INCONTRI/BENNI in tutta la cultura italiana, tutto lo spazio che occupa e che toglie alle altre forme di cultura. Contro questo io penso che, pur con tutte le sue difficoltà, una delle armi possibili possa essere il libro. Il linguaggio di cui ti servi è vivacissimo e mirabolante, e soprattutto nuovo. Ci sono parole da te inventate che sembrano destinate a finire nei dizionari della lingua italiana. Di questo molti critici si sono accorti, e io vorrei solo accennare a un aspetto del discorso. Tu ti poni seriamente il problema di un referente, di un lettore. A che lettore pensi? Il tuo linguaggio concentra molti linguaggi, ma somiglia soprattutto, mipare, a un immaginario linguaggio giovanile di oggi. Non penso in particolare a un giovane, ma a qualunque persona che abiti dentro il linguaggio dei media e non si faccia atterrire dal potere della televisione, che abbia nuova curiosità per il linguaggio. Un lettore attento è stimolato da vari linguaggi, da quello della tv a quello della musica, senza per questo rinunciare a leggere libri, ad amare i classici e magari anche lingue come il latino o il greco. Esiste una specie di linguaggio "interrazziale" che non deve mettere paura, poiché non dobbiamo soltanto cercare di salvare il nostro dialetto, o la nostra lingua di stile, o la lingua che crediamo piaccia ai critici. Penso a un linguaggio che cancelli una volta per tutte la sciocca distinzione tra alto e basso, che riserverei ormai a ben altre manifestazioni della cultura italiana ... È veramente ridicolo che esistano scrittori che temono di contaminarsi con linguaggi come il rock o i nuovi linguaggi urbani. Questa è la musica che stiamo ascoltando tutti, non soltanto i giovani, e: o ci ritiriamo in una camera di sughero ad ascoltare le parole di Kafka, o ci mettiamo a parlare medioevale oci limitiamo a inventarci dei rap. lo penso siapossibile comunicare col linguaggio di una società dove si vive insieme. È questo il problema vero dell'Italia di oggi, dove non è saltata soltanto la governabilità, sta saltando il concetto stesso del vivere insieme. Tu non sei uno scrittore per l'infanzia, anche se i tuoi libri vengono molto letti da ragazzini dai tredici anni in su, con molto godimento. Oggi il problema non sembra più essere quello del "mondo salvato dai ragazzini", ma di salvare i ragazzini da una certa idea del mondo, per esempio dalla televisione. Cosa bisognerebbe fare per loro? Riuscire a farli leggere, pensare a loro come a un pubblico che ha il dono dell'intelligenza, sarebbe già un modo per comunicare. Gli adolescenti si arrendono abbastanza in fretta alla televisione, ma c'è da dire che la televisione fa molto per loro, in senso negativo ma fa: li circuisce, li seduce... Nell'atteggiamento degli scrittori c'è a volte un disprezzo totale per questo pubblico. In nome di una maturità della letteratura, e di un letteratura riservata alla funzione adulta dell'uomo, come se questi scrittori o critici non avessero cominciato a leggere a dodici-tredici anni. Questo disprezzo è un po' finto, perché in realtà, essendo gran parte della cuitura letteraria italiana fatta di vecchi (vecchi come mentalità), ne risulta che loro ai giovani non sanno parlare, e si arrabbiano e 40 Un'immagine di Alton, do lago Oliva loro in Mix, Rizzali 1990). vendicano di questo, accusando i giovani di non starli a sentire. Oltre al rifiuto di una distinzione rigida tra cultura alta e bassa, tra culture e sottoculture, bisognerebbe pensare, e non credo sia solo un sogno, che un ragazzo di dodici-tredici anni può benissimo sceglier un libro o scegliere di non guardare la televisione o scegliere di ragionare con la propria testa, ma naturalmente bisogna che qualcuno lo seduca, si faccia vedere, si mostri perché se ci ritiriamo da questa zona della cultura e trattiamo i ragazzini solo come carne da concerto, loro giustamente sceglieranno la televisione o il cinema, che invece pensano molto a loro. Il cinema americano ha come pubblico privilegiato, come target, i ragazzi di dodici-tredici anni ... Tufai molti incontri in libertà per parlare dei tuoi libri. Ti capita di confrontarti con un pubblico di giovanissimi: che impressioni ne ricavi? Questi incontri sono l'unica cosa che faccio volentieri, quando esce un libro. E vi si vedono ragazzi che sembrano scoprire che non vivono nelle catacombe, che ci sono persone come loro che leggono certi libri e che non ci sono solo gli appuntamenti televisivi per parlare di televisione ... Il fatto che vengano seisettecento ragazzi a sentire degli scrittori (non solo me, naturalmente-) non fa notizia mentre c'è un'attenzione un po' vigliacca di tutti e in particolare della cultura di sinistra a tutto ciò che è televisivo, perché parlando di televisione si entra nella chiacchiera mentre parlando di cose più marginali si corre il rischio di non sentirsi al centro di questa recita. Neanche questo aiuta i giovani, anzi li emargina due volte: la prima quando fanno una scelta così individuale e culturale, rispetto alle parole d'ordine generali e generazionali, e la seconda perché quando si scoprono in molti, non trovano riscontro di questo, nei sondaggi viene sempre fuori che i giovani non leggono, che i giovani sono
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