Linea d'ombra - anno X - n. 77 - dicembre 1992

DENTRO LA SCUOLA Dal diario di un • insegnante Pier Paolo Pasolini a cura di Giuseppe Pontremoli Se si potesse con qualche tranquillità pensare che quel che viene evocato non ha a che fare con la storia della formazione di zelanti pionieri staliniani ma piuttosto con quel che scriveva René Char, e cioè che "il poema è l'amore attuato del desiderio rimasto desiderio", direi che Pasolini ha composto e distribuito dentro tutto il suo lavoro un ampio e articolato "poema pedagogico": in modo perlopiù indiretto, inintenzionale o preterintenzionale, dentro romanzi e saggi, e nella poesia come nel cinema. Della dimensione pedagogica della propria opera Pasolini è stato sempre molto consapevole, e sostanzialmente non ha mai fatto molto per ridurne l'entità; anzi, si potrebbe forse dire che - anche a rischio di farne sentire l'eventuale forzatura - spesso l'ha come enfatizzata, caricata, a viva forza inserita. Ma di pedagogia Pasolini ha anche scritto in modo diretto, sia riflettendo sulla propria esperienza di insegnante sia dando semplicemente spazio alla necessità di dire di un proprio interesse precipuo. I testi di Pasolini che presentiamo qui sono praticamente sconosciuti, ma non inediti. Uscirono, infatti, su "Il mattino del popolo", quotidiano del PCI veneziano: Scuola senza feticci, firmato con I' abbastanza trasparente pseudonimo di Erasmo Colus, il 25 dicembre 1947; Dal diario di un insegnante il 29 febbraio 1948. Appartengono quindi a una stagione felice di Pasolini, la stagione in cui nascono alcune delle cose mirabili de La meglio gioventù, de L'usignolo della Chiesa cattolica, la stagione del bellissimo Amado mio; e la stagione dell'insegnamento, praticato con soluzioni logistiche e strumentali di fortuna, ma con una carica emotiva tale da rendere assolutamente secondario qualunque altro aspetto che non fosse il pieno manifestarsi di una autentica vocazione. La vocazione pedagogica in Pasolini si manifesta molto presto, traducendosi anche in vere e proprie attività di tipo didattico: e nel diario - contenuto in uno dei "Quaderni rossi" da cui Nico Naldini nel suo Pasolini, una vita (Einaudi 1989) riporta numerosi e illuminanti brani - in un passo che poi apparirà quasi letteralmente in uno degli articoli che riproponiamo qui, addirittura parla di un periodo dell'insegnamento come del tempo della "ricostituzione della purezza": "La ricostituzione della mia purezza avvenne improvvisa: a Versuta c'era una ventina di ragazzi che non potevano, a causa dei pericoli, frequentare la scuola di San Giovanni. Io e mia madre divenimmo i loro maestri; con che tremore, con che reale interesse mi accinsi a quell'impresa." Ecco, a me pare che questo possa considerarsi i I nodo centrale: a viatico dell' intrapresa è posta un'affermazione di semplicità assoluta ma, e forse proprio per questo, racchiudente in sé i succhi essenziali perché l'impresa educativa possa prefigurarsi connotata come apertura: e infatti in quelle stesse pagine di diario Pasolini affermerà poi di credere di non essersi "mai dato agli altri con tanta dedizione" e di avere offerto "il meglio di quelle energie che mi si erano serbate pure". Il fatto che Pasolini parli di "tremore" e di "reale interesse" è a mio parere la spia che indica quale e quanta disponibilità lo pervadesse, e quanta e quale fosse la sua assunzione di responsabilità: un progetto di sé e del proprio agire che esclude di fatto, e per principio, quanto di più nefasto e nefastamente ricorrente si possa invece prefigurare a proposito di un rapporto che abbia a che fare con la formazione e la trasmissione di cultura: l' asetticità e l'indifferenza. Al contrario, Pasolini