DENTRO LA SCUOLA - Valenti marinaru chi curri la marina, scuntrasti 'na varcuzza galanti, galantina? - A nuddu haiju scuntratu, sulu chi celu e mari; cu ventu e cu timpesti, bedda, chi vòi spirari? - La bedda fa un lamentu e guarda celu e mari, penza 'ntra lu so 'ntemu, manna làrimi amari. - Valenti marinaru chi curri la marina, scuntrasti un Cavaleri 'ntra 'na varcuzza fina? - A nuddu haju scuntratu, sulu 'na dragunara, varchi e galeri agghiutti, anchi a li marinara - La bedda fa un lamentu l'occhi punta a lu mari, pari 'na vera statua 'na statua di sali. - Valenti marinaru chi curri la marina vidisti 'na varcuzza sfasciata 'ntra la rina? - Un Cavaleri hè vistu biunnu e dilicatu, supra 'n' amaru scògghiu lupetto sfracillatu. - La bedda fa un lamentu, abbucca 'ntra lu mari, e l'unna fici un mùrmuru si vosi lamintari. L'unna s'ha lamintatu ca pena nni sintiu; sutta 'ntra li pirfunni la bedda scumpariu. Sett'anni supra un scògghiu, fidili ddà cci ha statu; finuta la sò spriìnza, la vita cci ha lassatu. Guardare la sventura propria e altrui tira verso il basso: occorre ricercare di continuo l'equilibrio tra luce e gravità- ma c'è il rischio di diventare sovraumani. Le ferite della natura siamo noi. Che cosa vuol dire compiere gesti di libertà dinanzi alla sventura? Lo spettacolo della sventura per colui che sa che essa non è un male, è doloroso e la sofferenza lo spinge a porvi rimedio. "È tutto" - così scrive Simone Weil. Ed è un mistero. L'accettazione del mistero ci grava di un numero infinito di anni e questo ci sospinge verso l'alto. Sul lungomare nell'ora del tramonto il sole di fuoco si lascia inghiottire dai riccioli turchini, anelli d'acqua. Cocchiara, studioso del folklore siciliano, riporta la nota leggenda di Cola Pesce. LATERRA A Messina abitava un uomo che conosceva tutti i segreti del mare, con il quale viveva in grande contatto. Avvenne un giorno che Federico II si sia recato proprio in quella città con sua figlia. Davanti alla folla che l'applaudiva egli volle gettare una coppa nel mare promettendo un premio a chi gliel' andasse a ripescare. Cola Pesce si slancia allora in mare; scompare. Il popolo guarda. Le onde incalzano. Ecco finalmente sbucare il giovane che tra gli applausi riconsegna la coppa al re. Ma il re non è ancora contento; getta in mare un piccolo anello e questa volta promette in sposa come premio la propria figlia. Cola si slancia di nuovo, scompare tra le onde. Questa volta non verrà restituito al suo popolo che impreca e imprecherà sempre contro l'imperatore Federico. La prima volta il popolo applaude, la seconda impreca. È il popolo siciliano. Cola Pesce, grazie alla "morbosa curiosità e crudeltà" di Federico torna tra i pesci. Ciò che più colpisce è l'analogia tra l'anello e le onde. Le onde non possono restituire I' arielio ... È possibile esplorare il reale attraverso la lettura analogica? Hannah Arendt scrive ne La vita della mente (Bologna, Il Mulino, 1987): "Dare un nome alle cose, la pura e semplice creazione di parole, è il modo dell'uomo di far proprio e, per dir così, disalienare un mondo al quale, dopo tutto, ognuno di noi è nato come nuovo venuto e come straniero" (p. 185). Nell'Isola torna imperi oso il rapporto tra parole e cose, perché ancora più imperiosa urge la necessità del pensare per analogie, la weiliana lettura del mondo come testo dai molteplici significati. Il Sud offre occasioni straordinarie, trasforma l'ordinario in circostanza d'eccezione, che proprio per questo è leggibile come metafora. Non piove mai ma quando piove diluvia: acqua dal cielo si riversa torrenziale sulle strade di Mazara trasformandole in laghi di fango. Si è costretti a coniugare un battuta d'arresto, una tregua e il diluvio: il nesso invisibile di colpo si fa concreto, sensibile. I mandorli sono in fiore. È febbraio. La luce inonda di sé ogni cosa. Un povero grillo giace ferito sul davanzale della finestra. Da tempo non si ode più la voce del vento, il respiro della natura. Le zolle sono state rivoltate. Un albero sradicato muore-le radici devono stare nel sottosuolo. In prima gli studenti e le studentesse lavorano sulle figure di emarginati e "diversi" presenti nella letteratura dell'Ottocento e degli inizi del Novecento. Il lavoro si_conclud~ con la lettura di estratti da La persona e il sacro di Simone Weil: "C'è in ogni uomo qualcosa di sacro. Ma,non èla_sua persona. Non è neppure la persona umana. E semplicemente lui, quest'uomo. Ecco un passante per la strada che ha delle lun~~ braccia, occhi celesti, una mente dove si agitano pens1en che io ignoro ma che forse sono mediocri. . . Non è né la sua persona né la persona umana_mlw che mi è sacro. È lui. Lui tutto intero. Le braccia, gli occhi, i pensieri, tutto. Non violerei niente · questo senza infiniti scrupoli. 23 < I = 5: .. e: z ,.
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