6 VISTA DALLA LUNA sione critica degli squilibri storicamente sedimentatisi e delle necessità e difficoltà attuali di una cooperazione internazionale. Qualunque pretesa di imporre il pregiudizio eurocentrico e magari di imporlo alle vittime di questo stesso pregiudizio avrebbe esiti disastrosi per la convivenza in una società multiculturale. E certamente molti conflitti etnico-razziali nei paesi sviluppati - basta pensare alla Germania ma anche alla recente violentissima rivolta di Los Angeles - dipendono anche dalla pochezza dal punto di vista finanziario e culturale, di gran partedella politica scolastica. Diritto di scelta Tornando alla questione iniziale, e cioè alle istituzioni entro cui la comunicazione interculturale possa realizzarsi, e una volta ribaditi i limiti di un pluralismo radicale-è certamente sbagliato proibire il chador nelle scuole di stato, ma consentirlo non rappresenta certo la soluzione dei problemi-rimangono da definire i valori comuni a cui i diversi soggetti della società multiculturale devono fare riferimento. A questo proposito scrive S. Rodotà: 'Dobbiamo confidare nelle regole, ma non affidarci ad esse soltanto. Non possiamo allora immaginare le istituzioni di questa imprevedibile società enfatizzando la contrapposizione tra multiculturalismo e integrazione come se si trattasse di valori tra i quali è obbligatorio scegliere: la decisione di integrarsi è altrettanto rispettabile di quella di chi vuole salvaguardare la sua identità, le istituzioni di oggi, e probabilmente quelle di domani, devono lasciare molte porte aperte, consentire pentimenti, partenze e rimorsi. ('Repertorio di fine secolo', Bari '91 ). Questa idea di lasciare "molte porte aperte" corrisponde esattamente a ciò che l'istituzione scolastica dovrebbe essere in grado di fare per conferire al confronto multiculturale uno spessore concreto, metter cioè l'immigrato in con-_ dizione di "scegliere', condizione basilare di qualunque ipotesi di "società aperta" - altra formula troppo spesso evocata - soprattutto nei confronti di soggetti sociali marchiati sin dall'origine da costrizioni storiche, la cui "scelta" migratoria è molto spesso l'esatto contrario di una scelta. Nel caso poi della secondo generazione, dei minori, i problemi possono diventare ancora più drammatici di fronte alle inadeguatezze, alle rigidità del sistema scolastico. Si assiste a Roma, ad esempio, a un'infinità di casi di disadattamento di bambini stranieri che finiscono dagli psicologi delle USL che operano nella scuola media e in quella elementare. Figli di immigrati che la scuola non sa in quale classe inserire, bambini di dieci o undici anni che si trovano in una seconda elementare perché non conoscono l'italiano e così il bambino straniero finisce con l'igrossare le fila dei disadattati, caratteriali, handicappati che secondo la legge devono essere "integrati', compito affidato a insegnanti comuni e a pochi insegnanti di sostegno senza che in realtà nessuno sappia come tale integrazione possa avvenire e senza che nessuno intimamente ci creda. Per quanto riguarda la prima generazione, in molti progetti di educazione degli adulti si trova scritto che la scuola deve proporre un progetto didattico finalizzato al progetto di vita dell'adulto; nel caso dell'immigrato molto spesso non c'è alcun progetto di vita, oppure si tratta di progetti illusori, destinati a cambiare in seguito al primo impatto con una società che aperta, almeno a parole, per l'autoctono, è poi straordinariamente chiusa verso lo straniero. Non è un caso se alla fine i più realisti si rivelano coloro che si accontentano di una presenza provvisoria nel nostro paese al solo scopo di risparmiare una certa quantità di denaro da riportare con sé al paese d'origine, senza contare coloro che, provenienti soprattutto dai paesi dell'est europeo, giocano sugli squilibri valutari per un rapido "business" e poi sparire oltre frontiera. Individui che ovviamente sfuggono a qualunque progetto di multiculturalità, dato che i loro bisogni si limitano all'accoglimento e al rientro. Costoro non cercheranno mai l'inserimento nel sistema scolastico, tranne sporadiche e imprevedibili eccezioni. Ma a tutti coloro che con maggiore o minore convinzione puntano a restare nel nostro paese senza per questo rinunciare alla propria identità culturale, la scuola deve lasciare la maggiore. quantità possibile di porte aperte. Fuor di metafora ciò significa creare un ventaglio di opportunità didattiche, collegate a possibilità di lavoro, il più ampio possibile, significa piani di studio individualizzati e il coinvolgimento dei rappresentanti delle comunità degli stranieri nell'elaborazione dei programmi e nella vita scolastica. Diversamente lo stesso concetto di "identità culturale" rischierà di restare un' altra formula tanto ricorrente quanto vaga. Patologie dell'emigrazione. Le