Linea d'ombra - anno X - n. 77 - dicembre 1992

CONFRONTI La consapevolezza di Gustaw Herling Domenico Scarpa È sempre sorprendente constatare come ci siano scrittori che assomigliano a fiumi carsici, scrittori che per lunghi tratti della loro vita si tuffano nelle viscere della terra, in polemica (oppure, cosa insieme migliore e peggiore, in condizione d'incomunicabilità) col proprio tempo, o in quello stato dolceamaro che Vittorio Sereni battezzò "silenzio creativo". Ebbene, questi scrittori danno l'impressione, all'osservatore che si trovi nei pressi di una loro scaturigine a cielo aperto, di essere "nuovi", senza storia; o, al contrario, gli provocano il disorientamento di chi scopre una lunga e fitta storia della quale mai aveva avuto notizia. Il lettore di Gustaw Herling si trova in quest'ultima attitudine: per questa ragione io, che devo rendere conto di questo suo Diario scritto di notte (Feltrinelli, pp. 272, lire 32000) sento il bisogno di offrire al lettore innanzitutto una breve raffica di "cenni biografici". Polacco di Kielce, nato nel 1919, Herling è un critico letterario brillante e precoce nella Varsavia d'anteguerra, discepolo di Witold Gombrowicz. Dopo che Hitler e Stalin si sono spartiti il suo paese, prova a raggiungere la Scandinavia per combattere contro i tedeschi. Catturato invece dai sovietici, è deportato nel lager di Kargopol, dove resta per due anni. Grazie a uno sciopero della fame, ottiene di arruolarsi nel II Corpo d'armata polacco comandato dal generale Anders. Combatte a Montecassino ed è tra i pochi sopravvissuti. A guerra finita, si stabilisce a Parigi (con assidue frequentazioni londinesi), mentre a Roma fonda la rivista "Kultura", che invia clandestinamente in patria e che diviene subito l'organo di stampa più prestigioso degli emigrati politici. Nel 1951 pubblica Un mondo a parte, il libro che racconta la sua esperienza di lager, elogiato da Bertrand Russe!!. Quattro anni più tardi sposa Lidia Croce, terzogenita di Benedetto, e viene ad abitare a Napoli. In Italia conta pochissimi amici: su tutti, Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, per i quali collabora alla rivista "Tempo presente". Collaborazioni più recenti, al "Corriere della Sera" (direzione Spadolini) e al "Giornale". Di lui si torna a parlare dopo la ripubblicazione (Schweiller 1990) di Due racconti (La Torre e Il miracolo, incluso anche in questo diario) e dopo un'intervista ("Linea d'ombra" n. 57, febbraio 1991) di Silvio Perrella, stupito della scoperta di questo grande fiume carsico nella nostra città. La prima cosa da dire su Herling è che scrive dopo la conclusione (speriamo) della peggior tragedia intellettuale del nostro secolo: I' intellettuale, appunto, che si crede investito di una missione, d'ingegnere della storia o delle anime o entrambe le cose. Herling è uomo, prima che scrittore, dotato del "pudore delle parole": la sua scrittura nasce dalla contemplazione delle disperazioni e dei crolli provocati dalla combutta tra i missionari-ingegneri e il Dionigi di Siracusa di turno. Ecco perché, chiamato nel '71 a continuare sulle pagine di "Kultura" la rubrica diaristica che Gombrowicz aveva tenuto (con taglio da cosmologia dell'interiorità) dal '53 al '66, Herling l'ha rovesciata dandole un'impostazione cronistica da diario in pubblico. Il suo abito (dichiarato, poi vedremo meglio) è quello del testimone. Herling considera le cronache "un'eccellente scuola di scrittura: insegnano (quando sono vere) il rispetto della supremazia della nuda relazione sulle tentazioni di descrivere." Se però passiamo a vedere di cosa fa la cronaca Herling, questo oggettivo panorama si complica immediatamente. Il diario si apre con un racconto - nume tutelare, per la prima e ultima volta, Benedetto