SCUOLA E IMMIGRATI non compromette soltanto la produzione del suono, ma anche, ed è più grave, la sua corretta ricezione). Come fare allora, di fronte a ostacoli di questo tipo, a usare i manuali? Può darsi che la fretta cui sono stato costretto dalla mia nomina improvvisa, mi abbia impedito una ricerca adeguatamente approfondita. Ma è certo che, per quanto io abbia potuto cercare, nessun testo e nessun corso di aggiornamento mi ha in questo senso aiutato. Ho dovuto quindi improvvisare, creando in classe dei piccoli teatrini in cui io passavo per i banchi sollecitando gli studenti uno a uno a imitare il più fedelmente possibile il fonema oggetto di studio in quel momento. I libri di testo esistenti sono risultati scarsamente utili anche a proposito di un altro problema: vista l'urgenza con la quale si dovevano raggiungere dei risultati, ho deciso di impostare la mia programmazione quasi esclusivamente sulla lingua orale. Questo comportava delle scelte anche per quanto riguardava i contenuti strettamente grammaticali da proporre agli alunni. Faccio un esempio riguardante lo studio dei verbi: noi parlando usiamo, fra i tempi dell'indicativo, soprattutto il presente, il passato prossimo e l'imperfetto, arrivando a dilatare l'uso del presente anche per indicare un'azione futura ("Domani vengo a casa tua"). Dunque è del tutto inutile complicare il già difficoltoso apprendimento della nostra lingua da parte di individui provenienti da culture linguisticamente meno analitiche della nostra, con lo studio di tempi come, per esempio, il passato remoto, che o non vengono usati più per niente, oppure sono usati soltanto in zone limitate del nostro paese o in situazioni del tutto particolari. Mi è sembrato quindi opportuno semplificare il programma, basandolo soltanto sulle regole grammaticali che più frequentemente fanno da guida al nostro parlare. Nel momento in cui prendevo questa decisione, però, ero costretto a rinunciare all'ausilio dei manuali, in quanto quasi tutti impostavano il proprio percorso didattico verso l' acquisizione delle abilità tipiche della lingua scritta. E risultavano di conseguenza troppo analitici. Se è possibile ricavare un principio unificatore dell'attività didattica seguita durante tutto l'anno scolastico, direi quindi che tale principio consiste nella ricerca di un livello elementare, ma essenziale e raggiungibile da tutti gli allievi, della conoscenza della lingua. È chiaro che questo principio ha, almeno all'inizio sacrificato quegli studenti che conoscevano meglio l'italiano (come i maghrebini e gli albanesi, per esempio, i quali anche se arrivati da poco tempo nel nostro paese, sono però comunque in grado di affrontare abbastanza agevolmente una conversazione non complicata, in quanto acculturati alla nostra lingua dai programmi della Rai che arrivano fino ai loro paesi). Ma tale criterio ha permesso però di evitare le reazioni psicologiche negative di quegli studenti (specialmente coloro che si trovano a ricorrere alla nostra lingua per disperati motivi di sopravvivenza: pensiamo ai somali, per esempio, o agli etiopici!), i quali con una programmazione più sofisticata e analitica, si sarebbero trovati probabilmente a scalare una montagna troppo ardua per loro. 2) Problemi di natura burocratica. Di fronte a un'utenza così particolare, che impone problemi LATERRA 3 La foto di copertina: Singapore, · Tempio Indù (1990). Le foto di questo numero sono di Patrizio Esposito che vive e lavora a Napoli dove è nato nel 1951. È grafico e fotografo, collabora a "Teatri Uniti" e al "Manifesto", ed è coordinatore delle edizioni Alfabeto Urbano. Per le edizioni Sintesi ha pubblicato lo scorso anno • "Transiti" dedicato a Silvia Baraldini. Sue foto sono state raccolte nel portfolio Giallo mais e Brasile, il cielo del granchio. Brasile, concerto a Rio De Janeiro (1991). . e I
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