IL CONTESTO ANTOLOGIA Il loro rozzo antisemitismo Heinrich Mann a cura di Maria Teresa Mandalari Gli avvenimenti (non solo tedeschi) intensificatisi negli ultimi mesi a danno delle comunità ebraiche sospingono curiosità e interesse a verifiche e riscontri storici circa origini e motivazioni dell'intero rigurgito razzistico. È naturale che, innanzitutto, si risalgaper la Germania al periodo prebellico della repubblica di Weimar (anni venti.fino al fatidico 1933). Anche se situazione politica, panorama e strutture psico-sociali si sono, durante un sessantennio, variamente mutate, esistono però indubbiamente alcuni punti-chiave di natura storica e antropologica chepossono chiarire lati oscuri o controversi. Ed è altrettanto naturale che, a tale scopo, si interroghi - al di là di ogni differenza di approccio e di scrittura - la migliore saggistica epubblicistica di un'epoca in cui questa ancora rappresentava un valido punto di riferimento e di appoggio nell'evoluzione delle idee, nella formazione dello spirito pubblico e quindi nell'incidenza giudicante suifatti. Heinrich Mann (1871-1950), noto (purtroppo) da noi quasi unicamente come autore de L'angelo azzurro (tratto, come si sa, dal romanza Il professor Immondizia), è stato oltre che fecondo narratore uno degli scrittoripiù appassionatamente epuntigliosamente assidui e moralmente coinvolti per il suo alto spirito civile nell'osservare, giudicare e descrivere in un gran numero di saggi (mai tradotti in Italia ma di cui l'editore Marietti sta preparando una raccolta)gli avvenimentipolitici del suo tempo: conun'acribia e spregiudicato senso di responsabilità che, uniti a virulenta schiettezza constatativa, gli hannopoi in seguitofruttato un 'umilianteprecarietà esistenziale in Usa,nei rimanenti diciassette anni di esilio dopo il '33. Nella grande famiglia dei Mann, l'unico soggetto ebraico era la mogliedi Thomas, Katia Pringsheim, eper derivazione i sei.figli della coppia. Heinrich, personalmente, non avrebbe avuto nulla da temere:se nonfosse stata appunto la suaprecoce e decisapresa di posizione politica nei confronti dei nuovi dominatori, fin dagli inizi (putsch del 1923). Era inoltre una vecchia conoscenza del capitalismo imperialistico guglie/mino, quasi per nulla scalfito dall'avvento della repubblica weimariana, da quando nel 1914 aveva pubblicato il famoso romanza Il suddito ( da noi: Einaudi, 1955), ritenuto non a torto unodei libri più coraggiosi del secolo. E i successivi saggi e scritti (come anche quello che di seguito proponiamo) proseguono con estremo acume l'indagine antropologica della Germania, recentemente ripresa - sulla falsariga della insicurezza - da Norbert Elias (in I tedeschi, lotte di potere ed evoluzione dei costumi nei secc. XIX e XX, Bologna, Il Mulino, 1991). Heinrich Mann presidente dell'Accademia delle Arti a Berlino, ne viene estromesso nelfebbraio 1933, subito dopo l'incendio del Reichstag. Fatto oggetto di minacce, prese la via dell'esilio. Nel maggio, ebbe luogo il rogopubblico dei libri, e nemmeno i suoi vennero naturalmente risparmiati. Si rifugiò a Nizza e lì tra il marza e il settembre scrisse una serie di saggi - tra cui lo scritto qui riprodotto - che, uniti ad altri già usciti su riviste antifasciste straniere, composero il volumetto intitolato Der Hass. Deutsche Zeitgeschichte (L'odio. Storia tedesca contemporanea), ripubblicato a Berlino-est nel 1983 (Aujbau Verlag). Allora, il libro era uscitoprecedentemente inedizionefrancese aParigi da Gallimard e poi subito in tedesco nello stesso anno presso quel Querido VerlagdiAmsterdam resosigià benemerito per lepubblicazioni di letteratura antifascista. (M.T.M.) a I tedeschi odiano gli ebrei. Quantomeno credono alle parole dei loro capi, che strombazzano l'antisemitismo come una conquista tedesca. I tedeschi compiono adesso contro la propria minoranza ebraica azioni con cui