea d'ombra - anno XI - n. 78 - gennaio 1993

STORIE/SANTORO La mente di Pack ripiegava su se stessa e dietro quello sguardo immobile si poteva cogliere la concretezza del pensiero. "Le loro frasi erano incomprensibili, una sorta di cantilena ... mi pare che dicessero ... li stelli non son in cielu e collani d'oru aveanu ... il tono della voce ... sì, il tono era beffardo!" Pelobio mancava di convinzione, soprattutto non condivideva l'accanimento contrastante di Pack verso le forze sovrannaturali e la trasposizione del suo sano raziocinio ad una situazione avulsa da ogni meccanismo logico. Al contrario Paddock seguiva la discussione con molta attenzione; i suoi occhi passavano da una bocca all'altra e le parole ascoltate alimentarono un suo proposito. Nessuno suggerì niente di concreto e concordarono di aspettare un nuovo evento prima di una qualunque azione di ricerca nel pozzo; una frase sospirata sfumò nell'aria. "Comunque non aspettiamoci nulla di buono, il paradiso è in cielo." Paddock si fece coraggio e quando tutti stavano sul punto di andar via, non si accorse di gridare. "Potrebbe essere un'anima che non è riuscita ad andare in cielo, sarà rimasta impigliata in qualcosa!" Phi lo guardò benevolo. "Paddock un'anima non si impiglia e poi cosa speri di vedere? Un'anima non si vede e non si sente, le storie che ci raccontavano da bambini sui suoni dell'anima servivano ad allietare le serate, non aspettarti organetti, campanelli, flauti ..." Paddock abbassò gli occhi un po' imbarazzato e deluso: Phi gli appoggiò una mano sulla spalla e insieme, a testa bassa, s'incamminarono e per restituirgli il buon umore Phi cominciò a cantare con voce velata. "E la mi 'mamma quando me cunava cantava 'na canzone de Turchia: Le fasse con le quali me fassava eran tessute de malinconia: la cuna nella quale me cunava era 'na barca che dal mar venìa." Si scambiarono occhiate sorridenti e ognuno andò per la sua strada. Giunti a metà giornata, il cerchio era tutto scolpito da confuse pedate; il cielo si era diffuso e adagiato nel suo blu marino; Paddock sognava attraverso le narrazioni della madre sui pesci che affollavano le pagine illustrate a colori smaglianti, sotto i suoi occhi. Pipistrelli di mare, murene, pesci farfalla, pesci angelo, pagliaccio, pilota, smeriglio, pesce luna, lupo, palla, drago di mare; voltò pagina e due teste scheletriche di pesci abissali con le bocche semiaperte, come in un lamento, lo fissavano con occhi telescopici: due enormi bolle gelatinose. Un giorno sfogliarono insieme l'atlante, gli fu mostrato come la terra fosse allagata da cotanta acqua e Paddock annegava in quell'azzurro che mai vide se non in cielo. Conosceva solo l'acqua del pozzo, grigia, molle, imprigionata in quel buio fumoso. La madre gli indicò sulla cartina il punto dove di trovavano e Paddock misurò la distanza dal mare: era a due palmi da quel posto. Gli sembrò meravigliosamente vicino. Le case a quell'ora sfavillavano ancora e fendevano i raggi del sole in calde sfumature cromatiche, disegnando sulla sabbia 46 svariate forme: sagome e linee; i bambini costruivano i loro giochi sui colori e ne conoscevano come nessun altro bambino sulla terra. Paddock li osservava dalla finestra con stretta nella mano una pietra tempestata d'argento che rifulgeva sulla sua espressione né infantile né adulta, era una via di mezzo e sognava in un senso e nell'altro. Nascondeva quella pietra come il più gran segreto, era pericoloso mostrarla, sarebbe stato assalito da domande di cui aveva dimenticato le risposte. Restò più tempo del solito rinchiuso nella stanza, abbracciato alla sua pietra e con gli occhi versati al pozzo. Una domanda s'insinuava sempre più pretenziosa: quell'acqua, quella torbida massa d'acqua, poteva condurlo al mare? O perlomeno ad un fiume che l'avrebbe poi riversato nel mare? Sospirava senza paura, era un sospiro liberatosi da un fragile indugio. E cullava la sua pietra. "ninninà, la mia diletta: ninninà, sei la mia barchetta che cammina con baldanza quella che nun teme venti ni tempesti di lu mari. Addorméntate per pena: fati voi la ninninànna ... Carica d'oru e di perii, carica di merci e panni, li veli son di broccatu venute da mari indiani, li timoni d' oru fini con li lauri più rari. Addorméntate ... Quando poi nasceste vui, la cumari fu la luna e lu sole fu cumpari. I stelli eh' eranu in cielu d'oru aveanu li cullani Addorméntate ... Intanto la sera scioglieva il cielo nelle sue ultime gocce di blu cobalto che si stemperavano nel blu d'oltremare. Quando tutti s'intonarono alla notte, Paddock uscì silenzioso e s'avviò con la sua pietra al pozzo. Rotonda, scura, quella bocca mormorava dolci inviti a Paddock che mollemente esitava, finché staccò la sua figura dalla notte lasciando solo due larghe orme. La madre preoccupata lo cercava, ispezionò tutti gli angoli della casa, i sospetti di quella giornata sedicente e di chiacchiere favolose si risvegliarono alla sua mente. Corse fuori in preda al panico. "Paddock, Paddock!" Le prime candele resero brillanti alcune case; quando arrivò al pozzo anche gli altri la raggiunsero e fu tutto un brulichio di luci. A voce bassa e implorante chiamava. "Paddock ... Paddock ..." • Avrebbe voluto tenerlo sotto l'ampia gonna come quando lo riparava dalla sua incomprensione; s'affacciò nel pozzo e invocava, mentre l'eco avvinghiava il dolore. Doriana si avvicinò cercando di trattenerla, di allontanarla. Paddock raggomitolato aldilà del pozzo s'alzò con occhi incantati. "Mamma, sai, ho visto il mare ..."

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