Linea d'ombra - anno X - n. 77 - dicembre 1992

ILCONTESTO Studenti del Talmud. Trnava, Cecoslovacchia, 1937 (Fotodi R. Vishniac). re finalmente all'aperto, misurarsi, farsi le proprie ragioni, uomini tra gli uomini, uomini di fronte agli uomini, non parrebbe nemmeno vero a loro, che fino a ieti erano costretti a nascondersi, a ringhiottirsi reazioni e risposte, a cambiarsi i connotati, diffidati persino di pronunziare il proprio nome, cioè in parole povere di dirsi figli del proprio padre. Recensendo il libro di Wendell L. Wilkie: One World, Benedetto Croce ha trovato l'occasione di tibadire "un bisogno fondamentale dell'uomo, che è di soffrire e di lavorare". Qui da questa parte della guerra, gli ebrei si vedono di nuovo riconosciuto dopo anni, il loro bisogno di lavorare. Rinasce in essi, complementare, il bisogno di soffrire. Forse che non hanno sofferto abbastanza? Sicuro che hanno sofferto, il mondo sa quanto, e di là dal fronte della libertà ancora soffrono, e in tal misura, che questa nostra pretesa di soffrire può sembrare bestemmia, cattiva sfida, provocazione del destino. Ma la pretesa, a guardarci meglio, è unicamente di non accampare, né vedersi riconosciute, speciali pretese. Il diritto di non avere speciali diritti. Speciali, cioè razziali. E quello che gli ebrei già liberi hanno patito, e quello che i perseguitati patiscono ancora, desiderano sia versato, messo in comune, mescolato al lungo, collettivo, unanime tributo di lacrime e di supplizi, che gli uomini, degni di questo nome hanno offerto, e offrono tuttavia, per assicurare al mondo la più lunga 16 serie di secoli civili. Se una rivendicazione gli ebrei hanno da fare, è questa sola: che i loro morti di violenza e di fame, i piccini che non hanno resistito al primo sorso di latte finalmente somministrato, dopo mesi di inanizione, nei paesi di asilo, le donne prese a calci e mitragliate, i poppanti lanciati in aria e impallinati come uccelletti, siano messi in fila con tutti gli altri morti, con tutte le altre vittime di questa guerra. Soldati, anche loro, con gli altri soldati. Per uniforme avevano il loro vestito di tutti i giorni, ma sbranato dai tormenti, vano sui corpi scheletriti. E alcuni, anche, avevano armi: i bambini, che si stringevano sul petto le bambole di pezza e gli schioppi di latta, ritenuti indegni di divertire i figlioli dei tedeschi. Così hanno marciato verso i loro fronti, che erano i luoghi di pena e di tortura. Hanno fatto anch'essi i loro sbarchi, ma sulle rive dell'aldilà. Caduti bocconi, i loro volti -quelle facce che i redattori delle varie "difese della razza" fotografavano per inchiodarle sulle copertine di immonde gazzette - non hanno mirato, con gli occhi che nessuna mano ha chiusi, il cielo alto e lontano. Questi soldati chiedono soltanto che i loro carnai siano ricordati tra i campi di battaglia di•questa guerra. Chiedono che, se si farà l'appello dei morti, i loro nomi siano letti tra quelli degli altri soldati, caduti per questa guerra. Senza un più di gloria che, facendo un torto ai commilitoni, offenderebbe quella giustizia per cui sono morti, la fraternità della morte, e parrebbe un torto fatto a loro. Senza un supplemento di pietà - pietà per i poveri ebrei - che umilierebbe il loro sacrificio.

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