Linea d'ombra - anno X - n. 77 - dicembre 1992

DICEMBRE1992 · NUMERO77 LIRE10.000

Rigoberta MenchU Premio Nobel per la pace 1992 Un grande personaggio parla in un grande libro: l'unico pubblicato in Italia. In tutte le librerie: Mi chiarno Rigoberta Mench,i

• MARIETTI Hans Blumenberg La legittimità dell'età moderna Un'analisi dei percorsi che hanno portato, dal medioevo ad oggi, all'affermarsi del concetto di modernità come categoria esistenziale. Una panoramica approfondita e affascinante del tentativo da parte dell'uomo di trovare, attraverso una ragione "secolarizzata", un senso al proprio essere al di fuori di ogni motivazione trascendente. Emmanuel Levinas Fuori dal Soggetto Da Buber a Leiris, da Jankélévitch a Rosenzweig, una rilettura dei maestri che hanno influenzato il pensiero del filosofo francese di origine lituana. Una ricognizione partecipata e affascinante. Jules Monchanin Mistica dell'India, mistero cristiano La preziosa testimonianza di un sacerdote e di un apostolo che si fece indiano per amore dell'India e, alla luce della propria fede, cercò di ripensare l'India come cristiano e il cristianesimo come indiano. Vitaliimo Mattioli Rilettura di una conquista Un indispensabile inquadramento culturale dei problemi legati alla storia della presenza spagnola in America Latina, frutto di un lavoro decennale di ricerca e di verifica nei luoghi stessi del continente latino-americano. Josef Leo Seifert Le sette idee slave Finalmente in traduzione italiana un classico delle ricerche sull'origine e il significato della cultura slava. Un affresco suggestivo, per molti versi ancora insuperato, per cogliere il senso più profondo delle rivoluzioni succedutesi in Europa. Pia Pera I Vecchi Credenti e l'Anticristo L'analisi dello scisma dei Vecchi Credenti Asacerdotali, avvenuto in Russia nel XVII secolo, permette di comprendere nelle sue più profonde implicazioni un capitolo decisivo nella travagliata storia dei fondamentalismi religiosi. A. Heller - F. Feher La condizione politica postmoderna Indagini e interventi sul concetto di postmodernità, inteso come spazio-tempo delineato da coloro che abbiano problemi o quesiti da porre alla modernità. Dall'etica del cittadino alle forme di moralità della politica, dalla giustizia sociale al ruolo dei movimenti culturali, un itinerario attraverso le emergenze del dibattito contemporaneo. Fausto Coen Quel che vide il Màt Cùssi Nella ignara e pittoresca comunità ebraica di una piccola città dell'Italia degli Anni Trenta, la vicenda di un misterioso personaggio, a metà tra il pazzo e il saggio, mentre all'orizzonte si profilano grigie ombre, preludio della tragedia di un popolo. Un romanzo struggente e attualissimo. Salvatore Cambosu Due stagioni in Sardegna A trent'anni dalla morte di Salvatore Cambosu, la pubblicazione di questo affresco della società agro-pastorale sarda degli anni '50-'60 riapre il discorso critico su uno degli autori più amati dell'isola e più conosciuti a livello nazionale. Eraldo Affinati Veglia d'armi Un'ispezione, inconsueta nei modi e nelle forme, in "Guerra e pace" di Tolstòj per individuare il cammino etico da ripercorrere e sperimentare nella "veglia d'armi" dell'esistenza. Nelle pagine di un capolavoro della letteratura di ogni tempo le domande, e i tentativi di risposta, agli eterni quesiti sul senso e i modi dell'esistenza. Maurizio Cecchetti La città dell'angelo Conversazioni con alcuni dei protagonisti di diverse discipline, per portare l'architettura e la città ad esprimere una nuova centralità dell'uomo senza cedere al culto della tecnologia o al teatro di cartapesta. Abdallah Laroui Islam e modernità Dall'analisi comparativa tra Islam ed Europa, una riflessione sulle istanze stesse della modernità e sui concetti di libertà, stato, democrazia. Un confronto serrato con il pensiero politico di Machiavelli illumina il fondamentale ruolo dell'Islam arabo nel dialogo fra oriente e occidente. André Miquel L'Oriente di una vita Le esperienze di vita e di studio di uno tra i più importanti arabisti viventi gettano un ponte tra mondo arabo e l'Europa e assumono le caratteristiche di una guida spirituale e intellettuale di intensa suggestione. Costruire la società multirazziale Indagini e interventi sull'integrazione socio-culturale dei popoli e delle culture nel bacino del Mediterraneo. Da Giuseppe De Rita a Igor Man, da Maurice Borrmans a Rachid Boudjedra, un gruppo di voci qualificate si interroga sulla possibilità di costruire una società multiculturale. •

Gruppo redazionale: Alfonso Berardinelli, LINIA DI OMBRA Gianfranco Bettin, Grazia Cherchi, Marcello Flores, Goffredo Fofi (direttore), Piergiorgio Giacchè, Gad Lemer, Luigi Manconi, Santina Mobiglia, Lia Sacerdote (direzione editoriale), Marino Sinibaldi. anno X dicembrel992 numero 77 Collaboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Guido Armellini, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Matteo Bellinelli, Stefano Benni, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Paolo Bertinetti, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Giacomo Borella, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Isabella Camera d'Afflitto, Gianni Canova, Marisa Caramella, Caterina Carpinato, Bruno Cartesio, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Delconte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Piera Detassis, Vittorio Dini, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Edoardo Esposito, Saverio Esposito, Bruno Falcetto, Giorgio Ferrari, Maria Ferretti, Ernesto Franco, Guido Franzinetti, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Nicola Gallerano, Fabio Gambaro, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Gabriella Giannachi, Giovanni Giovannetti, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Roberto Koch, Filippo La Porta, Stefano Levi della Torre, Mimmo Lombezzi, Marcello Lorrai, Maria Maderna, Maria Teresa Mandalari, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Roberto Menin, Paolo Mereghetti, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Grazia Neri, Luisa Orelli, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Silvio Perrella, Cesare Pianciola, Guido Pigni, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Pietro Polito, Giuliano Pontara, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Michele Ranchetti, Marco Revelli, Marco Restelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Nanni Salio, Paolo Scamecchia, Domenico Scarpa, Maria Schiavo, Franco Serra, Joaqufn Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Federico Varese, Bruno Ventavoli, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi. Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche redazionali: Natalia Delconte Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Patrizia Brogi Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Luigi Brioschi, Marco Capietti, Graziella Chiarcossi, Barbara Galla, Luisa Schippa e il Centro Studi Aldo Capitini, Laura Gonçalez, Sergio Kraisky, Alessandra Serra, Barbara Veduci, l'Associazione per la pace di Roma, le case editrici Edizioni Associate, Garzanti e Longanesi, le agenzie fotografiche Contrasto, Effigie e Grazia Neri. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 20124 Milano Te!.02/6691132. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Te!. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie POE- Viale Manfredo Fanti 91, 50137 Firenze -Te!. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Rossini 30 Trezzano SIN - Te!. 02/48403085 LINEA D'OMBRA Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87al n. 393. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo 111/70% Numero 77 - Lire 10.000 I manoscritti non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo in grado di rintracciare gli aventi diritto, ci dichiariamo pronti a ottemperare agli obblighi relativi. ILCONftSTO 4 8 12 13 18 21 Giuliano Pontara Wolfgang Sachs Grigorij Ostior Piergiorgio Giacchè Francesco Ciafaloni CONFRONTI Domenico Scarpa Verso il futuro, quale futuro Le trasformazioni dei rapporti Nord-Sud Risolvete questi problemi. Esercizi russi Ebrei e naziskin. Una storia di oggi seguito da Gli aratori del vulcano di Giacomo Debenedetti Intellettuali militanti, ieri e oggi La consapevolezza di Gustaw Herling e Luca Clerici sugli ultimi libri di Benni, Franchini e Neri (a pag.22), Bruno Cartosio su Il testo e la voce di S. Portelli (a pag. 25), Marisa Caramella su T. C. Boyle (a pag. 26), Toni Maraini su Shams Nadir (a pag.28). 47 37 56 59 60 63 70 POISIA Thomas S. Eliot Sean O' Casey Ngugi Wa Thiong 'O Juan ]osé Arreola AmadoNervo Don De Lilla Amitav Ghosh SAGGI 30 Sean O'Casey 73 Alejo Carpentier SCIENZA 41 J. B. S. Haldane La terra guasta nuova traduzione a cura di Mario Melchionda La stella del jazz Il ritorno a cura di Silvia Soffiantini In verità, in verità vi dico a cura di Dario Puccini L'angelo caduto a cura di Augusto Guarino I benefici dell'invisibilità a cura di Maria Nadotti La letteratura e la violenza a cura di Marco Restelli La verde dea seguito da un carteggio con W. B. Yeats e G. B. Shaw su La tazza d'argento a cura di Giovanni Pillonca Sette interventi sul teatro musicale del '900 Il cancro è una cosa buffa seguito da Considerazioni sulla non-violenza a cura di Enrico Alleva e Luisa Saraval LATERRAVISTADALLALUNA1 O Scuola e immigrati: S. Onofri, Cosa·insegnare agli extracomunitari (a p. 2); S. Kraisky, La scuola nella società multiculturale (a p.5). Carcere e immigrati: G. De Cataldo, Lo straniero detenuto. Un segmento nella crisi della rieducazione (a p. 10). Luoghi di partenza: D. Ala, Un abitante del centro ospitato in periferia (a p. 16). Droga: operatori di strada: N. Ceserani, Un modello di intervento (a p. 18). . . . Dentro la scuola: M. C. Sala, Ritornare in Sicilia (a p. 20); G. Canova, Insegnanti e geruton(a P· 25); P. Giovannetti, Paradossi del libro di testo (a p. 26). . . Educatori e diseducatori: P. P. Pasolini, Dal diario di un insegnante, a cura d1G. Pontremoli(a p. 29). La copertina di questo numero è di Guido Pigni. Linea d'ombra è stampata su carta riciclata Freelife Vellum white - Fedrigoni

ILCONTESTO Verso il futuro, quale futuro Giuliano Pontara Tra i problemi che si presentano oggi come particolarmente seri e impellenti vi è certamente quello della nostra responsabilità verso le generazioni future. Si tratta di un problema che attualizza sia difficili questioni di etica teorica, sia complessi problemi di ordine giuridico, sia problemi di natura empirica. In questo breve intervento mi propongo di fare tre cose: a) ricordare innanzitutto ciò che oggi attualizza in modo particolare questo problema; b) accennare ad alcune possibili risposte ad esso a livello di etica teorica; c) indicare a grandi linee il contenuto di una concezione operativa della responsabilità verso le generazioni future. A - Le possibilità che oggi abbiamo di influire sulle generazioni future, anche su quelle che esisteranno in un futuro abbastanza remoto, sono molto maggiori di quelle che ogni altra generazione precedente abbia mai avuto. E forse anche di quelle che avranno le generazioni susseguenti. Secondo certe stime - fatte già agli inizi degli anni Settanta - se si continuano ad usare le risorse del pianeta all'attuale tasso di consumo, le generazioni che vivranno sulla terra tra 200 anni si troveranno a dover affrontare grandi carestie senza avere sufficienti tecnologie per affrontarle. Anche la attuale politica energetica, in special modo quella dei Paesi occidentali superindustrializzati, rappresenta una grave minaccia per le generazioni future: ciò in quanto essa è caratterizzata per la grandissima parte dall'utilizzo di fonti energetiche quali i combustibili fossili e i combustibili nucleari che sono non rinnovabili e fortemente inquinanti. Le risorse (in quanto distinte dai giacimenti) fossili globali vengono oggi stimate attorno ai 2.00 Gtep (ossia all'equivalente di 2.200 miliardi di tonnellate di petrolio). Il consumo globale è stimato attorno ai 7 Gtep all'anno. Anche se questo consumo non cresce, ma rimane costante, ciò significa che nel giro dei prossimi 300 anni saranno esaurite tutte le risorse fossili del pianeta. Se invece si parte dal presupposto che il consumo globale annuo di queste risorse energetiche aumenti del 2% allora le risorse fossili a disposizione dell'umanità verrebbero ad essere esaurite entro circa cent'anni. Forze e istituzioni fautrici della cosiddetta via energetica dura, come ad esempio l'IIASA (lnternational Institute for Applied System Analysis) sono favorevoli ad una forte espansione dei consumi globali di energia. Per quanto riguarda le fonti nucleari è stato stimato (dall'IIASA) che le risorse di uranio a disposizione dell'uomo sono dell'ordine di. 30 milioni di tonnellate. Visto che il maggior produttore di energia è l'isotopo U235, che però ha una bassa percentuale di rendimento, è stato calcolato che le risorse di uranio a disposizione per la produzione dell'energia nucleare sono inferiori alle risorse globali di carbone. 