non credente si trova immerso nelle norme formali della ragion pratica e non riesce a formulare la propria posizione in maniera forte. Si tratta però di una chiarezza apparente perché le religioni rivelate sono, alla fine, un argomento sociale, non normativo cogente. Se la società è religiosa e condivide una fede in una religione rivelata, allora il credente semplicemente si allinea ai principi condivisi della società. Se invece la società è secolarizzata, come per fortuna è la nostra, o si parla di principi condivisi senza alcun altro fondamento che l'essere condivisi, e il fatto che si creda o no alla origine divina dei principi non aggiunge e non toglie nulla, o la fede, se è una fede individuale, non aggiunge nulla. Perché il credere che i principi che a me sembrano giusti sono rivelati, mentre buona parte della società non li crede tali, o crede che siano rivelati altri principi, rende la mia posizione più solida? Alla fine il problema è quello dell'opinione generale prevalente, dell'opinione della maggioranza, del diritto delle minoranze a comportarsi secondo i propri principi, in quanto non ledano la vita, la persona, gli interessi fondamentali, della maggioranza, e la fede non c'entra nulla. Gli argomenti di Mario Miegge, pubblicati a dieci anni di distanza, all'inizio degli anni Settanta e all'inizio degli anni Ottanta, erano di particolare importanza perché, malgrado l'autore fosse e sia un credente, non tiravano in ballo l'etica rivelata, ma invece usavano criteri fondati sul consenso sociale e sul mandato, sul rispetto dell'individuo e della sua libertà, ma anche dei diritti della maggioranza, in quanto la maggioranza non schiacci gli individui e la loro libertà. Il dubbio. Un autore che attribuisce grande importanza alla comunità, come Walzer, tende ad usare come criterio di accettabilità della critica e della rivolta la identificazione con una comunità. (Si tenga conto che non necessariamente critica e rivolta vanno insieme: perché il critico, in pratica può attenersi al più quieto conservatorismo, e anzi deligittimare ogni rivolta, perché non sufficientemente radicale o perché non risolve, e non può risolvere, come non lo può nessuna rivolta empirica, il problema fondamentale). Il massimo di ambiguità, per me, si ha quando la comunità cui si aderisce tende ad assumere caratteristiche nazionalistiche, ideologiche; mentre il contrario vale per le comunità molto strette, in cui gli individui fisici siano ben riconoscibili, casuali presi uno per uno, ma generali come appartenenza sociale. Delle valutazioni positive le più convincenti perciò mi sembrano Silone e Breytenbach. Silone sta con i cafoni abruzzesi, con quelli del suo paese. Che siano proprio di quel paese lì è casuale, ma la loro condizione è molto diffusa a questo mondo. Silone non si schiera con loro contro altri cafoni, magari calabresi, ma contro quelli che passano in macchina a prendere i voti, senza neppure fermarsi (e poi i voti non li prendono). Perciò la sua è una adesione fondata su principi, che però naturalmente si esplicita a partire dai vicini, non dai lontani. Si può voler difendere i cafoni del mondo; ma poi, se si è onesti, si riesce a difenderne davvero solo alcuni, si può conoscerne ed amarne personalmente pochi. Ed è questo che fa la forza di Silone. Diversa, ma analoga dal mio punto di vista, è la posizione di Breytenbach, perché lui non appartiene, per ragioni cromatiche, al gruppo che difende; non si muove all'interno del sangue e del suolo; ma neppure si ritiene svincolato da tutto e da tutti: perciò ha insieme un rispetto dei principi e una lealtà alle persone fisiche che risulta analogo a quello di Silone. Il caso ambiguo è invece quello di Camus: perché qui la identificazione, critica, con i pied noirs non è dettata da una coincidenza tra principi e appartenenza. Anzi c'è un conflitto tra principi e appartenenza. Cosa che è perfettamente comprensibile psicologicamente (ci mancherebbe altro che non ci fosse un problema nello schierarsi contro quelli che vengono dallo stesso paese, o contro i soldati dello stato di cui si è cittadini) ma che non sembra un buon punto di partenza per una critica della società: Camus infatti tace. Walzer pensa che questo tacere sia la