Gliaratoridel vulcano Giacomo Debenedetti Ci sembra ancora, e purtroppo, di grande attualità, l'opuscolo di Debenedetti Otto ebrei, del settembre 1944. Esso è stato riproposto assieme alla ricostruzione, fatta da Debenedetti immediatamente dopo la liberazione di Roma, della razzia nazista nell'ex ghetto di Roma, 16 ottobre 1943, in un'edizione del 1978 degli Editori Riuniti (seconda edizione 1985). Era anche apparso nel 1961 in un volumetto delle Silerchie delle edizioni del Saggiatore assieme alla Lettera a Hitler ( del 1932) di Louis Golding. Così la nota editoriale di presentazione del volume, scritta dallo stesso Debenedetti, descriveva storia e fini di Otto ebrei: "L'opuscolo Otto ebrei fu scritto a Roma nel settembre del 1944, all'indomani della liberazione dell'Italia Centrale, mentre ancora durava la guerra e nei campi della morte operavano le camere dei gas e i crematori. Quasi tutto era già stato consumato: milioni di Ebrei erano stati distrutti da Hitler. Nei paesi liberati si cercava generosamente di risarcire con l'amore i pochi Ebrei sopravvissuti.L'Autore dell'opuscolo cerca di stornare questa persecuzione dell'amore, che presenta ancora il pericolo di distinguere, sia pure con un privilegio, la "razza" ebraica dalla razza umana. Lo scritto uscì con una solidale prefazione di Carlo Sforza; ma per lo più fu accusato di ingratitudine. Oggi forse lo si leggerà con altri occhi, visto che ogni giorno gli uomini di razza umana sono costretti a riscattare con un soprappiù d'amore le malefatte di qualcuno dei tanti razzismi. È chiaro che questa disponibilità di amore, invece di accumularsi in scariche passionali quando non c'è più rimedio, sarebbe meglio impiegata se si diluisse in una durevole, equanime solidarietà, capace di prevenire stabilmente il male. (Per questa Silerchia avrebbe voluto scrivere un'introduzione Giacomo Noventa: fu uno dei suoi ultimi progetti di lavoro. Si poneva il problema di come gli Ebrei, dopo le persecuzioni, avessero la capacità di ricominciare a vivere.)" Di Otto ebrei riproponiamo qui la parte conclusiva. Tornavamo da Napoli, sul fastigio di un camion di noci, sotto la pioggia battente. Uno strano tipo era salito con noi: barba di tre giorni, aspetto da fuggiasco o da evaso, ma gli abiti stracchi tradivano ancora il taglio borghese, e borghesi erano la faccia, l'espressione, la sagoma, tutto quanto. Fino a qualche anno fa, tutti in casa dovevano averlo chiamato il "signorino". L'ex signorino gettò sulle altre valigie una borsa da avvocato, da cui sporgeva un lungo rotolo. "Uova di tonno" annunciò, e non cessava di raccomandarsi "per carità, queste non le debbo perdere, se no sono rovinato." Un borsanera alle prime armi, pensammo: forse un professionista, che l'iniquità dei tempi costringe a questo mestiere così incongruo con le arti del Trivio e del Quadrivio. Affettuosamente, a tutti i compagni, domandava nome, stato di famiglia, indirizzo, se i figli fossero maschi o femmine: quasi a propiziarsi la loro amicizia, a farsi proteggere, lui così spaesato e inesperto, da quell'abbozzo di amicizia. Ingenuo, patetico, quasi. Più tardi, a un posto di blocco, venimmo a sapere che l'ingenuo era un giovane funzionario della Questura, di ritorno da una breve licenza nella nativa Palermo. Improvvisa metamorfosi di tutto il tipo. È inutile, il "così è se vi pare" rimane sempre una grande trovata psicologica: e la Sicilia non cessa di dare ragione al suo Pirandello. Dunque, tutto il capzioso gioco di indagini, di domande, di investigazioni, da parte di quel personaggio così in cerca d'autore, non era che un allenamento agli ILCONTESTO interrogatori futuri, volontaria propedeutica all'arte di tirare i vermi dal naso del prossimo, esercizi sulle cinque note per quando, seduto