Linea d'ombra - anno XI - n. 78 - gennaio 1993

A che punto della sua vita ha avuto chiara coscienza della sua vocazione di scrittore? Forse vocazione non è la parola giusta. Ho desiderato di essere scrittore verso i diciassette anni, contemporaneamente ho sicuramente saputo che lo sarei diventato. A quel tempo aveva in mente un altro mestiere? L'insegnante. Per necessità. Ma ho sempre voluto un secondo mestiere per poter essere libero nel mio lavoro di scrittore. Al tempo de II dritto e il rovescio aveva qualche idea sul suo avvenire? Dopo Il dritto e il rovescio ho avuto dei dubbi. Volevo rinunciare. Ma poi una forza vitale, esplosiva, ha voluto esprimersi dentro di me: e ho scritto Nozze. Aveva difficoltà a conciliare il lavoro creativo e il ruolo sociale che era costretto ad assumere? Questo è stato per lei un problema importante? Ovviamente. Ma l'epoca ha finito per dare un volto così risibile e così odioso alle "preoccupazioni sociali" da permettere, su questo punto, di liberarci un po'. Ciò non toglie che scrivere quando altri sono imbavagliati e incarcerati è un esercizio delicato. Per non scadere in una direzione o nell'altra occorre ricordare sempre che lo scrittore vive per la sua opera e si batte per la libertà. Si sente a suo agio nella sua personalità di scrittore? Molto, nei rapporti privati; ma l'aspetto pubblico del mio mestiere, che io non ho mai amato, mi diviene insopportabile. Se per qualche motivo dovesse smettere di scrivere, pensa di poter essere comunque felice? Il semplice "accordo tra il piede e la terra" di cui parla in Caligola basterebbe a compensare la felicità dell'esprimersi?· Quand'ero più giovane avrei potuto essere felice anche senza scrivere. Oggi ancora possiedo grandi doti per una felicità muta. Ma devo riconoscere che probabilmente senza la mia arte non saprei più vivere. Pensa che il successo precoce - il fatto di essere stato considerato, nel bene e nel male, dal tempo dill mito di Sisifo, come un "maftre à penser" - abbia dato alla sua opera un indirizzo particolare? Crede insomma che avrebbe scritto gli stessi libri se li avesse composti in una relativa oscurità? Naturalmente la reputazione ha cambiato molte cose. Ma su questo punto non ho molti complessi. La mia regola è sempre stata molto semplice: rifiutare tutto ciò che è possibile rifiutare senza far chiasso; e in ogni caso non brigare mai niente, né la reputazione né l'oscurità. Accettare in silenzio l'una o l'altra se arrivano, e forse anche l'una e l'altra? Quanto al "maitre à penser", è una cosa che mi fa ridere. Per insegnare bisogna sapere. Per dirigere bisogna dirigersi. Detto questo, è vero che ho conosciuto la servitù della fama prima di aver scritto tutti i miei libri. Il risultato più chiaro è che ho dovuto e devo ancora strappare alla società il tempo della mia opera. Ci riesco, ma mi costa molto. INCONTRI/CAMUS Albert Camus in due fata di René Saint·Paul. Considera che la sua opera sia per l'essenziale compiuta? Ho quarantacinque anni e una vitalità piuttosto costernante. Lo sviluppo della sua opera risponde a un piano generale stabilito molto prima - o questo piano lei lo scopre man mano che scrive? Le due cose. C'è un piano che viene modificato dalle circostanze, da un lato, e dall'altro dall'esecuzione. Qual è il suo metodo di lavoro? . Note, pezzi di carta, vaghe fantasticherie, e questo per anm. Un giorno arriva l'idea, la concezione che coagula queste: sparse particelle. E comincia allora un lungo e fa~icoso la':oro_d1 messa in ordine, tanto più lungo in quanto la rrna anarchia di fondo è smisurata. Sente il bisogno di parlare dell'opera in corso di elaborazione? . No. E quando eccezionalmente mi capita di farlo, non sono contento di me stesso.

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