liticamente, il disagio e la crescente indignazione provocata dalla frustrazione e dal senso di impotenza liberano la creatività del drammaturgo. Egli trova il suo naturale interlocutore nell'"Abbey Theatre" che Yeats aveva fondato proprio per raccogliere e incanalare le energie creative liberate da un'altra crisi politica, quella successiva alla caduta di Parnell alla fine del secolo. L"'Abbey Theatre" di Yeats e Lady Gregory accoglie O'Casey, lo mette in scena e lo difende nel momento dell'attacco. Alle feroci contestazioni che interrompono la rappresentazione dell'Aratro, è Yeats stesso che replica rampognando dal palcoscenico i facinorosi e decretando la grandezza dello scrittore, come aveva fatto 19 anni prima con Synge alla rappresentazione del Playboy: "Ancora una volta vi siete macchiati di vergogna. Accoglieremo sempre in questo modo l'arrivo di un genio in Irlanda? Prima Synge, poi O'Casey. (...) Da una scena simile in questo teatro è scaturita la fama di Synge. Allo stesso modo, qui, stanotte, nasce la fama di O'Casey. Questa è la sua apoteosi." Le reazioni del pubblico sono i primi segni dell'ordine che il nuovo patto sociale, ali' indomani della conquista dell'indipendenza, cominciava a produrre. Un ordine poco propizio alle riforme sociali, alla libera circolazione delle idee e alla creatività artistica. Se aveva taciuto a lungo, O'Casey, i suoi drammi giungono con straordinario tempismo, sorta di peculiari "instant books" sugli anni appena trascorsi, visti dalla parte delle vittime. La trilogia è anche questo: un invito alla riflessione senza pudori e mistificazioni. Nel momento in cui il pubblico coglierà la portata dirompente dell'opera la metterà al bando insieme con il suo autore. La retorica dell'eroismo è il bersaglio del Fa/so repubblicano. Donai Davoren, il protagonista, personaggio autobiografico, ha velleità poetiche, tenta goffamente di esprimersi, ma vede la sua esistenza sconvolta daU'idea che i suoi vicini si sono fatta di lui credendolo un ribelle alla macchia. Davoren nonchiarisce l'equivoco, anzi se ne serve per farsi bello agli occhi di una ragazza, Minnie Powell. Nessuno potrebbe essere meno adatto a:I' azione di Davoren. Così, quando una pattuglia di Ausiliari perquisisce la casa alla ricerca di armi, sarà Minnie a cercare di nascondere le bombe lasciate nella stanza di Davoren da un vero repubblicano. E sarà Minnie a pagare, morendo, a causa dell'atteggiamento sentimentale del personaggio. Nella seconda opera, Giunone e il pavone, la tragedia della lotta fratricida si materializza sulla scena nel terribile dolore delle madri che piangono i figli uccisi. Kathleen Ni Houlihan, la figura mitica simbolo dell'Irlanda, non è più la bella donna dell'iconografia, ma si è trasformata in una Menade scatenata e, come dice un personaggio del Falso repubblicano, "se solo la guardi storto, è sicuro che ti becchi un cazzotto in un occhio". Nell'Aratro e le stelle, la polemica di O'Casey si appunta direttamente sui protagonisti della rivolta del 1916. Nel primo atto, il patriota è ridicolizzato dalla moglie che ne smaschera il narcisismo. Nel secondo atto, il discorso di Padraig Pearse, il leader nazionalista, che arringa la folla perché si prepari al bagno di sangue purificatore, è passato attraverso la lente deformante e dissacrante di un pub in cui una prostituta si muove alla ricerca di clienti. Nel terzo e nel quarto atto, la rivolta è definitivamente degradata dai saccheggi cui si abbandonano i protagonisti nella confusione degli scontri. Per il pubblico dell"'Abbey", si trattava di un sacrilegio: O'Casey aveva osato profanare la memoria di un evento che costituiva il simbolo di fondazione della nuova Irlanda. La partenza del drammaturgo, all'indomani delle contestazioni e la sua decisione di vivere in Inghilterra non significano che egli