dietro il monumentale clavicembalo della sua scrivania di Questore, gli toccherà di eseguire le più virtuosistiche introduzioni, i più lisztiani accompagnamenti per "far cantare" il pollo. In particolare, poi, quasi che le nostre facce fossero altrettanti specchi, l'uomo vi studiava gli effetti di certe espressioni mimiche, di un certo tipo di guardatura in tralice, come da oltre le lenti di inesistenti occhiali: uno sguardo connivente e furbesco, mite a un tempo e accusatore, uno sguardo che pareva dire: "Sbottònati, a che prò nasconderci l'un l'altro?" Quando il nostro turno giunse, e noi senza ambagi gli declinammo il nostro nome, quel giovane e passionato domenicano della inquisizione poliziesca, quel futuro ripopolatore delle carceri d'Italia, ebbe un balzo trionfale, come quando, nei luminosi giorni della sua carriera, la sventata risposta di un malcapitato gli permetterà di saldare fulmineamente una faticosa catena di induzioni, di conchiudere in un attimo, con un colpo di scena, una serie di indagini che si annunziava lunga e penosa; di scoprire nel testimonio un reo, di stringere a un tratto l'inerte congerie delle prove in un'accusa lampante. Proruppe: "Debenedetti? ebreo?!" E immediatamente quello sguardo professionale, da dietro occhiali inesistenti, varcando di sotto in sul' arco ciliare, ci dardeggiò di sghembo, e condensava un tumultuoso accavallarsi di sottintesi, di illazioni, di involontarie e quasi ripugnate complicità, di scontrose indulgenze: "Ah, per questa volta ce l'hai fatta" esclamò quello sguardo "ma ringrazia l'amnistia. Vattene, vecchia volpe, e bada di non ricaderci, l'aria del vigilato speciale non te la toglie nemmeno Domineddio." Ci parrebbe di essere cattivi, se aggiungessimo che in quell'occhiata trascorse anche una sfumatura, un pizzico, un nonnulla di rimpianto: "Però se niente niente ti avessimo colto, così in flagrante, qualche mese fa!" Non è moralmente vero, non è plausibile che la revoca di un ordine diventi ipsofacto una revoca dell'abitudine di eseguirlo. Il nuovo ordine ha bisogno di maturare per farsi ordine nuovo. E nessuno pretende che il mondo, questo mondo che è stato creato in sette giorni, si modifichi in un'ora: se no, come credere che un'altra ora non gli basterebbe, quando che sia, per recidivare nel peggio, e tornare al proprio vomito? L'esclamazione, l'occhiata del nostro questurino denunziavano lo sforzo di adattamento a un'ottica diversa; la necessaria, ancorché rapida, manovra per invertire la corrente. Il nostro sospetto è che la nuova ottica possa venire adottata come un comando "dall'alto", una specie di Decreto promulgato dalla "Gazzetta Ufficiale", e dunque di sua natura soggetto anch'esso a revoca, dettato da necessità del momento, visto che ... in considerazione di ... Il sospetto è che il nostro questurino si uniformasse ai criteri di oggi con la mentalità di ieri, tenesse d'occhio quella onnipotente, inesorabile e oscura Divinità, in nome della quale si esaltavano ieri o siluravano funzionari, giornalisti, alte e basse cariche: la cosiddetta "sensibilità politica". Ordine di servizio: mostrare simpatia agli ebrei. Ma chi, come gli ebrei, ha sete di libertà, una di quelle seti che tappezzano il palato: chi ha capito come la libertà sia letteralmente una questione di vita o di morte, è pronto a riconoscere che, tra tutte le libertà che compongono la Libertà, è compresa anche la libertà di essere antisemiti. Un antisemitismo di uomini liberi, un antisemitismo (se non c'è contraddizione) liberale, contro cui sia dato di opporre validi argomenti e pertinenti confu~oni, ~pparirebbe perfino tonico, ravvivante, rigenerato~ ag~1 em;1 che escono ora dall'anchilosi dell'immobilità e del silenzto.
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