Linea d'ombra - anno X - n. 77 - dicembre 1992

poveri nella corsa verso il benessere economico cominciava a incrinarsi sensibilmente, anche se è rimasta dominante fino ai giorni nostri nella politica dello sviluppo, e anche nella politica economica ed estera. Anche le concezioni alternative, come quelle che si richiamavano ai bisogni fondamentali oppure agli indicatori sociali, non potevano distaccarsi dall'idea di una via universale allo sviluppo pur sollecitando già defacto qualcosa di diverso rispetto alla politica di sviluppo e all'assistenza sociale. Dalla "via comune" all'"apartheid globale" Dopo quarant'anni è ormai chiaro a tutti che il progetto di Truman si è dimostrato un fallimento di proporzioni planetarie. La speranza di una "ripresa" del Terzo Mondo è svanita (a prescindere da alcune eccezioni). Al contrario, lo "sviluppo" ha fatto esplodere il divario tra l'avanguardia, formata dai paesi ricchi, e la retroguardia, formata dai paesi in via di sviluppo. La guerra del Golfo ha chiarito in modo netto la vertiginosa frattura tecnologica che oggi separa ancora di più i paesi ricchi da tutti gli altri. Lo mostrano le cifre: da parte americana ci sono state 115 vittime, mentre tra i soldati iracheni ce ne sono state 100.000 con un rapporto di 1 a 100, fatto unico nella storia delle guerre. Sebbene l'Iraq abbia fatto degli sforzi insensati per riarmarsi, il suo esercito non è stato spazzato via perché incapace, ma perché si trovava ancora al livello tecnologico degli anni Settanta. La sconfitta di Saddam Hussein, anche se comunque auspicabile, è diventata il simbolo del ritmo di innovazione del Primo Mondo e dell'impotenza del Terzo. Le cifre parlano da sole: la quota di prodotto interno lordo mondiale dei paesi in via di sviluppo, dove vivono i due terzi dell'umanità, è diminuita negli anni Ottanta di circa il 15%, mentre la quota dei paesi industrializzati, dove vive il 20% della popolazione, è aumentata di oltre l' 80%. 3 Non è dunque esagerato affermare che l'illusione di una "ripresa" ripete su scala mondiale la fatale illusione di Montezuma che lo portò ad accogliere a braccia aperta Cortéz credendo che fosse stato mandato da Dio. Ad ogni modo, l'idea secondo la quale tutti i paesi nel mondo si muovano lungo una via comune di sviluppo non è altro che un'illusione del dopoguerra. Il mondo è diviso tra le economie dell'Occidente e le economie povere dei paesi del Sud. Oltre il 70% del commercio mondiale si svolge tra i paesi Ocse, ossia le fiches si spostano essenzialmente all'interno della classe superiore e si avventurano sempre meno nella classe inferiore. Non si può più parlare di uno spazio economico continuo, ma al contrario, è come se la ricca economia del Nord e l'economia povera del Sud fossero separate da un muro. L'idea secondo la quale il Nord rappresenti un fattore trainante per la crescita economica del Sud- secondo quanto risultava dal rapporto Brandt è ormai superata. Ancora di più lo è l'idea secondo la quale il Nord dipenda dal Sud per le materie prime, i prodotti agricoli e la forza lavoro a basso prezzo, risorse che ormai l'economia a tecnologia avanzata può sostituire sempre più facilmente. Il Nord non solo non dipende in nessun modo dal Sud ma prospera grazie all'esclusione del resto del mondo. Il mondo non è più diviso tra capitalismo e comunismo, ma, usando le parole di Alvin Toffler, tra economie veloci ed economie lente. I vari paesi del mondo non sono uniti da un'unica via, come risultava dalla visione dello "sviluppo", ma sono separati da una situazione di apartheid. Dall'utopia industriale al dilemma ecologico Ai tempi di Truman era ovvio che gli Usa, insieme agli altri paesi industrializzati, occupassero una posizione di punta nel ILCONTESTO campo dell'evoluzione