Linea d'ombra - anno X - n. 77 - dicembre 1992

Rock Cofè, Chicago '91 (fotografia di Roberto Koch/Controsto). No, non credo che si tratti di invidia del terrore. Voglio risponderti onestamente perché la tua è una domanda complessa. Ci può essere una rabbia latente, non voglio dire violenza, in quello che molti scrittori fanno e - sai - è una rabbia che spesso non viene riconosciuta o capita. È possibile dunque che chi scrive non invidi chi compie atti terroristici, ma si senta all'estremo opposto. Come se fosse alla ricerca di una sorta di immagine uguale e contraria. Non posso e non dovrei parlare a nome degli altri scrittori. Questo è il mio modo di vedere e è dettato principalmente da come sono fatto io, ma mentre scrivevo il libro ho avuto la sensazione che si fosse arrivati a una specie di giustapposizione, non uno scontro, una giustapposizione, e che quello che i terroristi stavano realizzando attraverso la violenza stesse riducendo il campo delle tradizionali possibilità di uno scrittore. Non si tratta solo di terrore, ma di un'arena più vasta: le news, le news sono la fiction, le news sono la nuova narrativa, in particolare le dark news, le notizie tragiche. Credo che dalle brutte notizie la gente raccolga o racimoli quel tipo di narrativa di stampo tragico che un tempo trovava nel romanzo. Non so esattamente quale ne sia la ragione. Forse dipende dal fatto che la televisione e il suo modo di mettere insieme le notizie sono più potenti oppure si tratta semplicemente dello spirito che ha invaso le nostre coscienze, una specie di senso apocalittico. Vedi, io mi immagino che la gente, l'individuo, di fronte al suo piccolo schermo televisivo, crei la propria privata Apocalisse perché ha davanti un terremoto, il film di un terremoto. Sta succedendo qualcosa che riguarda la localizzazione del desiderio. Sai, in passato i grandi leader avevano la fantasia di creare imperi di enormi dimensioni spaziali. Ora pensano in termini di computerchips. Vedi, tutto si è miniaturizzato, incluso il desiderio. INCONTRI/DE LILLO La gente- almeno negli Stati Uniti - ha localizzato, identificato ciò che vuole proprio a ridosso della propria vita, della propria identità, dei propri bisogni e desideri specifici. Si parla di gruppi sempre più definiti e separati: i vecchi, gli insegnanti, le lesbiche, ecc. Mi immagino che stia per arrivare il momento in cui ci saranno tanti canali televisivi cable, centinaia, e ognuno di noi potrà schiacciare il bottone relativo al programma che risponde solo ai suoi interessi particolari. Se sei un agente assicurativo, troverai la tua mezz'ora di notizie relative al tuo campo operativo e probabilmente sarai in scena anche tu. È la direzione in cui stiamo andando. Quanto stai prospettando sembra contraddire l'ipotesi del- ['omogeneizzazione, della cancellazione di differenze e individualità a favore del mantenimento di caratteristiche e tipologie ben precise. Suonerà stra!lo, ma proprio da qui pass~ un. cert~ ~po ~ massificazione. E curioso che oggi vengano 1dent1ficat1b1sogru che fino a cinque anni non sembravano neppure esistere. Spostiamoci a quella che ~embra la base dell'intera faccenda. Che rapporto vedi tra consumismo, indifferenza di massa eperdita di identità personale? Beh, io vedo un rapporto tra il consumis~o e la gente che descrivo in Mao II, quella che vive in Tomp~ns ~qu~ ~ N~w York abitando dentro scatole da imballaggio di frigonfen e televisori. Se alle nazioni si potessero applicare slogan simili a quelli che fanno pubblicità ai prodotti, lo slogan ~eric~o sarebbe: "consuma o muori", di conseguenza se non s1_ha Il potere di consumare si finisce a vivere nelle strade. Probabilmente proverò a scrivern; in altri libri. La gente assume una specie di identità impersonale. Come se fantasie e sogni potessero realizzarsi con

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