evidenzia subito l'intreccio di un forte coinvolgimento emotivo e dell'appartenenza piena di quel che va intraprendendo alla propria intima essenza; ed evidenzia di avere assunto in tutta la sua portata il fatto di avere a che fare, come persona intera, con persone intere. Esplicita, insomma, quanto il suo intento sia davvero una specie di risposta a una vocazione, ma una risposta il cui senso profondo risiede in quello che implica per se stessi e non già per i destinatari del proprio preteso "messaggio"; una risposta che, fra l'altro, mi sembra abbia molto a che vedere con quello che poi Elsa Morante dirà nel Mondo salvato dai ragazzini: "che nel difficile comando: Amalo come te stesso I il come deva leggersi uguale a perché. PERCHÈ/ l'altro- gli altri( ...) I SONO tutti te stesso: non tuoi simili né pari né compagni né fratelli / ma proprio lo stesso unico / TE / STESSO." In quegli stessi anni, sullo stesso "Il mattino del popolo", compaiono altri articoli di Pasolini, e almeno due di esplicito interesse pedagogico: Poesia nella scuola, del 4 luglio LATERRA 29 < I due articolidi Pasolini sulla scuola che pubblichiamo fanno parte di una serie di interventi degli stessi anni di imminente pubblicazione presso Ugo Guanda editore. Ringraziamo l'editore e Graziella Chiarcossi per averci permesso di utilizzarliin questa sede. 1948, e Scolari e libri di testo, del 26 novembre 1947.Anche questi sono articoli molto belli, e di grande importanza; in particolare, i I secondo è un testo di estrema lucidità e ancora oggi particolarmente calzante. In esso Pasolini parla di quelli che chiama tre grandi equivoci caratterizzanti la scuola, "imputabili a null'altro che alla mediocrità umana" e "che non devono ad altro che alla loro vetustà quell'aria di inviolabilità per cui il contrapporvisi è scandalo". Un primo equi voco è quello consistente nell'"equazione, co~ì spesso usata nelle scritture cristiane, puro come un fanciullo", equazione che, continua Pasolini, "va benissimo se interpretata puro come il fanciullo che resta nell'uomo, ma nori vale niente se applicata a coloro che la data di nascita definisce fanciulli in cronologica". Il secondo equivoco è quello per cui con l' infanzia bisognerebbe "comportarsi come chi si muove dall'alto verso il basso", regredendo nella sua presunta facilità e ragionevolezza, quando invece "i fanciulli detestano le cose ragionevoli: ed è per questo che la scuola, in generale, è detestata". Il terzo equivoco è "la preoccupazione moraleggiante, la costante didascalica". A me pare che oggi, a quasi cinquant'anni di distanza, questi nodi siano ancora e più che mai decisivi, nonché irrisolti, con l'aggravante di una colpevole persistenza. Oggi, qui, dal vociare, tanto monotono quanto frastornante, che sale e che scende pervadendo ogni dove, non si stagliano voci. S'intrecciano stridori, urla scomposte e rombi rutilanti che, a chi voglia vedere, riescono tutt'al più a far sapere di esistere soltanto per cercare di coprire la propria inconsistenza, il proprio vuoto. Ma questo vuoto, il cui svelarsi è solo salutare, evidenzia ancor più un altro vuoto, e questo doloroso: l'assenza di voci._ Pasolini è stato una voce: spesso ingombrante, fastidiosa, indisponente; sempre discutibile; ma in ogni caso, ed è quello che conta, una voce autentica e viva. Oggi, qui, la mancanza di questa voce di "scandalo" sottolinea e amplifica lo. scandalo dell'inconsulto vociare. Oggi, qui, in questo paese tanto putridamente cattolico e laidamente laico quanto privo di religiosità e di laicità, ci mancano voci quelle di don Lorenzo Milani e · loro vivo pedagogislQO j = ~ .. e: E

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==