1 Il rischio di veloce depauperamento ed esaurimento delle risorse fossili e nucleari può qui11diavere conseguenze negative di gran portata per vasti strati di popolazione che vivranno sul nostro pianeta tra due-trecento anni. Ciò vale anche per l'utilizzo delle risorse minerali non rinnovabili. Già vent'anni or sono alcuni studiosi avevano messo in guardia che se le risorse minerali non rinnovabili vengono usate al presente tasso di consumo, certi importanti minerali saranno completamente esauriti nel giro dei prossimi cent'anni. 2 4 In secondo luogo, tanto i combustibili fossili quanto quelli nucleari sono, come noto, fortemente inquinanti: il loro utilizzo ha già portato a danni assai gravi e costituisce una ulteriore minaccia per le generazioni future. La combustione di petrolio e di carbone immette, come noto, nell'atmosfera ossidi di sodio e di azoto. Stati Uniti, Canada ed Europa producono annualmente in media oltre cento milioni di tonnellate di biossido di zolfo (SO2 ): l'Italia ne produce da sola circa due milioni di tonnellate all'anno. In queste cifre è anche inclusa la notevole copia di biossido di zolfo prodotta dall'automobilismo. Gli ossidi di sodio e azoto immessi nell'aria si trasformano in acido solforico e nitrico e causano il fenomeno noto come acidità delle piogge (che negli ultimi decenni è aumentata di un fattore 10): le piogge acide a loro volta causano la morte ecologica di laghi, fiumi, boschi, terreni; la corrosione e alla fine la sbriciolazione di grandi tesori dell'arte architettonica e della scultura. La produzione di energia attraverso la combustione di fossili produce anche anidride carbonica (CO2 ) la quale ha una vita media assai lunga: rimane nell'atmosfera per un centinaio di anni. Inoltre, la distruzione di boschi e foreste ha tra le sue conseguenze un minor assorbimento di questo gas. Queste sono due cause principali del cosiddetto effetto serra. Altre cause concomitanti sono la produzione di metano (CH4 ) e di ossido di azoto (Np), dovute, tra l'altro, all'allevamento intensivo del bestiame e alla concimazione artificiale. L'effetto serra può avere conseguenze estremamente gravi per vaste masse di popolazione tra le generazioni future, in quanto esso tende a portare ad un aumento della temperatura nel mondo e, di conseguenza, da una parte, alla desertificazione sempre maggiore di aree oggi coperte da vegetazione e, dall'altra parte, in seguito al parziale scioglimento dei ghiacciai, all'aumento del livello dei mari e al conseguente allagamento di vaste zone oggi densamente abitate. È stato pure calcolato che negli ultimi cent'anni la temperatura media è aumentata di 0,6 gradi centigradi: e pare che l'aumento tenda ad essere sempre più veloce. È stato pure calcolato che se l'attuale tendenza all'aumento di anidride carbonica nell'atmosfera continua, nel 2030 la presenza di questo gas nell'atmosfera sarà raddoppiata con un conseguente aumento della temperatura dai 1,5 ai 4 gradi centigradi ed un aumento del livello dei mari dai 20 ai 140 centimetri. 3 Anche il problema costituito dai cosiddetti buchi di ozono è un altro di quelli che possono colpire in modo molto drammatico le generazioni future. Come è noto, la terra è circondata (tra i 10 e 40 km di altezza) da una fascia di ozono (03 ), l'ozonosfera, che protegge la vita degli uomini, degli animali e delle piante da dosi troppo alte di raggi ultravioletti. In seguito alla liberazione nell'atmosfera di cloro proveniente da vari tipi di processi e d1 prodotti industriali, l'ozono viene attaccato e trasformato in ossigeno, con la conseguenza che lo spessore della fascia di ozono si assottiglia e lascia quindi pas_i;aremaggiori dosi di raggi ultravioletti che aumentai;ioil rischio di tumori alla pelle e di altre serie malattie per l'uomo e anche per gli animali e le piante. Le scorie radioattive costituiscono una ulteriore grave minaccia per le generazioni future. Il problema di trovare un modo sicuro, anche nel lungo periodo, di depositare le scorie radioattive non è stato risolto; i depositi provvisori insitu, il trasporto di scorie da un Paese all'altro non fanno che aumentare.

Queste soluzioni provvisorie si dimostrano sempre più costose ed i costi maggiori possono proprio essere quelli che vengono addossati alle generazioni future. Le scorie radioattive contengono, come noto, elementi costituiti da vari isotopi che hanno tempi di dimezzamento molto lunghi, di migliaia e di centinaia di migliaia di anni. Le scorie più pericolose sono quelle che irradiano più di 300-400 Becquerel/grammo, e sono queste che debbono essere depositate in luoghi sicuri per milioni di anni. Presso la National Academy of Sciences degli Stati Uniti è stato calcolato che soltanto in questo paese entro la fine del secolo saranno accumulate scorie radioattive per un totale di 70 mila tonnellate. I maggiori pericoli per le generazioni future provenienti dalle scorie radioattive sono quelli connessi con i rischi di contaminazione delle falde idriche, del suolo, degli oceani, delle zone polari e addirittura dello spazio-a seconda che le scorie più pericolose vengano depositate in luoghi molto profondi sotto la crosta terrestre, o in zone giudicate geologicamente sicure sotto il fondo degli oceani o immesse nello spazio in grandi contenitori. Un ulteriore fattore che può causare gravi difficoltà alle generazioni future (e che già ne sta creando in misura sempre maggiore anche alle presenti) è il processo di crescente contaminazione (attraverso varie sostanze tossiche, sale, rifiuti pericolosi) e quello di crescente depauperamento (dovuto ad un consumo maggiore dell'imput) delle risorse di acqua dolce. Secondo dati presentati in occasione della recente conferenza di Rio, quasi 3 milioni di bambini muoiono ogni anno a causa della mancanza o della contaminazione di acqua, e quasi due miliardi di persone vivono a rischio. Particolarmente dannoso per le generazioni future può essere il processo di contaminazione di acqua salata provocata dall'innalzamento del livello dei mari dovuto all' effetBombay in una foto di Roberto Koch/Contrasto. ILCONTESTO to serra, o, come già indicato, in seguito alla contaminazione di scorie radioattive depositate in profondità sotto il suolo una volta avvenuto, questo processo è difficilmente riversibile o lo è solo ad altissimi costi. L'attuale tendenza all'aumento della popolazione mondiale può essere un'altra causa di conseguenze funeste per molte generazioni a venire. Secondo varie stime ci sono voluti 2 mila anni per raggiungere una popolazione mondiale di un quarto di miliardo e ulteriori 16 secoli per arrivare ad un raddoppiamento. Poi, in soli due secoli, la popolazione mondiale è cresciuta da mezzo miliardo a un miliardo. Quindi, nel