minacce all'identità culturale hanno una importante ricaduta sull'individuo e favoriscono la tendenza alla devianza: il passaggio dalla cosiddetta "crisi di identità" dell'individuo, in particolare in condizioni di sradicamento o di "shock culturale", alla formazione di conflitti e gruppi di conflitto sociale è molto rapido. La delicatezza dei processi psichici che si accompagnano ali' emigrazione- basta citare in Italia gli studi sulle patologie dell'emigrazione di Frigessi e Risso (A mezza parete, Torino '82) trova conferma anche tra studiosi non appartenenti a una scuola di pensiero ambientalista. K. Lorenz, accusato forse a torto di concezioni "innatiste", e da alcuni addirittura di razzismo, scrive: "L'uomo, che per natura è un essere culturale, non può esistere affatto senza il supporto che gli fornisce la sua appartenenza a una cultura e la sua partecipazione ai beni di essa (...) Al di fuori di questa identificazione con un elargitore di tradizione l'uomo evidentemente non possiede una vera coscienza della propria identità( ...) Chi ha perduto l'ereditàspirituale della propria cultura è, a tutti gli effetti, un diseredato. Non c'è da stupirsi se cercherà il suo ultimo disperato rifugio nella corazza psichica di un disperato autismo, che lo rende nemico della società in genere. (K. Lorenz, L'altra faccia dello specchio, Milano '91 ). Gli studi sulle patologie psichiche e fisiologiche legate all'emigrazione sono a tutt'oggi insufficienti rispetto alla rilevanza del problema, forse perché il dibattito sulla predisposizione genetica per determinate malattie evoca i fantasmi di un SCUOLA E IMMIGRATI razzismo "scientifico" che è ancor'oggi per ragioni ben comprensibili, un tabù. In realtà eventuali scoperte che confermassero l'esistenza di una predisposizione biologica a determinati comportamenti da parte di diverse etnie - ipotesi del resto almeno parzialmente smentita dalle più recenti e attendibili ricerche, si pensa in particolare ai lavori del genetista Cavalli-Sforza - porrebbero un problema da studiare seriamente e non qualcosa da nascondere per paura di "strumentalizzazioni razziste'. Il problema della salute, delle diverse concezioni della stessa e della medicina tra differenti civiltà, almeno nelle sue forme divulgative, potrebbe essere un argomento di grande interesse per un programma interculturale nella scuola, sia nei corsi per adulti come nella scuola dell'obbligo. Una conferma della complessità di certi processi psicologici ci viene dalla testimonianza di numerosi psichiatri dei Centri di igiene mentale a Roma che hanno avuto in cura immigrati. L'acculturazione è spesso un processo traumatico che oltre allo sradicamento dalla cultura d'origine comporta sempre alla fine un'assimilazione imperfetta. La lingua italiana dell'immigrato, nella sua elementarità, lo cataloga e al tempo stesso gli impedisce di comprendere le sfumature del linguaggio usato dagli autoctoni. Molti psichiatri hanno verificato una correlazione tra la mancata o la cattiva comprensione dell'italiano e forme anche gravi di paranoia e mania di persecuzione: I' interpretazione in chiave delirante, persecutoria, dei comportamenti e dei discorsi degli italiani nei confronti degli immigrati, particolarmente nel caso di africani la cui diversità è ancora più evidente ed esasperata dal retaggio storico della schiavitù, viene rafforzata dal ripetersi di episodi di razzismo ma anche dalla cattiva comprensione della lingua. Date queste premesse la percezione di un'ambiguità linguistica come offesa è altamente probabile. Come intervenire quindi su un processo inevitabilmente patogeno tentando perlomeno di limitare i danni, o addirittura perseguendo l'ambizioso obiettivo di trasformarlo in nuove e più ricche sintesi culturali? Com'è possibile per una società che manifesta al suo interno vistosi e crescenti sintomi di anomia proporre una trasformazione multiculturale senza veder esplodere crisi di identità etniche, culturali, individuali, senza finire col coinvolgere in un processo di deculturazione e di sradicamento dalle tradizioni una gran parte della popolazione, autoctoni compresi? Certamente si tratta di processi storici epocali, dotati di una propria forza autonoma sui quali l'intervento umano, la politica culturale non possono andare oltre certi limiti, ma le potenzialità distruttive che contengono, inutile negarle, possono essere neutralizzate e in parte rovesciate in "occasione storica', secondo la formula in voga tra gli ottimisti, a patto di rinunciare al pregiudizio eurocentrico e di saper andare oltre le nostre tradizioni illuministiche, per inquadrare la dimensione storica del problema immigrazione, cominciando a scrivere una "storia policentrica". Programmi e istituzioni di una scuola multiculturale. I programmi di una nuova scuola multicu-
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