LA VERDE DEA Sean O'Casey a cura di Giovanni Pillonca traduzioni di Giovanni Pillonca e Paola Della Valle Sean O'Casey (Dublino 1880 - Torquay 1964) entra nel teatro da outsider, relativamente tardi, a 43 anni, e rimane un outsider scomodo, mal tollerato dai più per tutto l'arco della sua lunga attività. Il destino di figura non facilmente catalogabile caratterizza anche la sua fortuna postuma fra critici e lettori, divisi tra estimatori convinti e appassionati e detrattori che rifiutano in blocco l'opera o ne salvano soltanto le prime prove. Vi è nell'esistenza di questo drammaturgo autodidatta una coerenza rara: egli stesso un escluso, si pone il compito di dar voce a una massa di diseredati, a una periferia che non offriva temi o motivi a Yeats, di cui si sente l'eco nell'Ulisse e che finirà per popolare la notte del Finnegans Wake. Nei confronti dell'umanità variegata che affolla i suoi drammi dublinesi - composta di sottoproletari, manovali, ubriaconi,massaie, piccoli faccendieri, patrioti falliti e veri eroi - O'Casey porta a compimento un'impresa simile a quella compiuta da Synge con i contadini, i pescatori, i nomadi dell'Ovest. Egli dà la parola, nel duplice senso dell'espressione. Registra con fedeltà e rende articolati nell'ordine proprio dell'arte i discorsi e le relazioni di una periferia, di una marginalità esclusa sino ad allora dalla rappresentazione e, considerata la sua proverbiale loquacità, paradossalmente muta. E_fa questo, O'Casey, trascrivendo e ricreando, nella varietà dei suoi registri, la ricchezza straordinaria della lingua del ghetto dublinese, con tutto il carico storico e le tracce lasciati da un secolare e doloroso processo di acquisizione. Se Synge era partito per l'Ovest con un programma preciso, quasi di tipo antropologico, e vi si era mosso, almeno da principio, da osservatore privilegiato con il distacco proprio dell'intellettuale urbano, O'Casey è parte integrante del quadro rappresentato, creatura di quell'ambiente che egli così vividamente descrive e che trova nella "tenement house" il suo punto focale. Con il termine ci si riferisce a quanto restava in piedi delle residenze che la nobiltà anglo-irlandese, l'"Ascendancy", aveva abbandonato nel corso dell'Ottocento trasferendosi in Inghilterra: edifici degradati o fatiscenti, acquistati da speculatori per una somma nominale e dati in affitto a prezzi che costringevano chi vi abitava - un terzo della popolazione dublinese - a condividere gli spazi in una sovraffollata e precaria promiscuità. Le condizioni igieniche miserrime e la denutrizione vi provocavano nel 1913 secondo i dati della "Governement Housing Commission" - un tasso di mortalità infantile superiore a quello di Calcutta e di Alessandria d'Egitto. O'Casey ce ne ha lasciato varie descrizioni. Valga per tutte la seguente: "Dove noi abitavamo allora, con migliaia di altri, le ceneri e i rifiuti insieme con gli escrementi delle latrine venivano raccolti in grandi ceste di vimini e portati a spalla da uomini che avevano le vesti inzuppate dai liquami di cento altre case; trasportati dai cortili sul retro, attraverso la cucina-soggiorno e l'ingresso, ammucchiati pe.r strada e lasciati lì a emanare tanfo e veleno, per un giorno, due giorni, a volte tre, fino a che non 30 giungevano dei carri scoperti, zuppi come i conducenti e i cavalli, a portarsi via quella massa maleodorante, il cui fetore permaneva nel vicolo fino a quando vento e pioggia non ne trasportavano in altri spazi o nel mare in tempesta memoria e tracce." Lasciando l'Irlanda nel 1926,dopo le polemiche provocate dalla rappresentazione de L'aratro e le stelle, il drammaturgo chiudeva una fase della sua carriera dedicata esclusivamente a raffigurare la vita che in quelle abitazioni si svolgeva, e soprattutto le reazioni dei suoi abitanti ai grandi eventi storici che scotevano allora il paese. La storia, l'incubo di Joyce, è narrata da O'Casey con magistrale parzialità proprio attraverso la risposta di un variegato "lumpenproletariat" ai colpi che essa infligge e alle terribili richieste che avanza. E l'incubo - si tratta del periodo dei "Troubles" (1920-21), la guerriglia dell'esercito repubblicano contro le forze regolari britanniche e i sanguinari reparti dei "Black and Tans" e degli "Auxiliaries", come in The Shadow of a Gunman (Il falso repubblicano, 1923); delle vicende della guerra civile ( I922-23), come in luno and the Paycock, (Giunone e il pavone, 1924), o di quelle cruciali dellarivoltadel 1916, come in ThePloughandtheStars(L'aratroe le stelle, 1926) - viene reso attraverso le modalità del genere "impuro" della tragicommedia. Gli eventi storici e le ideologie ufficiali che li determinano e li falsificano subiscono, a contatto con la vita dei tenement un drastico e salutare smascheramento, uno straniamento portato a termine con straordinaria efficacia attraverso la sapiente alternanza di tragico e comico e l'eccezionale padronanza della lingua dei quartieri popolari.L'eloquenza dei personaggi di O'Casey è quella che deriva da un lungo silenzio, un fiume in piena che il drammaturgo nella trilogia controlla con piena sicurezza dando prova di una perizia verbale che rimarrà uno dei tratti distintivi della sua arte. Al di là dei fuochi di artificio linguistici, se un sentimento unifica questa trilogia , e l'opera che la seguirà, The Silver Tassie (La tazza d'argento, 1928), questo è il rifiuto della retorica dell'eroismo e dell' apologia della violenza, i cardini cioè dell'ideologia nazionalistica. La diffidenza di O'Casey nei confronti dei nazionalisti irlandesi precede la sollevazione del 1916, cui lo scrittore non partecipa, e ha una motivazione di classe. Risale, infatti, alla presa d'atto della divaricazione fra il processo di liberazione nazionale e la lotta operaia e sindacale guidata da Jim Larkin il fondatore dell"'Irish Transport and Generai Workers Union". Durante lo sciopero generale del 1913, infatti, il partito nazionalista si schiera con il capitale e con la chiesa. Nel 1916, James Connolly, successore di Larkin, unendosi ai patrioti e morendo fucilato con essi dopo il fallimento della rivolta, subordina ufficialmente alla causa nazionale sia la linea generale del sindacato sia la prospettiva stessa di creare in Irlanda un partito socialista. L'isolamento, la consapevolezza dell'impossibilità di esprimersi po-
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