ILCONTESTO sua specifica virtù. Io sono sbituato a pensare che gli antifascisti del carcere di Civitavecchia che facevano il tifo per i bombardieri alleati che sganciavano su di loro rispettassero insieme i principi e la solidarietà personale, solo che avevano scelto, e legittimamente potevano scegliere, anzi, politicamente avevano fatto benissimo a scegliere solidarietà diverse da quella nazionalistica. La posizione di Camus a me sembra compren.sibile, ma non necessaria: in una certa misura incoerente con la sua posizione di critico della società. Convincente mi sembra invece la critica a Foucault. Walzer enuncia e accetta la tesi di Foucault, che trova "un bel modello, anche se un po' troppo facile": "La verità è una cosa di questo mondo, ed è prodotta soltanto in virtù di forme multiple di costrizione. Essa produce effetti regolari di potere". Poi mostra i limiti forti della posizione pratica: "A volte Foucault sembra non essere vincolato a nient'altro che ad un elaborato gioco di parole sulla parola 'disciplina' - che significa da una parte un ramo della conoscenza, dall'altro un sistema di correzione e controllo. Il suo assunto è che la vita della società è disciplina al quadrato. La disciplina rende possibile la disciplina (potete invertire a piacere l'ordine dei sostantivi) ... Il potere non è solo repressivo ma anche creativo ... Il diritto penale è costituito dal sistema carcerario ... una forma di disciplina rende possibile l' altra ... egli non è un promotore, non è un critico che abbia uno scopo. Foucault non è in grado di distinguere tra forme di governo diverse, né a livello "generale" dello stato né a quello "specifico" del carcere. Il suo distacco favorisce l'impotenza; quando la distanza del critico si allunga all'infinito l'impresa critica fallisce". Ma la gente comune- cittadini e anche prigionieri - è perfettamente in grado di fare le necessarie distinzioni ... i carcerati in realtà non mettono in discussione la linea che separa la colpa dall'innocenza, o il valore di verità dell'ordinamento giuridico o del diritto penale. Per concludere: "Non voglio chiedere a Foucault di essere edificante; non è questo il compito che si è posto. La questione è piuttosto che non si può essere abbattuti, irati, torvi, indignati, accigliati, o amareggiati a ragione, non si può essere critici, a meno che non si viva in un ambiente sociale e se ne adottino, non importa se a titolo sperimentale, i codici e le categorie". Fatto salvo naturalmente il diritto di scelta dell'ambiente sociale. Fatto salvo il diritto di Breytenbach di scrivere. "Nel pieno delle mie facoltà mi oppongo al mio popolo: cavernicoli". L'ambiguità. li punto di ambiguità, secondo me, è il grado, l'ampiezza, della scelta possibile. Se la scelta possa essere affidata interamente alla ragion pratica, ad una razionalità laica, o se, in qualche modo, l'appartenenza sia dettata dal sangue e dal suolo e dagli dei della propria tribù. Se cioè abbia ragione Nolte o abbiano ragione i suoi critici. Se la razionalità laica sia di fatto limitata alla conoscenza o se possa, e debba, non importa qui se con difficoltà o facilmente, se con sicuro e crescente successo o talora con alta probabilità di sconfitta, estendersi alla politica, all'agire pratico. Sembra esserci una tendenza ali' accettazione della etnicità e della religione, che a me sembra, in generale del tutto infondata, come criterio di comportamento, per i motivi che ho cercato di esparre: La questione però mi sembra tutt'altro che risolta: I_nfat~,se Cl sono società in cui i comportamenti e le norme tradmonali sono realmente prevalenti, o pressoché universali, la critica di chi parli dall'esterno è totalmente impotente. È il critico interno che non è sottoposto agli stessi vincoli. La sua stessa esistenza è prova _del~a legittimità di ciò che dice. Ma, se si accettasse come cnteno fondamentale l'appartenenza per nascita, saremmo d~nuov<?a una discriminante di sangue. La discriminante è, a rrno av~1s<?,la partecipazione e la competenza. Chi critica, chi propone di ~gue ~ non si limita a conoscere si schieri tra le parti realmente esistenti, si guadagni il suo mand;to, si cerchi sul campo la sua legi · ·
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