RACCONTI DI NATALE IL RITORNO Ngugi Wa Thiong 'O a cura di Silvia Soffiantini Ngugi è considerato una delle figure più importanti del mondo africano contemporaneo; attivo come giornalista, critico, saggista. drammaturgo, ma soprattutto come romanziere, ha sempre preso posizioni apertamente critiche nei confronti dell' establishment del suo paese, attaccando la corruzione dilagante, la fu- : ribonda lotta per il potere e ;, l'imitazione di modelli so- · :· cio-economici di tipo neo- /' capitalista. • Nasce nel 1938 a Limuri, in Kenya, da una famiglia di proletari contadini del gruppo etnico maggioritario Kikuyu. Dopo un primo ciclo di studi universitari in Uganda, ottiene nel 1963 una borsa di studio che gli permette di specializzarsi in letteratura inglese all'università di Leeds. Al ritorno in Africa comincia a lavorare all'Università di Nairobi da dove si dimette nel 1969 in segno di protesta dopo la chiusura dell'ateneo da parte del governo keniota in seguito agli scioperi degli studenti. Insegna quindi negli Stati Uniti, e poi di nuovo all'Università di Nairobi dove fonda il Dipartimento di letteratura e Studi Africani. Alla fine del 1977 viene imprigionato, senza un regolare processo, per la sua aperta opposizione al regime, e malgrado l'indignazione dell'opinione pubblica internazionale, rimane in carcere un anno. Attualmente Ngugi vive e lavora a Londra. Tra le sue opere più importanti ricordiamo: i romanzi tradotti in italiano da Jaca Book Un chicco di grano, Petali di sangue e Se ne andranno lenuvole devastatrici; le opere teatrali, The BlackHermitdel 1962 e The Trial of Dedan Kimathi del 1977; due raccolte di saggi, Homecoming del 1972 e Writers in Politics del 1981 e una raccolta di racconti, Secret Lives del 1975. La realtà sociale keniota, da coloniale a neocoloniale, è la base su cui si sviluppano le opere di Ngugi: lo scrittore africano racconta dell'eterna sofferenza di un popolo e di una terra, prima da "schiavi" e poi da "affrancati". In questo breve racconto, scritto tra il 1964 e il 1967, inedito, si ritrovano le tematiche che caratterizzano la produzione di Ngugi di questo periodo: il viscerale attaccamento alla terra e il senso di appartenenza a una tradizione pericolosamente intaccata dai valori occidentali; la rievocazione nostalgica di un passato precoloniale, il coraggio di chi ha combattuto contro l'imperialismo britannico e la sofferenza di chi ancora ne subisce le pesanti conseguenze. La strada era lunga. Ad ogni passo si alzavano nuvolette di polvere, salivano in vortice furiose dietro di lui e poi ricadevano lente. Ma una sottile striscia di polvere rimaneva sospesa nel1' aria, muovendosi come fumo. Lui, continuava a camminare, incurante della polvere e della terra che calpestava. Ma passo dopo passo, sembrava rendersi sempre più conto dell'asprezza e 56 del!' apparente ostilità della strada. Non che guardasse in basso; al contrario, guardava dritto davanti a sé, come se da un momento ali' altro dovesse scorgere un oggetto familiare che lo salutasse da amico e gli dicesse che era ormai· vicino a casa. Ma la strada proseguiva. Camminava a passi veloci, scattanti, con la mano sinistra a ciondoloni lungo il fianco del soprabito, una volta bianco, ora lacero e sgualcito. Il braccio destro era piegato e lamano stringeva una corda legata a un fagottino posato sulla schiena leggermente curva. Il fagotto, ben avvolto in una stoffa di cotone a fiorellini, un tempo rossi, ora scoloriti, oscillava al ritmo dei suoi passi. Nel fagotto c'erano l'amarezza e gli stenti degli anni passati nei campi di detenzione. Di tanto in tanto guardava il sole sulla via del tramonto. A volte lanciava rapide occhiate alle piccole striscie di terra recintate, che con le loro colture malaticce di mais, fagioli e piselli, sembravano, come ogni altra cosa, nemiche. L'intera campagna era senza forma e colore, sembrava stanca. Niente di tutto questo era nuovo per Kamau. Si ricordava che anche prima dell'Emergenza Mau Mau1 gli ormai sterili appezzamenti dei Gikuyu avevano un'aria smarrita, in confronto alle grandi distese verdi dei coloni. A sinistra un sentiero si biforcava. Ebbe un attimo di esitazione e poi si decise. Per la prima volta, mentre percorreva il sentiero che lo avrebbe condotto giù nella valle e al villaggio, i suoi occhi si ravvivarono un poco. Finalmente era vicino a casa, e al rendersene conto sembrò perdere per qualche tempo quello sguardo distante di viaggiatore stanco. La valle e la sua vegetazione erano in stridente contrasto con la campagna circostante. I cespugli erano verdi e gli alberi rigogliosi, e tutto questo poteva voler dire solo una cosa: il fiume Honia scorreva ancora. Affrettò il passo, come se per crederci avesse dovuto vederlo coi suoi occhi. Eccolo, scorreva ancora. L'Honia, quanti bagni ci aveva fatto, tuffandosi nudo nelle sue acque fresche e vive; gli si riscaldò il cuore guardandolo serpeggiare tra le rocce e ascoltandone il leggero mormorio. Una dolorosa euforia lo pervase, e per un attimo ebbe nostalgia di quei giorni. Sospirò. Forse il fiume non avrebbe riconosciuto nei tratti induriti del suo corpo il ragazzo di un tempo il cui unico mondo era la riva. Eppure, avvicinandosi, si sentiva più simile al fiume che a qualsiasi altra cosa incontrata dal momento del suo rilascio. Un gruppo di donne stava attingendo acqua. Era agitato, ne aveva riconosciute un paio delle sue parti. C'era Wanjiku, una donna di mezza età a cui la polizia aveva ucciso il figlio sordo prima che lui venisse arrestato. Era sempre stata una delle donne più amate del villaggio, aveva sorrisi e cibo per tutti. Lo avrebbero accolto? Gli avrebbero dato un benvenuto degno di un eroe? Pensava di sì. Non era sempre stato uno dei beniamini dell' Altura? Non aveva forse combattuto per la terra? Avrebbe voluto correre verso di loro e gridare: "Eccomi, sono tornato". Ma ci rinunciò. Era un uomo. "Come va?" Solo alcune voci risposero. Le altre donne, dall'aspetto sciupato e stanco, lo guardavano in silenzio, come se il suo saluto non avesse avuto alcun effetto. Come mai? Era rimasto così tanto tempo al campo? Si sentì le forze mancare quando con un filo di voce chiese: "Non vi ricordate di me?" Lo guardarono ancora. Lo fissavano con occhi
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