Linea d'ombra - anno X - n. 77 - dicembre 1992

LA LEffERATURA E LA VIOLENZA Incontro con Amitav Ghosh a cura di Marco Restelli Lo scrittoreindiano Amitav Ghosh è unadelle vocipiù interessanti della nuova letteratura anglo-asiatica, cioè di quella generazione di scrittori asiatici che ha scelto l'inglese come medium espressivo universale, tale da consentire di rivolgersi a un pubblico il più vasto possibile. Ghosh è nato nel 1956 a Calcutta, dove attualmente risiede per la maggior parte del tempo. Suo padre era un diplomatico e questo gli ha permesso di viaggare molto passando lunghi periodi in Bangladesh, Sri Lanka, Gran Bretagna ed Egitto. A quest'ultimo paese Ghosh è rimasto particolarmente legato, diventando un buon conoscitore della realtà sociale e culturale egiziana e araba in generale. Ha studiato all'università di Delhi e a Oxford, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in antropologia sociale. È sposato a un'americana e alterna i soggiorni a Calcutta con quelli in New Jersey. Ghosh è bilingue, appartenendo a quella generazione di indiani che padroneggia l'inglese forse anche meglio della lingua madre (nel suo caso il bengali). Nei primi anni '80 ha iniziato quindi a scrivere in inglese, ottenendo subito successo. Il suo primo romanza, Il cerchio della ragione, è stato pubblicato in Italia da Garzanti nel 1986. Hannofatto seguito il romanza Le linee d' ombra,pubblicato da Einaudi nel 1990, e il racconto lungo Un egiziano a Baghdad, uscito sul numero 57 di "Linea d'ombra" nel 1991. Ha da poco terminato la stesura di un libro che verrà pubblicato l'anno prossimo da Einaudi. Nella sua produzione letteraria lei ha sempre trattato il tema della violenza, e del!' incontro-scontro fra culture diverse, ma mi sembra che l'approccio a questi temi stia considerevolmente cambiando. Vuole spiegarci in che senso? Vi sono in effetti delle differenze fra Le linee d'ombra e il mio precedente romanzo, Il cerchio della ragione. Vi è certo una diversità sul piano letterario- fra l'uno e l'altro romanzo ho letto seriamente Proust, e ciò mi ha senz'altro influenzato - ma la differenza più rilevante direi che è sul piano "storico". Il cerchio della ragione è stato scritto nel 1984. lo mi trovavo a Delhi. Il 30 ottobre Indira Gandhi fu assassinata, e in tutta la città scoppiò l'inferno. Come molti altri, anch'io cercai di riportare la gente alla ragione, di porre fine agli scontri, e questo mi coinvolse profondamente. Quegli avvenimenti hanno cambiato per sempre la mia idea di letteratura, perché non avevo mai avuto un'esperienza così diretta della violenza. Chiunque viva in India è sempre consapevole della potenza distruttiva della violenza religiosa, ma in quei giorni a Delhi io l'ho toccata con mano. E quando ho iniziato a riflettere seriamente su quella violenza ho capito all'improvviso che anche la scrittura non doveva in nessun modo essere violenta, farsi complice della violenza. Iniziai a chiedermi: "Come scrittore, quale deve essere la mia risposta a questi eventi spaventosi? Quale scrittura deve usare un autore indiano per parlare della violenza religiosa?". In seguito, ho cercato di tradurre questa nuova consapevolezza nella scrittura di Le linee d'ombra. 70 Lei ha infatti affermato di recente di credere nella "necessità di una scrittura non-violenta". Vuole precisare meglio quale ritiene che sia il rapporto fra letteratura e violenza? La maggior parte della letteratura che parla di violenza è essa stessa violenta. Si descrive la violenza e si finisce per celebrarla (anche se a parole magari lo si nega). Con Le linee d'ombra ho iniziato un esperimento: provare a scrivere in modo non-violento pur trattando eventi di incredibile violenza. Il problema infatti è questo: se vivi in una situazione in cui sei a stretto contatto con la violenza, come puoi scriverne senza fartene intimamente complice? Il problema violenza-letteratura è per me inseparabile dal rapporto politica-letteratura. Nel XX secolo, in Occidente come in Oriente, tutta la tradizione della letteratura politica ha trattato la questione della violenza finendo per celebrarla. Si è così venuto a creare un romanticismo della violenza. Nella maggior parte dei paesi la crescita del genere del romanzo è c'Oincisacon la crescita dei nazionalismi, così il romanzo è stato sacrificato al nazionalismo, anzi è stato la vittima sacrificale dei vari nazionalismi. Questo fenomeno si è verificato anche in India, a partire dal secolo scorso. Il primo teorico del nazionalismo indiano era un romanziere, Bankim Chandra Chatterji, e la violenza era infatti il centro della sua letteratura, la dea Kali era la metafora centrale della sua scrittura. Violenza e fiction hanno costituito un nucleo omogeneo in tutto il mondo. Naturalmente ci sono anche grandi romanzi sulla violenza· che non sono violenti, primo fra tutti Guerra e pace di Tolstoj; però, soprattutto quando si scrive un romanzo confrontandosi con il tema della nazionalità, lafiction tende a trasformarsi in glorificazione, in "romanticizzazione" della violenza. Si torna così al problema di fondo: come può un romanziere moderno parlare di violenza in modo non-violento. Lei ha trattato il tema della violenza, e dell'incontro- scontro fra culture, anche nel bellissimo racconto Un egiziano a Baghdad, dove osserva la crisi del Golfo, poco prima della guerra, con gli occhi dell'"uomo della strada" egiziano. Lei ha vissuto a lungo inEgitto, e conosce bene i paesi arabi; non a caso Il cerchio della ragione è ambientato fra gli indiani emigrati in Medio Oriente in cerca di lavoro. Cosa le sembra sia cambiato dopo la guerra del Golfo, e come valuta la situazione attuale del Medio Oriente? Prima della guerra avevo l'impressione che nell'area mediorientale ci fosse un'enorme, pericolosa confusione, ed è quanto ho cercato di dire fra le righe di Un egiziano a Baghdad. Purtroppo, la situazione del dopoguerra non mi sembra cambiata, avverto ancora quella confusione. È difficile•capire cosa stia accadendo, o prevedere quel che accadrà. Tutto verte intorno alla "questione petrolio", uno dei cardini dell'economia mondiale, ma i paesi dell'area mediorientale sembrano non avere gli strumenti culturali per affrontare i problemi in un modo che eviti le violenze e le guerre. Nei paesi arabi c'è una situazione che risulta tanto più sorprendente se la si paragona con quella, diversissima, dei primi

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