innanzitutto nuociono più che altro a se stessi. Perché in tal modo incorrono nel disprezzo, che è assai peggio dell'essere odiati. In realtà, i tedeschi sono l'ultimo popolo che abbia diritto a odiare gli ebrei. Sono troppo simili a loro. Anch'essi infatti, come singoli, si fanno notare attraverso i loro "grandi uomini". Come singoli, superano spesso il valore della loro nazione. "La Germania è nulla, ciascun tedesco è molto", dice Goethe, il cui centenario è stato ancora per l'appunto celebrato prima che in Germania esplodesse la barbarie. Oggi, il più grande dei tedeschi sarebbe stato semplicemente ignorato, perché da lui a Hitler non esiste via alcuna. Da tempo è stato notato che sia tedeschi che ebrei ritengono di essere il popolo eletto. Bisognerebbe però chiedersi ciò che questo significhi e quali siano i retroscena di una tale esagerata autoaffermazione. Non è indizio di una effettiva sicurezza interiore. Quando taluno fa molto chiasso su se stesso, in nove casi su dieci il motivo è da ricercare nel fatto che dubita di sé- il che non è un difetto. Il dubbio può essere fecondo, non bisognerebbe reprimerlo. La storia in gran parte infelice, tanto degli ebrei come dei tedeschi, è stata, in tutto e per tutto, fonte di riserve sul loro carattere. Da ciò deriva l'autoironia ebraica: cos'altro mai, infatti, è la loro famosa mordacia! Nei tedeschi, invece, il "complesso d'inferiorità" viene "supercompensato" in altro modo, e cioè attraverso l'arroganza del comportamento. E dov'è che si manifesta maggiormente tale arroganza? Nelle parti orientali del paese, dove meno che mai si dovrebbe parlare di nazione, e in particolare di razza: perché tutto l'oriente, la vera e propria Prussia, è abitata dai discendenti di stirpi slave, e ancora due o trecento anni fa vi si parlava ben poco il tedesco. In effetti, invece, è proprio quella la sede del nuovo nazionalismo razzistico. E da germano si va presentando anzitutto chi non lo è stato nemmeno in epoca preistorica. Anche l'antisemitismo, del resto, non ha avuto il suo focolaio nell'antico territorio di cultura tedesca, e non è certo di là che ha preso le mosse in epoca contemporanea, quanto piuttosto dalle province. che un tempo sono state area di colonizzazione interna. Il che non impedisce che, alla fine, ne venisse contagiata l'intera Germania, esattamente com'è accaduto con l'imperialismo guerriero, venuto anch'esso dalla Prussia. Quando un individuo civilmente raffinato convive con uno più rozzo, chi dei due avrà influenza sull'altro? La risposta purtroppo è tassati va in partenza,'almeno nella maggior parte dei casi. È meglio non indagare più oltre: l'antisemitismo tradisce un difetto di equilibrio interiore in una nazione, esattamente come avviene con quell'ingiustificato e violento imperialismo che alla fine ha condotto la Germania ad una così infausta guerra. Fin dagli anni precedenti al 1914 infatti, l'Inghilterra veniva odiata da molti tedeschi, proprio come accade ora con gli ebrei, rei di togliere di nuovo ai tedeschi il loro posto al sole, come essi credono. Io non ho potuto far altro che compatire sempre i miei compatrioti per tale loro infelice passione, di provare cioè odio per gli altri sol perché, a parer loro, erano privilegiati dalla fortuna. Personalmente, come scrittore, ho avuto alcuni coetanei che hanno goduto di un successo maggiore del mio: odiati non li ho mai, e quand'era possibile li ho ~oltanto ammirati. Ma io peraltro appartengo ad un'antica famiglia della vecchia Germania, chi ha tradizioni è al sicuro da sentimenti distorti. La tradizione favorisce la conoscenza, e rende inclini a scetticismo e mitezza. Solo gli arrivisti si comportano talvolta come i selvaggi. A guerra perduta non rimase ai tedeschi, sul momento, prospettiva alcuna di poter mettere ancora una volta alla prova su altri
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