IL CONTESTO ì. Gli impiegati e i loro figli Una storia che riguarda il '68 e anche il '93 Luigi Bobbio e Mariuccia Salvati Il saggio di Mariuccia Salvati (Il regime e gliimpiegati. La nazionalizzazione piccolo borghese nel ventennio fascista, Later_za,pp. 268, L. 30.000) sull'impiego pubblico sotto il fascismo è molto importante per capire anche quello che è venuto dopo. Lo ha recensito su "L'Unità" · Luigi Bobbio, avanzando obiezioni sull'interpretazione che ne deriva del movimento del' 68 come "rivolta contro i padri", e in particolare quei padri, il ceto medio del pubblico impiego. Questo ha dato luogo a uno scambio di lettere tra i nostri due amici che ci è parso di grande interesse per capire meglio la nostra storill contemporanea, il passato prossimo, la generazione del '68 e le sue forze e debolezze, ma anche la nostra crisi presente e il nostro stesso futuro. La recensione di Bobbio è apparsa su "L'Unità" del 16.11.92. Il sessantoNo del catasto Luigi Bobbio In un momento in cui ci si interroga sul senso della nostra unità nazionale, giunge del tutto a proposito il libro di Mariuccia Salvati sugli impiegati pubblici nel regime fascista. In realtà questo lavoro è il frutto di una ricerca storica iniziata molti anni fa, quando la disunità d'Italia non era ancora all'ordine del giorno. Ma la scelta interpretativa dell'autrice si rivela oggi di straordinaria attualità. G!i impiegati pubblici sotto il fascismo sono visti infatti come caso emblematico e punta emergente della nazionalizzazione culturale operata dallo stato e dal regime; il veicolo di una cultura comune, uniforme, diffusa nel territorio nazionale, ma non necessariamente fascista, i cui effetti si faranno sentire a lungo nella storia italiana. 10 Anzi l'autrice sceglie esplicitamente di interrogare quella vicenda a partire da un episodio meno remoto: il movimento del '68. E si pone una domanda inconsueta: come è potuto accadere che alla fine degli anni Sessanta un linguaggio di contestazione culturale accomunasse di colpo tutta l'Italia superando fratture storiche e confini geografici apparentemente insormontabili? La sua risposta è che il movimento del '68, indubbia espressione delle classi medie, deve molto alla cultura impiegatizia dei padri, impregnata di un testardo rispetto per le norme e di una visione del mondo non provinciale, intrisa di reminiscenze classiche e di passione disinteressata per valori universalistici. Questi pezzi di cultura nazionale - osserva l'autrice - si potevano trovare dovunque tra gli anni Trenta e Cinquanta, a Melfi come a Bolzano, trasportati sul territorio nazionale al seguito dei frequenti rimescolamenti territoriali voluti dallo Stato fascista per i suoi impiegati. L'idea che il movimento del '68 abbia costituito una rivolta contro i padri in nome dei loro stessi valori non è nuova, ma in Italia è stata prevalentemente pensata con riferimento ali' antifascismo e alla resistenza. L'ipotesi, decisamente innovatrice, dell'autrice è quella di retrodatare questa influenza al periodo fascista e di collocarla non nelle bande partigiane, ma negli uffici del catasto, nelle intendenze di finanza, nelle preture o nei tribunali. Ma come si presentavano i pubblici impiegati in quegli anni? Attraverso l'esame di statistiche, documenti d'archivio, riviste sindacali, leggi e circolari, Mariuccia Salvati ci guida verso un'interpretazione molto netta: durante il fascismo hanno convissuto due burocrazie, contraddistinte non solo da culture distinte e contrapposte, ma anche da matrici geografiche e compiti funzionali diversi. La prima burocrazia è quella tradizionale dello stato, di origine Foto di Uliano Lucas.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==