Croce - sul terremoto di Casamicciola del 1883; e vi si parla di "una specie di atavismo delle calamità naturali (... è un innato, o acquisito, senso della fragilità sia della terra sia della vita umana." Il sisma divent~ una figura metafisica (gli orrori che, per essere troppo storici finiscono per parere naturali) e storico-politica (un'allegoria perfino divertita della situazione italiana di sempre). Casamicciola è solo il primo di una lunga teoria di orrori della storia e della geografia: dalla peste di Napoli alle fosse di Katyn, dalla battaglia di Montecassino alle morti di Marina Cvetaeva, di Osip e Nadezda Mandel'stam. Così il diario, luogo dello scorrere quotidiano del tempo, diventa il luogo dove si narrano i momenti eccezionali, i momenti della crisi personale ed epocale. In questo caso il diarista offre insieme di meno e di più dello storiografo: non l'illuminazione dei moventi sociopolitici, ma gli indizi le prefigurazioni le trasfigurazioni del nostro avvenire e del nostro presente: in unaparola, laverità.Una prova di quel che dico sta nel fatto che le storie di Herling sono wsì ricolme di senso che bisogna leggerle con lentezza, poco per volta e malgrado la chiarità della prosa: a finire questo libro, chi scrive ha impiegato delle settimane, riconoscendo che ciascuno degli episodi narrati è, come diceva Borges, "un simbolo di qualcosa che stiamo per capire". Un aspetto notevole dei ritratti di Herling è che quasi sempre partono da un funerale, una morte, un'ultima visita, e rifanno la storia a ritroso per stringati capitoletti: in perfetta coerenza con l'assunto cristiano che il ritratto morale dell'uomo sia da tracciarsi (e rintracciarsi) solo a partire da un momento di verità ultima. E questo senza mai abbandonare la consapevolezza che l'uomo è posto momento per momento di fronte a una scelta morale: il diario è quotidianità, ma la quotidianità è tutta intessuta di momenti eccezionali, decisivi nel senso etimologico del termine. "Voglio dirvi una grande verità: non aspettate il giudizio universale, perché esso si celebra ogni giorno". (Camus, La caduta) Si capisce così perché l'elogio più altisonante del libro sia dedicato alla memoria: "La memoria, in quanto esperienza del dolore e del mistero del trapassare, è un ponte, una mediatrice, è l'acqua vivificante della fonte divina accanto alla dimora dei morti. Quindi un'altra definizione dell'uomo volgare può essere questa: un uomo senza dolore, senza memoria". La memoria è il sangue che scorre nelle arterie e quello che spiccia da una ferita primordiale. Se ricordiamo la biografia di Herling, resta vero per lui ciò che disse Primo Levi, che chi è stato torturato una volta è torturato per sempre. Certo è paradossale che Napoli, città de!la dimenticanza di sé, del tumulto, sia diventata la città della memona, come se Herling si trovasse nel silenziosissimo occhio di u_ncicl~n~ d! rumori. Attenzione però, giacché Herling non perde occasione _d1dirsi straniero a Napoli. E quando scrive frasi come questa ("una ~ quell~ canzoni napoletane in cui una sentimentalità sciropposa e l~cnmo~a s! intreccia ai singhiozzi di ritornelli dal ritmo travolgente") siamo s1cun che non si tratta di un amante dei nostri lati peggiori. Ma in un diario fatto di racconti e di cronache, di memoria esercitata perlopiù sul passato altrui, dove cercare Herling, dove tro~are il suo cuore, se non messo a nudo perlomeno en déshabillé? ~on si_ tratta solo di una curiosità malsana: proprio Herling anzi, qu~to più è ~~ato su se stesso, tanto più è ghiotto di m~morie epistolan an~ b!ografie diari di artisti e personaggi storici. E indicativa la sua ~pe renza per Pavese e il suo diario di lancinante teatralità.

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