Linea d'ombra - anno X - n. 77 - dicembre 1992

SCUOLA E IMMIGRATI turale dovranno perciò comprendere, oltre agli argomenti già indicati, una rilettura critica della storia mondiale. Il problema della distribuzione delle delle risorse riei rapporti tra mondo sviluppato e quello che ancora viene chiamato Terzo Mondo, il problema dell'incremento demografico e lo stato dell'ambiente come parte integrante dell'economia ci sembrano temi ai quali sia dovuta la massima attenzione insieme ai corsi di lingua o di lingue. La pedagogia interculturale non può essere intesa insomma come semplice orientamento, un'affettazione di modi gentili e tolleranti verso i "primitivi', ma deve riempirsi di contenuti culturali. Un lavoro di questo tipo può essere realizzato solo all'interno di un sistema educativo aperto agli stranieri, sistema che dev'essere rimodellato dall'inizio e che difficilmente può nascere da un semplice riadattamento delle strutture esistenti. In primo luogo l'eterogeneità dell'utenza dei corsi per stranieri (per nazionalità, lingua d'origine,lingue ~cquisite, basi culturali, età, religione, progetti di vita) è talmente marcata da rendere scarsamente efficace la lezione dalla cattedra rivolta a un'entità classe che in realtà non esiste. L'individualizzazione dei programmi è tanto più necessaria in quanto non è realistico aspettarsi da persone adulte con gravi problemi sociali e di lavoro e difficoltà di spostamento, soprattutto nelle grandi città, una frequenza quotidiana e ad orari fissi come nel caso dei minori. L'insegnante può lavorare su molti corsisti, ma non contemporaneamente e quotidianamente su tutti. Secondo gli stessi principi dell'educazione permanente rivolta ad un pubblico adulto è necessario stimolare, favorire al massimo ogni forma di apprendimento autonomo al di fuori dell'ambito scolastico, che diventa così un luogo di stimolo e verifica di un processo che non deve conoscere interruzioni al di fuori dell'aula scolastica. Se si parla dal punto di vista dell'insegnamento individualizzato, la suddivisione tradizionale della scuola in livelli elementare, medio e superiore risulta fuorviante: si tratterà invece di istituire centri circoscrizionali aperti agli stranieri affinché sia possibile per I 'immigrato accedere a percorsi formativi completi, dall'alfabetizzazione a livello elementare fino alla scuola media e superiore e alla formazione professionale. Nel frattempo scontiamo l'assenza di un sistema pubblico di istruzione secondaria per gli adulti o comunque la sua estrema precarietà, e ancora più spesso la rinuncia in favore di scuole private autorizzate a rilasciare il diploma di scuola superiore. Nel campo dell'istruzione secondaria e della formazione professionale per adulti domina la frammentazione, uno stato di "sperimentazione permanente" che quasi sempre copre un vuoto legislativo. Regnano la difficoltà a reperire informazioni e un pullulare di iniziative a pagamento, alcune delle quali finiscono talvolta nel mirino dei giudici. Nonostante l'articolo 9 della legge 943, del 30-12-1986, meglio nota come prima legge Martelli, e la successi va legge n. 39 del 282-90 prevedano l'inserimento degli immigrati extraeuropei nella scuola dell'obbligo e l'avvio di procedure per il riconoscimento dei titoli di studio, nonché l'istituzione di corsi di lingua per stranieri e di idonee iniziative per l'inserimento neila scuola secondaria e per la formazione professionale a carico delle regioni-accogliendo così anche l'invito contenuto in più di una direttiva della Cee - almeno per quanto riguarda la Regione Lazio assistiamo soltanto a iniziative sporadiche, poco pubblicizzate e comunque non in grado di assicurare il logico sviluppo successivo verso un lavoro qualificato o verso l'università. Sarà invece necessario creare delle équipes di figure polivalenti di insegnanti/ricercatori - l'esperienza ci insegna che è indispensabile mantenere un rapporto costante con il territorio per favorire la partecipazione degli stranieri alle attività della scuola - a cui affidare il lavoro di programmazione educativa e didattica affinché lo scorrimento da un livello all'altro sia il più possibile fluido. L'insegnamento della lingua e delle lingue deve rappresentare solo uno dei percorsi, per quanto essenziale, di un itinerario che si sviluppa lungo più direzioni fino a formare un sistema integrato di educazione degli adulti aperto agli stranieri. Nelle grandi città come Roma si dovrà giungere a una rete di centri scolastici circoscrizionali o territoriali per lo scambio interculturale. (Per approfondimenti si rimanda a CISL scuola, N. 12, 1988 e n. 910, 1989,) G. Favara, pedagogista e insegnante nei corsi per immigrati a Milano, dopo aver ripercorso nelle sue linee generali l'evoluzione delle politiche educative per i