giro di meno di un secolo è salita agli attuali cinque miliardi e 480 milioni4 In un recente rapporto dell'ONU viene calcolato che nei prossimi dieci anni la popolazione mondiale aumenterà in media di quasi 100 milioni all'anno (la previsione è fatta in base alla premessa che si verifichino vasti interventi di pianificazione della famiglia e miglioramenti economico-sociali tra le popolazioni più povere del pianeta). Ciò significa che tra trent'anni la popolazione mondiale sarà circa 8,5 miliardi e che, se il tasso di aumento rimane invariato, nel 2150 essa si aggirerà sugli 11,6 miliardi. Africa e Asia sono i due continenti dove è previsto l'aumento maggiore (circa il 50%). Se queste previsioni si rivelano corrette le prospettive di benessere dei futuri abitanti della terra non sembrano oggi certamente molto buone. Da ultimo, i recenti sviluppi della biochimica e dell'ingegneria genetica aprono la prospettiva di poter programmare l'esistenza di esseri umani forniti di certe qualità piuttosto che di altre, con la conseguente possibilità, quindi, di influire sulla compo izione stessa delle generazioni future. B - Le varie possibilità di incidere sulle generazioni future cui ho accennato - e ve ne sono altre che non ho il tempo di

IL CONTESTO menzionare - pongono il problema della nostra responsabilità morale nei confronti di esse. Va sottolineato che il problema non è soltanto quello della nostra responsabilità nei confronti delle generazioni immediatamente susseguenti, diciamo le prossime due, quella dei nostri figli e quella dei nostri nipoti. Si potrebbe infatti pensare che basta poter riuscire a fondare una precisa responsabilità nei confronti delle prossime due generazioni per poter poi argomentare che, se ogni generazione prende siffatta responsabilità sul serio, ciò garantisce, nel lungo periodo, anche il bene delle generazioni future più remote. Un problema che però sorge è qui quello rappresentato dagli effetti che potremmo chiamare "a scoppio ritardato": si tratta di effetti che si verificano, o si verificano in modo vistoso, soltanto un centinaio o qualche centinaio di anni dopo che una certa scelta è stata fatta, e imputabili, naturalmente, a quella scelta. Per esempio, effetti dovuti a grosse fuoriuscite di radioattività da luoghi di deposito di scorie radioattive ritenuti sicuri ma che il)vece, dopo cento o duecento anni, si rivelano non essere tali. Se la responsabilità che ogni generazione ha verso le generazioni future è limitata alle due generazioni immediatamente susseguenti, nessuna generazione si sentirà responsabile degli effetti a scoppio ritardato; ogni generazione sarà così portata a trascurare siffatti effetti delle proprie scelte, a grande scapito di generazioni che esisteranno dopo le due immediatamente susseguenti. Si attualizza così un problema più speciale che riguarda la responsabilità nei confronti di generazioni esistenti in un futuro remoto. Il problema può essere formulato nel modo seguente: vi sono obblighi o doveri morali che gli individui appartenenti ad una generazione - nella fattispecie la nostra - hanno nei confronti di generazioni future non immediatamente susseguenti? e, in caso di risposta affermativa, quali obblighi o doveri? Se a questa domanda viene risposto in modo affermativo, allora si attualizza una seconda questione: è giustificato imporre l'osservanza degli obblighi che vi sono nei confronti delle generazioni future attraverso precise misure legislative, ove vi sia ragione di ritenere che in assenza di esse gli attori, specie quelli collettivi (collettività di individui, multinazionali, stati) non sono portati a rispettarli? E, terza domanda, quali sono le misure legislative, sia a livello intrastatale sia a livello internazionale, necessarie a tal fine e sono esse politicamente possibili? Va sottolineato che quest'ultima domanda è una domanda di natura empirica, mentre le prime due sono domande di natura squisitamente normativa, e la discussione sistematica di esse ci porta direttamente nell'ambito dell'etica teorica, branca della filosofia morale o pratica. Rispetto al problema concernente la responsabilità verso le generazioni future - specie quelle esistenti in un futuro remoto - si possono distinguere almeno tre posizioni. La prima è quella della non responsabilità: nei confronti delle generazioni esistenti in un futuro remoto non abbiamo alcuna responsabilità morale. Un argomento che si può addurre a sostegno di questa tesi è che nulla sappiamo né circa i modi e le probabilità con cui, attraverso le nostre azioni, possiamo influire su di essi. Contro quest'argomento si può però ritorcere, in primo luogo, che nei tremila anni di storia umana di cui abbiamo conoscenza i bisogni fondamentali dell'uomo non sono cambiati e che, quindi, è plausibile ritenere che essi tali rimarranno anche nei prossimi trecento o tremila anni. In secondo luogo, si può ritorcere che, almeno rispetto a certe scelte, possiamo anche conoscere le probabilità con cui esse possono incidere su generazioni esistenti anche in un futuro remoto. Il noto rapporto Rassmussen, ad esempio, stima la probabilità che in un reattore si verifichi un incidente di fusione del nocciolo come pari a quella di un siffatto ogni 20 mila anni. Inoltre, la 6 teoria della decisione propone vari principi di scelta anche per situazioni in cui le probabilità degli effetti delle varie alternative non sono note. La seconda posizione concernente la responsabilità verso le generazioni future è quella della responsabilità decrescente: verso le generazioni future abbiamo una responsabilità sempre minore quanto più lontana nel futuro è la loro esistenza. Questa posizione è sostenuta in base all'argomento per cui gli interessi dei posteri possono essere scontati in funzione della loro distanza temporale dagli individui facenti scelte che incidono su quegli interessi. Una siffatta posizione può essere vista come una generalizzazione del principio di sconto di costi e benefici futuri largamente accettato tra gli economisti. Ma, mentre parrebbe plausibile applicare il principio di sconto relativamente a costi e benefici economici futuri di uno stesso individuo, è invece del tutto implausibile applicare un tale principio per quanto riguarda benessere e sofferenze di individui diversi appartenenti a generazioni diverse. Ciò significa infatti assegnare al fattore tempo una rilevanza morale che esso, in quanto tale, plausibilmente non ha. La morte o le sofferenze di un individuo tra cento e trecento anni hanno oggi lo stesso valore negativo che hanno la morte o le sofferenze di un individuo