1 2 VISTA DALLA LUNA ~ ~ <t: ...... sospensione per periodi di tempo predeterminati dalla legge o di gestione della pena in parte all' interno del carcere ed in parte all'esterno. Il carcere, in sostanza, in tanto può assolvere alla sua funzione di luogo di rieducazione, in quanto vi sia un attivo e costante coinvolgimento della società esterna, chiamata, in un primo momento, a preparare il terreno al reinserimento del condannato, e successivamente ad accoglierlo, una volta libero, nel quadro di una visione solidaristica dei rapporti umani che già al momento dell'approvazione della legge del 1975 non mancò di destare più di una perplessità. Mentre nessuno ha mai dubitato dell'estensibilità automatica al detenuto straniero del complesso di garanzie afferenti al "diritto penitenziario in senso stretto", ossia al trattamento intramurario (l'art. 33 DPR 431/76 assai correttamente impone che, nell'esecuzione della pena per gli stranieri si tenga conto delle loro difficoltà linguistiche e delle differenze culturali), nei primi anni di applicazione della riforma si è discusso se anche le misure alternative alla detenzione potessero trovare applicazione in favore dello straniero.L'argomentazione contraria addotta in prevalenza da coloro che negavano questa possibilità poggiava su considerazioni assai simili a quelle sopra descritte con riferimento alla condizione differente dello straniero rispetto al cittadino: poiché, si diceva, la maggior parte dei condannati stranieri saranno espulsi una volta espiata la pena, e poiché essi sono comunque privi di stabile inserimento sul territorio, non si vede a che scopo, e in vista di quale utilità, anticiparne la scarcerazione o ammetterli a forme di esecuzione della pena alternative alla mera custodia in carcere. Non si capisce, insomma, perché rieducare gli stranieri se poi non dovranno, per forza di cose, essere reinseriti nel nostro contesto sociale. Dopo iniziali oscillazioni, la Giurisprudenza della Corte di Cassazione risolse il dilemma in senso favorevole allo straniero. Il concetto di rieducazione, fu sostenuto in alcune sentenze-pilota, non può incontrare limiti di ambito territoriale, soprattutto nel quadro di una comunità internazionale in cui gli Stati non sono più chiusi ciascuno all'interno del proprio ordinamento, ma vivono di scambi reciproci e tendono a favorire la circolazione dei rispettivi cittadini. La rieducazione, iniziata in Italia, può pertanto dispiegare i suoi benefici effetti anche in terra straniera, e nei confronti degli stranieri non può operare alcuna preclusione. Che, aggiungiamo noi, sarebbe stata comunque contraria alla Costituzione. 7. Sul piano del diritto positivo, a dar concretezza al principio di rieducazione provvede l'art. 15 della citata legge 354/75, che statuisce: "il trattamento del condannato ... è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e con la famiglia". Di là dall'enfasi normativa, della quale il laico disincanto che immancabilmente pervade gli operatori del settore autorizza a diffidare, è innegabile che l'istruzione, intesa come offerta di conoscenze a partire dai minimi livelli di alfabetizzazione, sia chiamata a rivestire un ruolo decisivo nel progetto rieducativo. TraCARCEREE IMMIGRAZIONE montata, a seguito del fenomeno della dissociazione dalla lotta armata ed in conseguenza delle mutate condizioni storiche, l'epoca degli "anni di piombo", con le sue migliaia di detenuti armati di conoscenza politica, dialettica, buona cultura di base, il carcere è tornato a costituire il più sfruttato contenitore di marginalità di cui attualmente questa organizzaziòne sociale dispone. Accanto a una sparuta minoranza di detenuti ad elevato indice di pericolosità (i "boss" della criminalità organizzata o del narcotraffico), ed a pochi "delinquenti in guanti gialli" (bancarottieri, evasori fiscali), in realtà il carcere pullula di ragazzi di strada, gregari manipolati da astuti capi, giovanissimi tossicodipendenti, molti dei quali sieropositivi, e, come si è già detto, stranieri. Orbene, l'analfabetismo, originario o di ritorno, è, per una esigua minoranza, la regola; e molti altri - in particolare modo nelle regioni meridionali - entrano nel circuito penitenziario minorile o degli adulti, per dirla in soldoni, "con la terza elementare". In queste condizioni, l'offerta d'istruzione costituisce il primo, elementare approccio in chiave di alternativa proposta a radicati schemi di vita devianti: il carcere che "insegna" pretende, assai opportunamente, di essere decisamente antagonista alle deficienze della società esterna. E gli stranieri, non foss' altro che per l'opportunità loro data di impadronirsi dei meccanismi elementari della lingua italiana, sono tra i più diretti beneficiari dell'offerta di istruzione. Prescrive l'art. 19 della legge che "negli istituti penitenziari la formazione, culturale e professionale è curata mediante l'organizzazione dei corsi della scuola d'obbligo e corsi di addestramento professionale ... con l'ausilio di metodi adeguati alla condizione dei soggetti. Particolare cura è dedicata alla formazione culturale e professionale dei detenuti di età inferiore ai 25 anni. Con le procedure previste dagli ordinamenti scolastici possono essere istituite scuole di istruzione secondaria di secondo grado ...". La stessa norma garantisce la fruizione di corsi per corrispondenza, il compimento degli studi universitari, l'accesso a biblioteche interne per la scelta dei cui testi (alla quale partecipano detenuti componenti l'apposita commissione interna) è garantita "piena libertà". Le norme regolamentari contenute nel DPR.431/ 76 (artt. 39-44) dettagliano le modalità di accesso ai corsi, che sono organizzati d'intesa tra i ministeri della Pubblica Istruzione e della Giustizia, con specifiche prescrizioni a carico del Provveditore agli studi e possibilità di ricorso a volontari qualificati. La disciplina è, ancora una volta, in astratto e in linea teorica, quanto di meglio si possa esigere da un carcere "riformato": ma il ricorso al metodo contrattualistico delle intese finisce col rimetterne, ancora una volta, l'applicazione concreta ad un complesso di circostanze esterne alquanto aleatorie. Tutto dipende, in buona sostanza, dall'atteggiamento culturale dei coinvolti. Direzioni aperte, funzionari interessati e sensibili, una società civile disponibile, garantiscono della riuscita del disegno normativo. Ma laddove non si verifichi questo incontro di volontà, i progetti rieducativi in tema di istruzione saranno destinati a restare lettera morta. In questo stato di cose
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