appassionarlo e insieme ad indurlo a una scelta di campo ideologica precisa, mettendogli sotto gli occhi un'avvelenata radiografia del nostro mondo. E poichè leggendo il romanzo si ride di un riso amaro, non si potrà non riflettere: chi l'ha detto che un libro impegnato deve essere per forza noioso? A ben vedere, Camerati di Franchini potrebbe essere letto come un romanzo, un romanzo di formazione, anche se il sottotitolo chiarisce subito in modo perentorio la scelta di genere: Quattro novelle sul diventare grandi. E quattro sono le epoche raffigurate nei rispettivi racconti: l'infanzia, l'adolescenza, gli anni dell'università, l'ingresso nel mondo del lavoro con il primo impiego. Quattro epoche rivissute attraverso una scrittura cangiante e spesso efficace, sintonizzata su altrettanti e differenti registri espressivi: si passa dall'asciuttezza del dettato 'cronachistico' che ritrae il mondo dell'infanzia, allo stile più partecipato ma venato d'ironia delle fasi intermedie della crescita, alla deformazione caricaturale del racconto finale, forse con un eccesso di verbosità nel libro che tende ad appiattire un po' l'impressione generale ali' insegna di una prosaicità 'media'. Franchini ricorre poi a tecniche narrative differenti: alla terza persona dei primi due testi si alterna la prima negli altri; con l'avvicinarsi dell'età dei personaggi a quella dell'autore il diaframma che separa la finzione dall'autobiografismo va assottigliandosi, e non a caso il protagonista dell'ultima novella lavora in una casa editrice. In parallelo lo sguardo del narratore diminuisce progressivamente la propria ampiezza e insieme si fà più autorevole e selettivo. Gli individui sono sempre rappresentati fra altri individui, in una dimensione eminentemente sociale, ma con l'affiorare e poi l'imporsi di un protagonista che andrà assumendo la parola si restringe la sua visuale a un minor numero di comprimari. Intanto l'autodeterminazione individuale dell'io narrante che corre accanto alla definizione della propria identità ésistenziale e culturale seleziona fra gli altri l'amico, la donna amata, il professore universitario dalla cui mentalità ha mutuato lo stile di pensiero, anche se non senza un rapporto critico e polemico con la sua emblematica figura. Alla fine, dunque, il protagonista che racconta si ritrova solo, e adulto. E da questa posizione osserva l'ambiente di lavoro che Io circonda, ma stavolta come separato da tutti i personaggi fra i quali, quasi per un effetto di strabismo, vede muoversi anche se stesso, la parte di sé che recita in ufficio il ruolo conveniente. E lo sguardo è feroce: tutti i personaggi - i colleghi - di Esordio e raggiri sono storpiati in efficaci caricature tragicomiche impietose nel ritrarre meschine mentalità, corporature grottesche, comportamenti isterici o banalmente idioti, alleanze interessate e antagonismi tanto radicati quanto immotivati. Chi nel racconto dice io osserva e descrive con un distacco che a tratti lascia sospettare un perverso compiacimento. Eppure, in Camerati e in Pagina patrum, l'epopea della scoperta del mondo da parte dei CONFRONTI ragazzini e quella cantata fra le mura del liceo, non erano mancate note di tenerezza, stupite atmosfere sentimentali, forti passioni, franchi antagonismi fra i giovani eroi. Ecco, il punto sta qui, e qui sta la ragione della struttura non romanzesca ma politica del libro: le epoche della vita sono ritratte da Franchini come epoche chiuse, non comunicanti fra loro, mondi esperienziali che l'adulto si lascia alle spalle e ai quali lamemoria corre solo di rado, senza che però suscitino più alcun moto interiore (così è nell'ultimo racconto: diventare grandi è dimenticare di essere stati giovani). Il mondo che ci circonda è un mondo di mostri e, per affermarsi, occorre aver salvaguardato un solo valore fra i tanti incontrati e fatti propri nel crescere: sotto alla sistematica diffidenza sospettosa verso gli altri appaiata ad un falso essere cordialmente disponibili, cova compiaciuta una cinica crudeltà. Allora, Franchini ci racconta, e bene, una storia che per molti versi è la storia di tanti fra l'occhioe l'orecchio di Portelli Bruno Cartosio A Boston, negli anni della Rivoluzione americana, gli indipendentisti, non avendo il re a portata di mano, appendevano ai rami dell' albero della libertà i quadri con le teste dei funzionari coloniali. Non potendo decapitare il re, come i loro avi avevano fatto con Carlo I qualche generazione prima, si accontentavano di quelle esposizioni simboliche. Poco tempo ancora e altri rivoluzionari, in Francia, avrebbero invece ripetuto quell'atto ai danni di Luigi XVI. Fin dalla nascita degli USA lo spettro del Foto di Roberto Koch /Contrasto noi 'over trenta', fatta di politica come passione romanticamente idealizzata, di quella furia autoanalitica esercitata durante interminabili nottate passate a discutere con gli amici più cari e con la ragazza, un' autoanalisi arrovellata che finiva poi spesso per portarci alla paralisi; e prima ancora ci ricorda i riti e le mitizzazioni delle partite di pallone giocate alla spiaggia, le dinamiche antagonistiche imposte e sofferte all'interno della nostra prima compagnia di ragazzetti. Queste storie sono le nostre storie, ma l'esito etico e comportamentale verso cui Camerati indirizza tale percorso collettivo di formazione si riduce in Esordio e raggiri a un traguardo personale, a un'acquisizione di regole di condotta e all'elaborazione di un sistema di valori validi per il solo protagonista, e soltanto per lui. O forse pure per chi della mia generazione è riuscito - sta ancora riuscendo al giorno d'oggi-ad affermarsi con successo in una posizione di lavoro prestigiosa, ad intraprendere carriere davvero brillanti. decapitato, il "fantasma senza testa," ha continuato a circolare per la letteratura di quel paese, scrive Sandro Portelli, ricordando sempre "la forma violenta dell'origine riconosciuta: larivoluzione è sempre un fantasma che si aggira da qualche parte, e la decapitazione del re ne è il culmine simbolico." Ma il fantasma ricorda anche quel gran corpo senza capo che è la repubblica nata dalla rivoluzione. E forse, possiamo aggiungere, è anche l'anima inquieta della rivoluzione stessa decapitata: costretta a vagare fino a quando il sogno rivoluzionario sarà davvero realizzato. Magari quello spettro
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