sociale economica. Oggi quest'ottimismo è finito. La crisi ecologica dimostra che se il modello di sviluppo industriale occidentale fosse esteso a tutto il mondo si potrebbero esaurire rapidamente le risorse naturali della terra e pregiudicare gli equilibri della biosfera. Per più di un secolo il progresso tecnologico ha promesso fa liberazione dalla schiavitù del lavoro. Oggi, proprio nei paesi ricchi, è evidente che questa speranza è del tutto infondata. La visione di Truman è finita davanti al tribunale della storia, non perché la corsa sia stata portata a termine in modo sleale, ma perché essa porta direttamente verso il precipizio. A prescindere dal fatto che l'industrialismo sia rimasto nel complesso una faccenda della classe media, l'intera umanità consuma in un anno risorse che la terra riesce a produrre in un milione di anni. Gran parte dell'alta produttività viene mantenuta grazie ad una consistente dipendenza dai combustibili fossili; perciò, da una parte, la terra viene scavata e le ultime aree verdi vengono seriamente compromesse, mentre dall'altro lato cade una pioggia permanente di sostanze nocive. Nel caso in cui tutti i paesi dovessero seguire il nostro modelli industriale sarebbero necessari 5-6 pianeti per farne delle miniere o delle discariche. Pertanto, è evidente che Ìe società sviluppate non possono fungere da modello: il gruppo di testa non ha indicato la strada maestra della storia, bensì quella sbagliata. Come si può parlare ancora di sviluppo, se nessuno sa dove porterà questa corsa? Dalle aree di sviluppo alle zone a rischio In un mondo governato da un regime di apartheid cambia anche la concezione che si ha dei popoli del Sud. Secondo Truman, anche se povere, le società del Terzo Mondo avevano delle potenzialità, erano paesi "giovani" ed "emergenti" il cui futuro sarebbe stato migliore del passato. Ma, in un mondo sottoposto ad un regime di apartheid globale, le speranze in un futuro migliore per i paesi arretrati sono vane; nella migliore delle ipotesi si tratta, dal punto di vista dei privilegiati, di tenere sotto controllo delle forze che potevano risultare esplosive. Non si guarda più ai paesi del Sud con speranza, ma con diffidenza: non sono più un luogo di progresso, ma di minaccia. La guerra del Golfo ha dimostrato in modo definitivo come le antiche aree coloniali, trasformatesi successivamente in paesi in via di sviluppo, siano diventate oggi zone a rischio. I giornali e la televisione ci tengono al corrente di ogni sorta di pericolo che proviene da quei luoghi: dilagala violenza, continuano le catastrofi naturali, gli ideologi diventano degli istigatori, aumenta la crescita demografica. Il timore dell'immigrazione, dell'effetto serra, del traffico di droga, del terrorismo e della guerra si fa sentire anche nella roccaforte del Nord. Più si agitano sensazioni di pericolo, più l'immagine dell'altro assume nuove tinte: nel corso dei secoli esso è apparso prima come il pagano, poi come il selvaggio, po! come l'indigeno e infine come il povero. In questo momento egh appare soprattutto come un fattore di rischio. Dalla distribuzione della ricchezza alla distribuzione dei rischi Da molto tempo a livello internazionale sono cambiati i temi all'ordine del giorno. Un tempo nell'am~ito delle cont:erenze multilaterali si discuteva se ed in che modo si dovessero ~sic~ al Sud più opportunità di crescita ~ell'e~onomia mondiale. B~b ricordare gli accordi sulle ~aten_e pnme e s~ nl!ovo ordine economico internazionale degh anru Se~ta. Og~ ~~nferem.e si preoccupano di tenere sotto c~n~ollo 1 ~r~otb di ~uto dc:~ crescita economica. Preoccupati, 1 goverru discutono I f~n di rischio per la biosfera come l'inquinamento del mare, Il buco 9

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