oggi. E la morte e le sofferenze di molti individui tra cinquecento anni hanno un valore negativo molto maggiore che non quello di minori sofferenze per un numero minore di persone oggi. La posizione in esame ha invece l'implicazione contraria per cui la morte e grandi sofferenze causate da qualche nostra scelta a molti individui che vivranno, ad esempio, tra cinquecento anni, conta, ad un determinato tasso di sconto, tanto quanto i sacrifici relativamente molto minori, di cui dovremmo sobbarcarci facendo una scelta diversa e che eviterebbe quella catastrofe tra i posteri. Una tale implicazione è, a dir poco paradossale._ La terza posizione che si può assumere rispetto al problema della responsabilità verso le generazioni future è quella che possiamo chiamare della responsabilità piena: in via di principio siamo responsabili verso le generazioni future, anche quelle che esisteranno in un futuro remoto, tanto quanto lo siamo nei confronti dei nostri contemporanei. Ritengo che questa sia la posizione più plausibile. Nell'ambito di questa posizione si possono però avanzare tesi assai diverse per quanto attiene al contenuto della responsabilità. Teorie dei diritti, teorie conseguenzialiste come la dottrina utilitaristica, varie forme di contrattualismo possono condurre a concezioni diverse di quali sono gli obblighi morali cui individui moralmente responsabili soggiacciono nei confronti di altri, siano essi contemporanei o posteri. Vi è poi il complesso problema della responsabilità nei confronti di individui possibili - intendendosi con ciò sia gli individui che esisteranno se facciamo certe azioni, sia gli individui che sarebbero esistiti ove avessimo scelte certe azioni che però di fatto non abbiamo scelto. Questi ultimi sono gli individui meramente possibili. Se o in che misura siamo responsabili nei confronti di individui possibili e meramente possibili è un problema sul quale, anche tra coloro che se ne occupano sistematicamente a livello di etica teorica, vi è disaccordo. Il problema è però importante in quanto riguarda direttamente la questione di quale sia, in un certo periodo, la grandézza ottimale della popolazione mondiale; il problema riguarda anche la questione se vi sia un obbligo di garantire la continua esistenza della specie umana in quanto tale, ed è pure attualizzato dalla questione concernente la giustificazione dell'aborto. Ma questi sono problemi nel merito dei quali qui non posso entrare.

C - Voglio invece dire qualcosa sul come rendere operativa una particolare concezione della responsabilità verso le generazioni future: quella concezione per cui i loro interessi debbono essere trattati alla stessa stregua degli interessi dei contemporanei. Il problema è quello di individuare atteggiamenti e norme di morale intergenerazionale tali che la loro assunzione nella morale positiva vigente è necessaria a garantire almeno certe condizioni fondamentali del benessere di future generazioni. Siffatti atteggiamenti e norme non dovranno però implicare esigenze talmente alte nei confronti della attuale generazione, e di quelle immediatamente successive, da risultare irrealistiche oppure controproducenti. Un atteggiamento generale che può essere inculcato attraverso la realizzazione di seri programmi educativi nella scuola e nella società, è quello che porta a vedere noi stessi, individualmente e collettivamente, non come i padroni del pianeta, o di questa o quella parte del pianeta, ma piuttosto come amministratori fiduciari che in qualche modo debbono rendere ragione del loro operato alle generazioni susseguenti. Un siffatto atteggiamento è del resto già presente in diverse delle grandi religioni. Il problema di quali siano le norme di morale intergenerazionale che è opportuno siano fatte valere come norme di morale positiva, e quindi interiorizzate dagli individui e sostenute nella società, non è un problema di facile soluzione. Qui posso fare soltanto un brevissimo discorso su quattro norme che parrebbero particolarmente importanti: Norma 1: Non fare scelte che abbiano effetti irreversibili, o comunque la cui reversibilità è molto difficile ed estremamente costosa. Norma 2: Massimizzare il tenore di vita sostenibile. Norma 3: Salvaguardare la biodiversità. Norma 4: Salvaguardare il patrimonio artistico, scientifico, culturale. Che cosa concretamente comporti seguire i dettami di queste norme è tema sul quale vi è ormai una letteratura assai vasta. Qui possono bastare alcuni brevissimi cenni. La prima norma comporta, per ragioni del tipo di quelle cui ho fatto cenno all'inizio di questo intervento, che va abbandonata la politica energetica fondata sul nucleare; essa comporta altresì che la produzione di energia da combustibili fossili deve essere efficacemente regolata in modo tale da portare ad una diminuzione dell'effetto serra e affiancata da una politica energetica favorevole al risparmio di energia e all'utilizzo delle varie fonti alternative. In base alla conoscenza che abbiamo di come funziona il cosiddetto mercato libero - che nel futuro non guarda molto lontano e per di più lo sconta - ed in base alla seconda norma che prescrive di massimizzare il tenore di vita sostenibile, possiamo dedurre la prescrizione di un utilizzo pianificato e oculato delle risorse, rinnovabili e no, del pianeta, in modo tale, per dirla con John Locke, che ogni generazione ne lasci, compatibilmente con un tenore decente di vita per essa, abbastanza e altrettanto buone per le generazioni successive - o, almeno, per svariate generazioni successive (nella speranza che, esaurendosi prima o poi comunque certe fondamentali risorse non rinnovabili, generazioni che vivranno in un futuro più remoto abbiano a loro disposizione altre risorse alternative). Tanto dalla prima come dalla seconda norma è deducibile la prescrizione che vengano evitati danni irreversibili, o difficilmente reversibili, sia al sottile strato di terra che serve alla coltivazione, sia alle varie sorgenti di acqua che forniscono all'umanità questa fondamentale necessità di vita e che già oggi in tante parti del mondo è terribilmente scarsa. ILCONTESTO La terza norma prescrive, inter alia, la salvaguardia di specie di piante e animali in via di estinzione e dell'habitat necessario ad una loro continuata esistenza (salvaguardia delle grandi foreste tropicali), proibisce le monoculture che appunto impoveriscono la biodiversità, prescrive la creazione e l'ulteriore sviluppo di banche genetiche. Visti gli stretti nessi intercorrenti tra crescita della popolazione, consumi, depauperamento di risorse e rischi di scelte irreversibili o