CONFRONTI Spiritisgherri e mendicanti. Lepresenze di BenOkri Andrea Berrini , Capisco che il libro del nigeriano Ben Okri The Famised Road (La via della fame, Bompiani 1992, trad. Susanna Basso), abbia suscitato tante attenzioni al momento della sua pubblicazione in Gran Bretagna nel '91: il materiale di cui si compone - gli spiriti, i sogni, i mendicanti e gli umani che abitano una qualunque periferia di una qualunque grande città africana prima durante e dopo la conquista dell'indipendenza - non era mai stato portato alla luce con tanta compiutezza. E sarebbe meglio dire: il materiale di cui si avvale l'autore. Perché difficilmente, credo, uno scrittore ha a disposizione un universo così frastagliato di mitologie ed esistenze terrene, dove l'apparizione della prima automobile genera più meraviglie di quella del mostro a tre teste, dove i muri in terra battuta del bar di Madame Koto accolgono in modo equanime presenze diverse come grammofoni, lucertole parlanti, puttane, sgherri di regime dagli occhiali scuri e misteriose pozioni, e dove l'avvento della corrente elettrica - sia fatta luce- segna lo spartiacque fra il vecchio mondo e il nuovo. Ed è compito difficile parlare di questo libro, perché è impossibile stare alla pari dell'autore e della sua descrizione del mondo, che trova la sua chiave nella scelta del punto di vista protagonista: I' abiku, lo spirito bambino sempre a cavallo fra il mondo dei vivi e quello dei suoi spiriti compagni, l'Azaro - questo il suo nome - che rinasce dalla sua morte precoce; e quanto ci sarebbe da dire su quel che significa per un paese del sud del mondo ciò che con un freddo, agghiacciante termine tecnico viene definito indice di mortalità infantile, indicatore privilegiato del grado di sviluppo, e Ben Okri tratta invece per quel che è: uno spirito, forse lo Spirito di una Nazione. Ben Okri, ci informa il risvolto di copertina, è nato nel 1955. Appartiene dunque a una generazione successiva a quella di Wole Soyinka e di un altro suo illustre predecessore: quell'Amos Tutuola, anch'egli nigeriano, che c'onil suo Il bevitore di vino di palma, e poi con La mia vita nel bosco degli spiriti, inaugurava la stagione del riconoscimento internazionale della letteratura africana in lingua inglese. Vino di palma e spiriti per Tutuola, dunque, vino di palma e spiriti per Okri. Ma dove inTutuola il linguaggio e la cadenza erano ancora quelli del griot, del cantastorie nomade armato di strumento a corde e tradizione orale, e l'ambientazione era ancora la foresta e il villaggio, ora in Ben Okri l'ambiente è quella periferia metropolitana in cui vive ormai quasi la metà della popolazione africana-il cuore nascosto del nostro mondo 22 -e il linguaggio modernissimo, polifonico e avvolgente è l'unico in grado di darcene una rappresentazione completa, che travalica poi il proprio scenario per diventare sguardo dal basso verso l'alto, verso il nostro-mondo bianco quassù. Noi, i bianchi, spesso evocati da Okri, da Azaro, daMamma ePapà, daMadame Koto; noi che elargiamo i nostri miracoli automobilistici, grammofonici ed elettrificati, a una scena che non ci può accogliere: e l'unico bianco che partecipa a quella storia viene presto divorato dalle acque torbide della cava, da cui la sua squadra di operai estraeva il materiale necessario a trasformare la foresta in metropoli. Fortunato è Ben Okri: perché gli spiriti, lui li ha già a disposizione, e non ha bisogno di inventarli come invece sono costretti a fare tanti suoi colleghi bianchi. Non posso fare a meno di paragonare la sua città alla Parigi-Belleville di Daniel Pennac, dove la polifonicità viene ricostituita proprio grazie all'ingresso sulla scena parigina di Mo il Mossi, di