Linea d'ombra - anno X - n. 77 - dicembre 1992

Tresull'Italia: Neri,Benni, Franchini Luca Clerici Fra Gaetano Neri, Stefano Benni e Antonio Franchini sembrerebbe proprio nonesserci nulla in comune. Neri, milanese, ha 63 anni e vive il suo ruolo di scrittore quasi defilandosi ai margini della società letteraria, come testimoniano le sue scelte editoriali: il primo libro, Come vola il tempo (Bergamo, Le Cinque Vie, 1986), fu confezionato in una tipografia artigianale; i tre successivi sono stati pubblicati da Marco Zapparoli, all'epoca di Dimenticarsi della nonna (1989) un piccolo editore indipendente che stava iniziando a diffondere con grande abilità il suo marchio. Nonostante le proposte di alcuni editori di nome, Neri ha preferito rimanere legato alla Marcos y Marcos, ed ecco il bel racconto lungo Conversazione con un branzino (1990) eil recenteL'oradi tornare (pp. 153, L. 18.000). Il napoletano Antonio Franchini esordisce ora con Camerati. Quattro novelle sul diventare grandi (Leonardo Paperback, pp. 294, L. 15.000). Ha solo 34 anni, ed è già un pezzo grosso della Mondadori: una carriera davvero brillante. Quanto al bolognese Benni, i cui libri sono tradotti in almeno diciotto paesi, non è necessaria alcuna presentazione, ma semmai una precisazione anagrafica: classe 1947. Tre generazioni diverse, dunque, e tre tipi di scrittura altrettanto differenti, per non dire della distanza fra le formazioni culturali, i caratteri, gli stili di vita ecc. Forse proprio qui, però, può stare l' interesse di un confronto fra autori così lontani, perché mi pare che i loro ultimi libri non solo ci dicano tutti e tre qualcosa sull'Italia di oggi, ma letti l'uno dopo l'altro si dimostrino piuttosto interessanti nel rivelare prospettive emblematiche del rapportarsi alla nostra realtà contemporanea, punti di vista non solo 'd'autore' ma ideologici inun'accezione ampia, e dunque diffusi pure fra la gente comune - e forse proprio fra insiemi omogenei di quelli che si dispongono sulla loro stessa 'lunghezza d'onda' anagrafica. Con l'eccezione del Branzino, quella diNeri è una produzione novellistica, di racconti soprattutto brevi e brevissimi: la realtà trasfigurata poeticamente da Neri è il mondo della città, una Milano che perde i suoi connotati toponomastici individualizzanti per alludere più in generale all'universo urbano contemporaneo, ma visto come specchiato in momenti di vita quotidiana di individui comuni, protagonisti di storie qualunque, schegge di vetro che riflettono singoli episodi emblematici - raramente distesi destini - della sofferenza metropolitana. Da un canto questi dimessi eroi sono i personaggi tradizionalmente emarginati di ogni grande città: i vecchi e i bambini, innanzitutto, e gli sconfitti del lavoro - disoccupati, clochard, pensionati - colti nel loro vagare distratto ai margini della socialità, in periferie CONFRONTI degradate o in asfittici giardini pubblici; d'altro canto ecco chi nella famigliil trova anzichè un riparo cucito al tessuto sociale, un deserto in cui camuffarsi grazie a privatissime tecniche di sopravvivenza. Disegnate più spesso entro le mura domestiche, le figure di questo secondo tipo sono individuate tramite un'idea ossessiva, una fissazione particolare, un gesto rituale inscenato metodicamente; insomma, a definirne il carattere si accampano i segni di quella nevrotica follia necessaria a frapporre fra sé e la realtà un filtro che garantisca la sopravvivenza in un mondo totalmente estraneo e distratto verso queste esistenze trasparenti agli occhi della società integrata e produttiva. Comunque, sempre di storie di singoli individui si tratta, e tutti incapaci di comunicare: il loro essere disadattati comunica innanzitutto un'insopportabile solitudine. L'intonazione della scrittura predilige i registri medi, con modulazioni sottilmente emotive che rivelano al lettore verso chi sia diretta la simpatia di chi narra, la sua defilata solidarietà con tali mesti protagonisti, oppure che manifesta la consapevolezza del- !' ingiustizia non con lo sdegno ma con la pietà: la cifra dello stile di Neri è una naturale grazia espressiva, una felice misura. Nonostante in quest'ultima raccolta i colori della prosa si facciano più vividi e alcuni testi a momenti sfiorino la crudezza per la messa a fuoco di motivi e tematiche decisamente attuali (quanto mai attuale è ad esempio il tema di Azzurri, dedicato agli immigrati extracomunitari), la scrittura di Neri rimane aliena da ogni energico ribellismo. La sua è infatti una denuncia pacata Stefano Benni in una foto di Giovanni Giovannetti (Effigie) e discreta ma lucida, e posa sulla convinzione che i suoi personaggi inscenino da sé i propri diritti di riscatto: la loro esibizione fa tutt'uno con una tacita richiesta di emancipazione. Le frequenti situazioni paradossali, nuclei narrativi centrali di molte novelle, sono spesso raffigurate attraverso l'occhio di un narratore in apparenza dislocato fra coloro i quali tutti i giorni vedono con indifferenza o tutt'al più con rassegnazione episodi di violenza ed emarginazione, ma il suo è un occhio che registra pure le manifestazioni di disperata vitalità o le invocazioni di soccorso degli anonimi eroi qualunque di Neri. Lo scarto sta nell'intonazione della pagina, nell'attrito fra un momento della scrittura di tipo constatativo e resocontistico, e un'impennata elegiaca, sottilmentè patetica, ironicamente paradossale, di asciutta crudeltà, che suggella la svolta del racconto e palesa le ragioni del narratore, sempre schierato al fianco dei protagonisti. Il lettore, così, sembra essere invitato in modo solo implicito a prendere coscienza dei suoi doveri e della sua inumanità, perché Neri lo sollecita con discrezione e rispetto, fidando nelle buone maniere di una comunicazione letteraria elegante e misurata che nasconde in sé, però, il dubbio che non ci sia purtroppo nulla da fare. La genericità spazio-temporak degli sfondi dei racconti di Gaetano Neri e il significato simbolico dei loro anonimi protagonisti sono il frutto di una scrittura dalla storia antica: molti testi della Nonna e alcuni di L'ora di tornare nella loro versione originaria risalgono a parecchi anni addietro, ma non soffrono per nulla l'età proprio per la loro disarticolazione da un luogo e un tempo precisi; mi sembrano piuttosto rispondere ad un'altra congruità, a una più astratta esigenza di dar voce a uno sdegno morale appena sussurrato, perché legato e insieme delimitato dalla sottile consapevolezza dell'impossibilità di cambiare. Questa la valutazione sulla nostra Italia, da parte dello scrittore senior del terzetto. La Compagnia dei Celestini (pp. 286, L.

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