difficilmente reversibili, un limite al boom demografico è richiesto da ciascuna delle prime tre norme. La quarta norma, da ultimo, esige la conservazione, a beneficio delle generazioni future, non solo del grande patrimonio artistico dell'umanità (sottoposto, in questo nostro secolo dilaniato da guerre sempre più totali, a distruzioni di dimensioni forse mai prima registrate nel corso della storia), ma anche delle varie tradizioni culturali, delle varie lingue e delle conoscenze scientifiche, ma non necessariamente di tutte: sarebbe meglio, se fosse possibile, obliterare per sempre ogni conoscenza di come si costruiscono armi termonucleari. Un problema importante e difficile è poi quello di quali siano le misure giuridiche, sia a livello di singoli stati sia a livello di diritto internazionale, necessarie per far sì che i vari dettami deducibili dalle quattro norme di morale intergenerazionale, ed eventualmente da altre, vengano osservati ove la motivazione individuale, proveniente dalla interiorizzazione di queste norme, non basti a portare ad una loro generale osservanza, e una coordinazione sociale delle azioni individuali dei singoli soggetti è pertanto richiesta al fine di realizzare gli esiti cui le norme suddette sono finalizzate. 5 Importante, da questo punto di vista, può essere la revisione della nostra Costituzione che non soltanto non contiene alcun accenno a diritti di generazioni future, ma non contiene alcun accenno a obblighi di salvaguardia dell'ambiente. 6 Sotto questo aspetto le costituzioni di vari altri Paesi sono assai più avanzate. Ad esempio, la nuova costituzione del Brasile, adottata nel novembre del 1987 ed in vigore dal 5 ottobre del 1988, stabilisce (in un comprensivo e dettagliato articolo, Cap. IV Art. 225) che ciascuno ha diritto ad un ambiente in equilibrio ecologico con l'obbligo corrispettivo per le autorità pubbliche e per la comunità di difendere e salvaguardare un siffatto ambiente "per le generazioni presenti e future". E la costituzione giapponese, per portare un altro esempio, stabilisce (Cap. X Art. 97) che i diritti fondamentali in essa sanciti "sono conferiti alla presente e alle generazioni future" e sono da considerare come "inviolabili in ogni tempo". 7 Altra cosa è che questi articoli delle costituzioni citate sono rimaste fino ad oggi praticamente lettera morta. Un'altra misura da contemplare potrebbe essere la istituzione di un ombudsman sia a livello di singoli stati sia a livello di ONU, con il compito di far valere nel processo decisionale nazionale e internazionale interessi/diritti di generazioni future. Vorrei da ultimo, per chiudere, richiamare in tutta brevità l'attenzione su due punti. Il primo è che bisogna stare in guardia contro l'errore di ritenere che ogni stato, come oggi esiste, abbia obblighi soltanto o particolarmente forti nei confronti delle generazioni future d! propri cittadini. Infatti, come la storia, anche più recente, c1 insegna, gli stati sono istituzioni che nascono,_si m?di?cano, spariscono. Non ha quindi molto senso parl~e d_io?bhgh~ che l~ stato ha soltanto nei confronti delle generaz1om d1propn futun cittadini. Il secondo punto su cui va richiamata l'attenzione è che una politica responsabile nei confronti d~~le generazio~i fut~re è necessariamente connessa con una poht1ca responsabile ne1confronti delle popolazioni povere oggi viventi nei Paesi del Terzo

IL CONTESTO mondo. Ciò non soltanto perché se non si realizza, presto, un radicale miglioramento del tenore e della qualità della vita delle popolazioni povere del Terzo mondo, esse saranno portate ad agire sempre di più in modo tale da causare conseguenze estremamente negative per masse di persone appartenenti a molte generazioni a venire; ma anche perché non debbono essere, ancora una volta, i più poveri del mondo a pagare il prezzo più alto per salvaguardare il benessere delle generazioni future. Le istanze della giustizia intergenerazionale e quelle della giustizia internazionale sono dunque indissolubilmente connesse. Note 1) Per questi e altri dati rilevanti cfr. E. Turrini, La via del sole, Edizioni cultura della pace, Firenze, 1990, pp. 12 e sgg. 2) Cfr. P. Cloud, "Minerai Resources in Fact and Fancy", in W.W. Murdoch, ed., Environment: Resources, Pollution, and Society; Sinlauer Associates, Stanford, 1971;T .S. Lovering, "Minerai Resources from the Land", in Resources and Man, ed. by the Committee on Resources and Man of the National Academy of Sciences, H.H. Freeman, San Francisco, 1969. 3) World Climate Programme. "Conference Statement", Report of the lnternational Conference on the Assessment of the Rote of Carbon Dioxide and of other Greenhouse Gases on Climate Variations and Associated lmpacts (WMO, 661,1986). 4) Cfr. R.B. Burton, "A Philosopher Looks at the Population Bomb", in W.T. Blackstone, ed. Phylosophy and Environmental Crisis, University of Georgia Press, Athens. 5) Per quanto riguarda la necessità di misure di coordinamento sociale necessarie a contenere l'esplosione demografica cfr. F. Miller and R. Sartorius "Population Policy and Public Goods", Philosophy & Public Affairs, 1979. 6) Gli articoli 9 e 44 sono quelli qui più rilevanti - ma chiaramente insufficienti. 7) Ho attinto questi dati ali' utile appendice in cui E. Brown Weiss ha raccolto gli articoli delle costituzioni degli stati membri dell'ONU che sono più rilevanti in materia di salvaguardia dell'ambiente in vista anche degli interessi delle generazioni future; cfr. E. Brown Weiss, In Fairness to Future Generations, Transnational Publishers, Dobbs Ferry, New York, 1989, Appendix B, pp. 297-327. Questo testo è stato letto al convegno su "Rischi e opportunità globali" tenuto a Perugia dal 29 al 31 ottobre 1992 a cura dell'Associazione Aldo Capitini. Ringraziamo Pontara e gli organizzatori del convegno per avercene autorizzato la pubblicazione. La 11 sicurezza'' al posto dello sviluppo Le trasformazioni dei rapporti Nord-Sud Wolfgang Sachs Le guerre producono spesso un'accelerazione della storia, fanno precipitare gli eventi e introducono nuovi modi di percepire la realtà. Questo è quanto è accaduto con la guerra del Golfo nel 1991. Nei mesi successivi al conflitto è diventato chiaro che la guerra aveva lasciato dietro di sé segni di violenza non soltanto sul campo di battaglia, ma anche nelle menti degli spettatori occidentali. Con la guerra del Golfo è finita l'epoca in cui i rapporti tra Nord e Sud erano pensati e interpretati attraverso il concetto-chiave di "sviluppo". Ora, invece, si delinea un'epoca in cui la politica nei confronti del Terzo Mondo sarà dominata