migranti proposte dall'Unesco e dalla Commissione della Comunità Europea arriva a formulare alcune proposte che si basano soprattutto sulla formazione linguistica e su quella professionale come esigenze maggiormente avvertite dai migranti. A tale scopo si propone l'istituzione di un "dispositivo di formazione generale" e di uno rivolto agli stranieri, collegati tra loro e articolati in "sequenze', che partendo da un lavoro di ricerca/intervento sul territorio prosegua con un'attività di orientamento per poi passare attraverso l'alfabetizzazione e i corsi di 150/ore scuola media fino alla formazione professionale e alla ricerca di un lavoro (Politiche sociali e immigrati, Milano '89). Per quanto riguarda invece la presenza dei bambini e più in generale dei minori stranieri nelle scuole italiane elementari e medie, si auspica l'applicazione dei principi della pedagogia interculturale nonché la messa in opera di una serie di misure di "discriminazione positiva" tramite attività di sostegno, nonché attività prescolastiche e il coinvolgimento dei genitori nel sostegno all'inserimento scolastico, per evitare il fenomeno, oggi assai vistoso, dell'evasione e dell'abbandono scolastico. In linea generale si può concordare con queste indicazioni, seppure andrebbero meglio definite le forme di un "coordinamento" tra le diverse sequenze del dispositivo di formazione, così come andrebbero meglio definiti i rapporti tra gli operatori sociopedagogici e la natura di un rapporto interistituzionale (Stato, regione, altri enti locali) a cui, allo stato attuale dell'Amministrazione in Italia, non è possibile sfuggire. LA TERRA Allo stesso modo meccanismi di "discriminazione positiva" dovrebbero essere meglio individuati e studiati per evitare di incappare nei paradossi di una radicale "politica della differenza'. Il riferimento va a situazioni, particolarmente diffuse negli Stati Uniti - pensiamo ad esempio a certe università della California come Berkeley - per cui vengono stabiliti degli standars di rendimento medio differenziati per ogni gruppo etnico di studenti: se il giovane ebreo o anglosassone deve corrispondere a un livello dieci per superare l'esame, a un afroamericano o a un ispanico basta· un sette perché il livello di rendimento intellettuale medio degli ispanici è considerato, sulla base di opinabili modelli ricavati dai tests attitudinali di psicologi e psicologi sociali, inferiore a quello degli ebrei. In tal modo si raggiungono delle quote minime di "alti livelli intellettuali" rappresentative del campione di popolazione studentesca. L'adozione di queste misure viene giustificata con l'argomento che diversamente i posti più prestigiosi in ambito accademico sarebbero occupati esclusivamente da studenti di origine ebrea o giapponese, seguiti a fatica dagli anglosassoni e via dicendo. Simili meccanismi di tutela dei diritti delle minoranze, particolarmente se venissero applicati nella scuola dell'obbligo, sembrano discutibili per almeno due ragioni: sanciscono "a priori" e in forma definitiva una discriminazione e rinunciano a predisporre nella scuola, sin dall'inizio, forme di sostegno psico-pedagogico per i minori e i giovani appartenenti alle comunità più svantaggiate. Un'ultima osservazione, a mio parere cruciale, riguarda il rapporto tra adulti stranieri nella scl!ola e bambini: non bisogna limitarsi a ricorrere ai genitori dei bambini stranieri per combattere l'evasione e I' abbandono scolastico dei loro figli, ma l'esistenza di corsi per adulti stranieri nella scuola italiana, parallelamente alle attività scolastiche tradizionali, deve fornire l'occasione fondamentale, irripetibile altrove, per una politica di integrazione e per uno scambio interculturale che si appoggia sulla famiglia dell'immigrato e non sul singolo individuo, adulto o minore che sia. La famiglia è il primo, immediato "fornitore" del senso di appartenenza e perciò di identità allo straniero, e la possibilità di coinvolgere un intero nucleo familiare in un programma di scambio interculturale va utilizzata al massimo laddove si presenta. Sia per l'insegnamento della lingua italiana sia per il mantenimento della lingua di origine come per lo stimolo al confronto interculturale, il rapporto tra le diverse generazionidi immigrati con quelle degli autoct~ni,eh~ si trovano a vivere nella scuola gh stesS1 problemi relativi all'educazione_de! figli, è uno dei momenti fondamentah d1 quello scambio di "complessi di esperienze convissute" a cui faceva riferimento Ferrarotti. Questa considerazione ci sembra di particollrè rilievo soprattutto dopo aver analizzato difficoltà, il senso di sradicamentoedi gia come condizioni "patogene" . senti nell'esperienza della Dli L'emigrazione come meno tanto pià grPé .. e: E

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