Simon il Cabila, di esuli croati e poliziotti vietnamiti: dal basso verso l'alto, sempre, con la fatica di rendere carne e ossa a quelle presenze che noi bianchi, monoteisti incalliti, ci ostiniamo a negare. E il risultato è che paradossalmente appare più realistica la città di Okri che non quella quasi surreale di Pennac: ambedue verosimili, certo, e a tutti e due gli autori va il nostro ringraziamento per averci raccontato in questi anni rarefatti qualcosa di vero. Ma dove sono gli spiriti, qui da noi, a Milano ad esempio? Chi ha mai saputo evocarli per raccontarci dal vero questa Italia? Se i personaggi di Okri funzionano perché sono dei posseduti; se ciascuno di noi pure è posseduto da una sua storia interna ineffabile, attraverso la quale compone la sua visione del mondo; da quali misteriosi poteri e potenze sono invece posseduti i personaggi dei nostri romanzi? Non certo dallo Spirito di una Nazione: semmai da spiriti sovranazionali e multinazionali. E di questo vorrei narrassero più spesso i narratori italiani. La periferia africana dunque, devastata dalla modernità indotta da noi dominatori, può insegnarci a raccontare la nostra storia presente. E tanto più può farlo un autore abituato fin da giovane a varcare le soglie che separano la lontana campagna nigeriana dalla periferia di Londra, il ghetto della tremenda Lagos dagli ambienti intellettuali britannici. Scrive Ben Okri: "In principio era un fiume. Il fiume diventò una strada, e la strada estese le sue ramificazioni sul mondo. E giacché, un tempo, la strada era stata un fiume, la sua fame era insaziabile." E poi: "Osservavo il mondo che si dissolveva, in un delirio di storie". E ancora: "Poi, un pomeriggio, il tempo si mosse e, nel mondo, accadde qualcosa". E infine: "Futuri non ,ancora visibili affollavano gli spazi. Poteri non ancora esercitati invadevano l'aria". Percorrendo a Parigi il Bouleverd Belleville in un giorno di mercato, ci assale la ben nota sensazione di trovarci nello spazioporto di Guerre Stellari. Simile a quel luogo di transito, vero porto franco dello spirito, è la periferia africana di Ben Okri. Che ce Io dice chiaro e tondo: "Chiamarono in causa ginn e chimere, succubi, incubi e apparizioni; arruolarono spettri di antichi guerrieri, uomini di stato e strateghi; assunsero spiriti dell'Occidente." Papà, il padre di Azaro, ha un sogno: trasformarsi da scaricatore di camion in pugile professionista prima, e poi da eroe combattente di quartiere in agitatore politico: non il partito dei Poveri, dunque, che poco sembra differire dal partito dei Ricchi con il quale si spartisce le spoglie della Giovane Nazione abbandonata al suo destino dai colonizzatori; ma un partito tutto suo, di Papà; un partito per cui possano votare i mendicanti per i quali lui costruirà case, scuole, ospedali. E così attorno alla propria casa Azaro e Mamma vedono affollarsi la comunità degli storpi, dei ciechi, dei ragni umani e dei vecchi, in attesa che il sogno di Papà si realizzi. E Papà, seguendo le tracce del suo figlio abiku, combatte la sua battaglia a metà strada fra il mondo dei vivi e quello dei non vivi - perché quella è la zona dove si possono trasformare le cose, ed è lì che avvengono le più autentiche rivoluzioni-. E al suo risveglio ci darà la risposta: " (...) Mio padre, decano del santuario della Strade, mi è apparso e mi ha ordinato di tenere la porta aperta. Il mio ~uore deve restare aperto. È la . mia vita. È la nostra vita. Una strada aperta non può avere fame. Stanno arrivando tempi bizzarri." Che la porta resti sempre aperta, allora: "Un sogno, può essere il punto più alto di tutta la vita", conclude Ben Okri.
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