dal tema della "sicurezza". La visione di Truman Anche se è difficile stabilire con esattezza l'inizio di una nuova epoca, l'apertura ufficiale dell'era dello "sviluppo" conosce un'ora e una data precise. Il 20 gennaio 1949, il presidente americano Harry S. Truman, in una dichiarazione davanti al Congresso, definì per la prima volta la maggior parte del mondo come "aree sottosviluppate" .1 Tale concezione, che etichettava le diverse condizioni di vita del Sud del mondo sotto l'unica categoria di "sottosviluppo" avrebbe portato enormi conseguenze. La nuova parola non fu scelta a caso, ma corrispondeva ad una precisa visione del mondo: secondo Truman tutti i popoli della terra seguivano un processo di sviluppo comune, alcuni in modo più veloce, altri più lento, ma tutti nella stessa direzione. In questo processo, per Truman, i paesi del Nord, soprattutto gli Stati Uniti, erano avanti, mentre gli altri, il cui reddito pro-capite era di molto inferiore a quello deglI USA e dell'Occidente, erano indietro. A prescindere dagli ideali che i peruviani, i filippini o i kikuyu volessero realizzare, Truman riconosceva in loro unicamente una retroguardia, per la quale doveva valere l'imperativo storico di 8 riguadagnare terreno lungo la strada dello sviluppo, avvicinandosi ai paesi ricchi. Questi ultimi avrebbero assistito i paesi più poveri con generosità, attraverso quella operazione che successivamente sarebbe stata definita come "aiuti allo sviluppo". Con Truman le idee guida cambiarono rispetto all'epoca precedente: al lento "progresso civilizzatore" del colonialismo fu contrapposto il rapido "dinamismo economico", e lo "sviluppo" divenne un concetto chiave. 2 Tutto ciò che le società economiche del Nord pensavano di loro stesse fu proiettato al resto del mondo: il livello di civiltà di un paese simisurava sul suo livello produttivo. Di conseguenza Truman concepì il mondo come un'arena economica in cui i paesi si facevano concorrenza in base alle cifre del loro prodotto interno lordo; la politica dello sviluppo aveva quindi il compito di abilitare le nazioni più giovani a gareggiare in questa arena. In realtà, Truman aveva assolutamente bisogno di una simile riconcettualizzazione del mondo. Dopo il crollo dell'Europa e del suo potere coloniale, gli Stati Uniti vedevano loro stessi come la nuova potenza globale, a cui spettava il compito di proporre e imporre un nuovo ordine mondiale. Interpretare la storia come la via verso lo sviluppo, con gli Stati Uniti all'avanguardia, era fondamentale. Infatti con l'annuncio di uno "sviluppo" l'egemonia dell'Occidente aveva un fondamento logico, che diversamente dai tempi del colonialismo, non dipendeva più dal possesso di territori; era molto più importante la potenza economica e l'inserimento nell'orbita del mercato mondiale. Grazie a questa idea di "sviluppo" gli Usa potevano rivendicare il diritto all'egemonia, che avrebbe consentito loro di occuparsi, in ogni parte del mondo, del libero ordine economico, anche con mezzi spesso discutibili. Con il passare del tempo l'idea di una rapida ripresa dei paesi

poveri nella corsa verso il benessere economico cominciava a incrinarsi sensibilmente, anche se è rimasta dominante fino ai giorni nostri nella politica dello sviluppo, e anche nella politica economica ed estera. Anche le concezioni alternative, come quelle che si richiamavano ai bisogni fondamentali oppure agli indicatori sociali, non potevano distaccarsi dall'idea di una via universale allo sviluppo pur sollecitando già defacto qualcosa di diverso rispetto alla politica di sviluppo e all'assistenza sociale. Dalla "via comune" all'"apartheid globale" Dopo quarant'anni è ormai chiaro a tutti che il progetto di Truman si è dimostrato un fallimento di proporzioni planetarie. La speranza di una "ripresa" del Terzo Mondo è svanita (a prescindere da alcune eccezioni). Al contrario, lo "sviluppo" ha fatto esplodere il divario tra l'avanguardia, formata dai paesi ricchi, e la retroguardia, formata dai paesi in via di sviluppo. La guerra del Golfo ha chiarito in modo netto la vertiginosa frattura tecnologica che oggi separa ancora di più i paesi ricchi da tutti gli altri. Lo mostrano le cifre: da parte americana ci sono state 115 vittime, mentre tra i soldati iracheni ce ne sono state 100.000 con un rapporto di 1 a 100, fatto unico nella storia delle guerre. Sebbene l'Iraq abbia fatto degli sforzi insensati per riarmarsi, il suo esercito non è stato spazzato via perché incapace, ma perché si trovava ancora al livello tecnologico degli anni Settanta. La sconfitta di Saddam Hussein, anche se comunque auspicabile, è diventata il simbolo del ritmo di innovazione del Primo Mondo e dell'impotenza del Terzo. Le cifre parlano da sole: la quota di prodotto interno lordo mondiale dei paesi in via di sviluppo, dove vivono i due terzi dell'umanità, è diminuita negli anni Ottanta di circa il 15%, mentre la quota dei paesi industrializzati, dove vive il 20% della popolazione, è aumentata di oltre l' 80%. 3 Non è dunque esagerato affermare che l'illusione di una "ripresa" ripete su scala mondiale la fatale illusione di Montezuma che lo portò ad accogliere a braccia aperta Cortéz credendo che fosse stato mandato da Dio. Ad ogni modo, l'idea secondo la quale tutti i paesi nel mondo si muovano lungo una via comune di sviluppo non è altro che un'illusione del dopoguerra. Il mondo è diviso tra le economie dell'Occidente e le economie povere dei paesi del Sud. Oltre il 70% del commercio mondiale si svolge tra i paesi Ocse, ossia le fiches si spostano essenzialmente all'interno della classe superiore e si avventurano sempre meno nella classe inferiore. Non si può più parlare di uno spazio economico continuo, ma al contrario, è come se la ricca economia del Nord e l'economia povera del Sud fossero separate da un muro. L'idea secondo la quale il Nord rappresenti un fattore trainante per la crescita economica del Sud- secondo quanto risultava dal rapporto Brandt è ormai superata. Ancora di più lo è l'idea secondo la quale il Nord dipenda dal Sud per le materie prime, i prodotti agricoli e la forza lavoro a basso prezzo, risorse che ormai l'economia a tecnologia avanzata può sostituire sempre più facilmente. Il Nord non solo non dipende in nessun modo dal Sud ma prospera grazie all'esclusione del resto del mondo. Il mondo non è più diviso tra capitalismo e comunismo, ma, usando le parole di Alvin Toffler, tra economie veloci ed economie lente. I vari paesi del mondo non sono uniti da un'unica via, come risultava dalla visione dello "sviluppo", ma sono separati da una situazione