IL CONTESTO Ebrei e naziskin I faffi o le notizie Piergiorgio Giacché Un breve adagio, che la dice lunga sul giornalismo, spiega che un lupo che attacca un gregge non conta niente: semmai è il lupo azzannato dall'agnello l'avvenimento che fa notizia. Ed ecco allora la notizia, ormai di qualche tempo fa ma ancora sorprendente: un'incursione "alla israeliana" dei ragazzi ebrei di Roma contro la sede dei naziskin. Di israeliano aveva almeno due cose: il suo carattere di rappresaglia più forte e più violenta delle precedenti "provocazioni" dell'avversario e la sua motivazione principale, ossia il rifiuto di continuare ad essere vittime passive della prepotenza altrui. Proprio su questi due punti sono continuate a fioccare le notizie, congelate in forma di commenti, per dirimere la questione di quanto sia giustificabile e di come sia ingiusto "farsi giustizia da soli". Dai commenti si è quindi ascesi alle nuvole del Dibattito e a quel punto soltanto le più autorevoli firme erano autorizzate a procedere sul come stessero davvero le cose in teoria e sul che fare, in pratica, per migliorarle: in altri termini, su come impostare il tema dell'antisemitismo e su come risolvere il problema dei naziskin. Il Tema l'hanno svolto, sui fondischiena e sulle spalle di riviste e quotidiani, quasi tutti i vecchi e i nuovi firmaioli - da Montanelli a monsignor Tonini, se si vogliono fare due esempi di eguale anzianità ma di diversa stagionatura - e si sono trovati in maggioranza concordi nell'affermare che l'antisemitismo è sì un fantasma che si aggira in Europa, ma che in Italia non sembra spaventare né attrarre nessuno. Del resto, l'immunità italiana al virus antisemita dev'essere per molti un'antica peculiarità della nostra razza (si fa per dire ..), almeno per quanti non si trattengono dall'esibire, come prova storica, proprio le famigerate leggi razziali del '38: leggi, come ognun sa, tardive, applicate riottosamente e per difetto, quasi fossero state imposte dell'odioso alleato germanico ad un regime fascista ma nostrale, di cui non si finirà mai di lodare la fragilità e la cialtroneria (non per chiamarsi innocenti, ma per sentirsi innocui, come vuole il ritratto di un popolo oggi come allora composto di bonari menefreghisti - vedi i gagliardetti d'epoca ma anche la serie delle commedie all'italiana, appunto). Dall'altra, il problema è stato piuttosto appannaggio delle tribune televisive, cioè di quei programmi/verità basati sullo scontro fra leaders e opinions in piazza o salotti simulati; trasmissioni che, pur piene di forti emozioni e di finti litigi, sembrano infine aspirare ad un moderato "comprendiamoci tutti" invece che a un modesto capirci qualcosa. In quelle sedi, le rimostranze e gli appelli erano diretti allo Stato, ma ancora di più alla Scuola, perché, a colpi di mostre e arcivideotape sulla storia degli ebrei, riparassero al male che affligge l'Italia e che è notoriamente all'origine della in-coscienza e della delinquenza dei naziskin: la disinformazione! Così, il ricevente medio del nostro obeso ma ap.cora deficiente sistema informativo deve esserci ritrovato davanti ad una sconsolante somma algebrica, far le rassicurazioni circa un antisemitismo inconsistente e non preoccupante e gli allarmi per un'ignoranza montante e pericolosa. Sarà per questo che quando qualcosa "fa notizia", c'è sempre da temere in una società come la nostra, così lontana dallo stato di fabula e di natura dei lupi e degli agnelli e così affollata di nuove ed "eteree" specie animali. Dentro il regno delle notizie e dei notiziari, infatti, il rischio non è più da tempo quello del travisamento colpevole o dell'ordinaria manipolazione dei fatti, ma al contrario quello della svalutazione e dell'oblio a cui sono destinati gli avvenimenti terreni a vantaggio dello sviluppo aereo della discussione. Ma una discussione su un'assurdità teorica come quella dell'antisemitismo non ha davvero troppe possibilità di innalzarsi; soprattutto se non si vede l'ora di esorcizzare i fatti e di nascondere o dimenticare i protagonisti reali. In casi come questo è ancora più importante invece "restare ai fatti", non per rivendicarne l'oggettività o la purezza, ma per sfruttarne la differenza. Se le notizie servono a sapere, attenersi alla linea dei fatti può essere senz'altro più utile a capire. E tale linea è costituita di quelle dinamiche spontanee e di quelle relazioni dirette di cui tutti hanno esperienza: "i fatti - si dice- parlano da soli", e con ciò non si allude soltanto alla loro dimensione immediata e magari brutale, ma anche alla quantità di autonoma comunicazione e al grande potere di coinvolgimento che essi attivano di per sé e attorno a sé. È così che, ad esempio, ifatti hanno dato ragione agli ebrei, se è vero che la loro spedizione punitiva ha avuto il potere di suscitare la mobilitazione straordinaria cii una comunità e di smuovere cortei di solidarietà, che hanno moltiplicato le serie dei gesti e delle presenze concrete più efficacemente di quanto non abbia fatto la pioggia delle notizie. Ed è così che, dall'altra, non si può negare - nei fatti -1' antisemitismo, né ha troppo senso misurarne le oscillazioni di intensità. Alla domanda su chi siano i naziskin, che senso avrebbe rispondere, come pure è avvenuto, che "sono pochi", o addirittura "non rappresentativi"? L'antisemitismo è certamente meno diffuso e funzionale di un tempo, ma è ancora una delle derive cui tradizionalmente approdano i portatori "malati" di una domanda, tanto grezza quanto frustrata, di identità: apparentemente è la risposta più assurda e perfino la meno frequentata, a fronte di altri e più attuali "razzismi" che sembrano riscuotere un più alto gradimento nei sondaggi dell "'Espresso", ma certamente è la più pericolosa perché promette l'individuazione di un nemico interno e come invisibile, per di più dotato di una fondata e forte identità. E allora, sempre restando ai fatti, lo scontro fra ebrei e skin ha messo a nudo un inquietante confronto: l'ebreo è un'identità e però non è affatto riconoscibile come "altro", laddove il naziskin si sovraccarica di vistosi segnali di "alterità", senza per questo raggiungere una qualche identità, ma invece rivelandone il bisogno e l'assenza. Calcolando il numero dei comportamenti e delle situazioni similari, anche se non estreme, non conviene proprio giurare sulla "non rappresentatività" del fenomeno; per quanto_riguardainvee~ la scelta antisemita come sciagurato (ma non umco) approdo, c1 si può certo distinguere o distanziare dai naziskin, ma per favore senza consolarsi con l'affermazione che si tratta di un prodotto dell'ignoranza. Oltre e sopra l'ignoranza, diciame><:elouna buo~a volta, c'è una malvagia stupidità, alla quale tutti fanno co~tt: nuamente private e pubbliche concessioni e nella qual_em~lti s1 immergono quasi permanentemente e sempre con sod~sfazio~e; Si può discutere se in questa sfera rientrino alcuru o tutti 1 comportamenti violenti, ma è intanto sicuro che a questa sfera
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