28 VISTA DALLA LUNA ~ ~ j Brasile, Rio De Janeiro Rito Candomblè (1992). gli da una miserrima laurea italiana. Siamo di fronte appunto a quel signore che dovrebbe instaurare un "dialogo educativo" con i discenti, che dovrebbe interessarli e coinvolgerli, attivandone oltre tutto l'autonomia di lavoro: ma che - nella stragrande maggioranza dei casi - non è per nulla preparato a tali nobilissimi compiti. E quando dico "non preparato" non esagero per nulla, poiché si contano sulla punta delle dita quegli aspiranti docenti che abbiano un minimo di impostazione pedagogica o didattica (e di solito sono alcuni, non certo poi molti, dei laureati nelle materie umanistiche). Gli altri, cioè la quasi totalità dei neo-insegnanti, si fanno le ossa studiando - appunto - sui libri scolastici: i quali dunque per loro sono davvero insostitutibili, e non solo agli esordi della carriera, ma anche in seguito, in occasione ad esempio dei concorsi. Solo dopo alcuni anni, quando il giovane docente avrà vinto i concorsi e sarà "entrato in ruolo", lo stato finalmente gli verrà incontro e si deciderà a insegnargli a insegnare mediante i cosiddetti "corsi di formazione" (non esagero, le regole sono esattamente queste: prima si viene immessi in ruolo, e poi si frequenta un corso per imparare come si deve fare in modo corretto il proprio mestiere). In definitiva, pertanto, il libro scolastico svolge a parte magistri un ruolo assolutamente centrale e decisivo, poiché forma culturalmente e didatticamente decine di migliaia di persone cui nessuno ha mai insegnato nulla e sulle cui spalle invece pesa la responsabilità di iniziare alla cultura alcuni milioni di giovani. Inutile dire, a questo punto, che la situazione appare a dir poco paradossale: di fatto superfluo DENTRO LA SCUOLA per i suoi utenti ufficiali, il libro scolastico serve a colmare le lacune di un'istituzione irresponsabile e cialtrona. E anzi, a voler guardare le cose ancor più da vicino, in molte materie (io ho ben presente il settore delle umanistiche) l'editoria scolastica fornisce una quantità notevolissima di strumenti per l'insegnante che hanno direttamente contribuito a elevare il livello medio della didattica. E si capisce: i cospicui profitti di cui gli editori possono godere, entro un mercato in fondo poco rischioso, permettono investimenti all'apparenza non remunerativi, ma utilissimi per promuovere un'immagine aperta e democratica dell'azienda editoriale. Oggi sono molti i libretti - che il docente oltre tutto quasi mai paga- i quali hanno lo scopo, esplicito o implicito, di fornire alcune indicazioni di metodo su come insegnare una certa materia scolastica. Se le cose stanno davvero così, si può in effetti capire perché ministero e editori si mostrino solidali nell'osteggiare le rivendicazioni degli insegnanti. Né quello né questi, difatti, sembrano essere oggettivamente interessati a una classe docente davvero preparata e didatticamente autonoma. Il vero pericolo nella loro prospettiva è proprio quella 'professionalità' di cui si riempiono quotidianamente la bocca; il loro peggior nemico è un docente che possa davvero far pesare sul piatto della bilancia la buona coscienza del proprio ruolo e delle proprie capacità, e che - sicuro di saper operare nel modo giusto - possa ogni tanto (non dico sempre) fare a meno di certe orrende stampelle didattiche malamente travestite da libri.
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