meditasse di troncare la sua collaborazione con l"'Abbey". Sin dai primi giorni a Londra, egli comincia a pensare a un dramma che avesse come tema la Grande Guerra, l'orrore delle trincee, la tragedia dei reduci e dei mutilati SAGGI/O'CASIY che O'Casey aveva avuto modo di conoscere durante un lungo ricovero in ospedale nel 1915. La tazza d'argento è la naturale prosecuzione della trilogia perché porta avanti la critica della retorica della violenza e la polemica contro il militarismo. La storia di Harry Heegan, il campione di rugby che fa conquistare la coppa d'argento alla sua squadra e che, inviato in trincea, ritorna a casa su un sedia a rotelle, non doveva piacere a Yeats. Yeats non apprezzò in particolare la scena di guerra del secondo atto, basata su una riuscita utilizzazione delle tecniche espressionistiche e culminante nell'inno al cannone. Le ragioni di Yeats e la replica di O'Casey sono esposte nel carteggio che pubblichiamo. Vale la pena di ricordare, per capire meglio i pregiudizi dell'uomo, che nel 1936Yeats escluderà dall'O.efordBook of Modem Verse Wilfred Owen e altri poeti della Grande Guerra. Il rifiuto di Yeats segna per O'Casey il distacco dal teatro Abbey e la trasformazione di un soggiorno temporaneo in esilio volontario. La sua risposta contiene tutto l'orgoglio, lo spirito indomito, la sferzante ironia che animeranno la scena letteraria inglese per quasi 40 anni. Lungi dal perdere il contatto con il suo paese, O'Casey continuerà dall'esilio non solo a intervenire nel dibattito culturale e politico, ma a scrivere , soprattutto dopo i drammi allegorici dei primi anni londinesi, sull'Irlanda a partire dall'attacco condotto con indignazione swiftiana contro l'oppressione puritanica e ipocrita esercitata dalla Chiesa e dalla nuova classe dirigente. ACharlotte Shaw che lo supplicava d'essere meno combattivo, rispondeva: "Dio mi è testimone che io detesto litigare. Se sarò dannato per qualcosa, lo sarò per aver tenuto nel fodero la spada a doppio taglio del pensiero quando avrebbe dovuto trafiggere le budella delle canaglie e degli stupidi". A chi gli rimproverava d'aver perso il contatto con l'Irlanda replicava: "Conosco l'animo dell'Irlanda perché vi sono dentro; conosco il cuore dell'Irlanda, perché ne sono un angolo; conosco i cinque sensi dell'Irlanda perché essi sono in me e io in loro; mi invitano a guardare, e quando guardo, vedo; mi invitano ad ascoltare, e quando ascolto, sento". LA VERDE DEA DEL REALISMO Oggi nel teatro, il realismo è divenuto il feticcio dei critici. Commedie realistiche, adattamenti veramente fedeli, e personaggi concreti, vivi sono le tre divinità che i critici adorano e impregnano dell'incenso delle loro lodi banali una volta al giorno e due volte la domenica nei loro articoletti azzimati. Quello che i critici intendono, nelle loro varie espressioni per Realismo è l'enorme quantità di robaccia che ogni anno cade sui palcoscenici inglesi e viene subito spazzata via e gettata nei bidoni. I critici accolgono benevolmente queste commedie triviali perché c~o: sono così facili da capire, e soddisfano i critici con la comodità di una spiegazione facile. È davvero pericoloso per un drammaturgo essere superiore ai suoi critici, essere più grande come dr~turgo di quanto non lo sia il critico, come critico. Ques_to~on P•~• e così la più parte fa il possibile per scoraggiare quals1_a~1 !Cn~tivo: in teatro d'affermare un'immaginazione senza ghiribizzi, o di osservar; la vita per modellarla in una forma adeguata all'intelligenza e ai sentimenti più alti della scena. Sono quelli c?e 11;1ettono a confronto il Philasterdi Beaumont e Fletcher con La zia d, Carlo, e nel profondo del cuore optano per la farsa allontanando dalla loro strada il dramma poetico (alcuni, come ha fatto Archer, la
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