di apartheid. Dall'utopia industriale al dilemma ecologico Ai tempi di Truman era ovvio che gli Usa, insieme agli altri paesi industrializzati, occupassero una posizione di punta nel ILCONTESTO campo dell'evoluzione sociale economica. Oggi quest'ottimismo è finito. La crisi ecologica dimostra che se il modello di sviluppo industriale occidentale fosse esteso a tutto il mondo si potrebbero esaurire rapidamente le risorse naturali della terra e pregiudicare gli equilibri della biosfera. Per più di un secolo il progresso tecnologico ha promesso fa liberazione dalla schiavitù del lavoro. Oggi, proprio nei paesi ricchi, è evidente che questa speranza è del tutto infondata. La visione di Truman è finita davanti al tribunale della storia, non perché la corsa sia stata portata a termine in modo sleale, ma perché essa porta direttamente verso il precipizio. A prescindere dal fatto che l'industrialismo sia rimasto nel complesso una faccenda della classe media, l'intera umanità consuma in un anno risorse che la terra riesce a produrre in un milione di anni. Gran parte dell'alta produttività viene mantenuta grazie ad una consistente dipendenza dai combustibili fossili; perciò, da una parte, la terra viene scavata e le ultime aree verdi vengono seriamente compromesse, mentre dall'altro lato cade una pioggia permanente di sostanze nocive. Nel caso in cui tutti i paesi dovessero seguire il nostro modelli industriale sarebbero necessari 5-6 pianeti per farne delle miniere o delle discariche. Pertanto, è evidente che Ìe società sviluppate non possono fungere da modello: il gruppo di testa non ha indicato la strada maestra della storia, bensì quella sbagliata. Come si può parlare ancora di sviluppo, se nessuno sa dove porterà questa corsa? Dalle aree di sviluppo alle zone a rischio In un mondo governato da un regime di apartheid cambia anche la concezione che si ha dei popoli del Sud. Secondo Truman, anche se povere, le società del Terzo Mondo avevano delle potenzialità, erano paesi "giovani" ed "emergenti" il cui futuro sarebbe stato migliore del passato. Ma, in un mondo sottoposto ad un regime di apartheid globale, le speranze in un futuro migliore per i paesi arretrati sono vane; nella migliore delle ipotesi si tratta, dal punto di vista dei privilegiati, di tenere sotto controllo delle forze che potevano risultare esplosive. Non si guarda più ai paesi del Sud con speranza, ma con diffidenza: non sono più un luogo di progresso, ma di minaccia. La guerra del Golfo ha dimostrato in modo definitivo come le antiche aree coloniali, trasformatesi successivamente in paesi in via di sviluppo, siano diventate oggi zone a rischio. I giornali e la televisione ci tengono al corrente di ogni sorta di pericolo che proviene da quei luoghi: dilagala violenza, continuano le catastrofi naturali, gli ideologi diventano degli istigatori, aumenta la crescita demografica. Il timore dell'immigrazione, dell'effetto serra, del traffico di droga, del terrorismo e della guerra si fa sentire anche nella roccaforte del Nord. Più si agitano sensazioni di pericolo, più l'immagine dell'altro assume nuove tinte: nel corso dei secoli esso è apparso prima come il pagano, poi come il selvaggio, po! come l'indigeno e infine come il povero. In questo momento egh appare soprattutto come un fattore di rischio. Dalla distribuzione della ricchezza alla distribuzione dei rischi Da molto tempo a livello internazionale sono cambiati i temi all'ordine del giorno. Un tempo nell'am~ito delle cont:erenze multilaterali si discuteva se ed in che modo si dovessero ~sic~ al Sud più opportunità di crescita ~ell'e~onomia mondiale. B~b ricordare gli accordi sulle ~aten_e pnme e s~ nl!ovo ordine economico internazionale degh anru Se~ta. Og~ ~~nferem.e si preoccupano di tenere sotto c~n~ollo 1 ~r~otb di ~uto dc:~ crescita economica. Preoccupati, 1 goverru discutono I f~n di rischio per la biosfera come l'inquinamento del mare, Il buco 9

ILCONTESTO dell'ozono oppure il surriscaldamento dell'atmosfera e cercano di raggiungere delle intese sulla legislazione che regola lo sfruttamento delle risorse naturali e sui valori limite a cui adeguarsi. Si tratta. soprattutto di un cambiamento di prospettiva: dal programma emerge non più la distribuzione della ricchezza, bensì quella dei rischi ambientali. 4 Dai conflitti internazionali, quindi, risulterà, senz'altro un nuovo paesaggio. Sembra che in questo momento si profilino all'orizzonte tre livelli di conflitto concernenti le responsabilità, i diritti a inquinare e i costi di prevenzione. Nel primo caso il dibattito riguarda l'identificazione delle vere cause per poter stabilire le quote di responsabilità tra i paesi. Pertanto, nel terreno neutro della Conferenza internazionale sul clima si è accesa una discussione sui vari tipi di emissioni che sono la causa principale dell'effetto serra. A chi deve essere principalmente addossata la colpa: ai coltivatori di riso dell'India, agli automobilisti statunitensi oppure soltanto a quel paese che produce una quantità di anidride carbonica superiore alla sua capacità di assorbimento? Nell'ambito del secondo livello di conflitto l'impegno dei diplomatici è diretto a massimizzare i diritti a inquinare in modo tale da assicurare, in un quadro di riferimento generale, uno sfruttamento residuo dell'atmosfera, della foresta tropicale oppure delle foche il più alto possibile per il proprio paese. Sulla terza questione - i costi di prevenzione - c'è stato un vero e proprio tiro alla fune su chi debba sopportare i costi di danni ambientali irrisolti: in che misura ·i paesi in via di sviluppo possono esigere una compensazione per uno "sviluppo sfuggito di mano", chi dovrebbe garantire i mezzi tecnologici. È evidente che un nuovo ordine di conflitti attende la diplomazia internazionale: i contrasti si accendono su dove vanno collocati i confini mondiali dei danni ambientali, in che misura si debba aspirare alla sicurezza ambientale e chi debba sopportarne i costi. Il tema delle trattative multilaterali, agli occhi dei paesi occidentali, non è più la scarsità di ricchezza, bensì la scarsità di risorse naturali. 5 Dal contenimento del comunismo al contenimento delle catastrofi Il piano di Truman per l'ordine globale prendeva le mosse dal!' idea che il libero funzionamento del mercato fosse la premessa per lo sviluppo e che lo sviluppo fosse la premessa per la pace. Al posto della violenza e della forza militare, la capacità produttiva doveva essere un elemento decisivo nella concorrenza tra i paesi, anche se gli interessi e gli ideali erano molto diversificati. In seguito, con l'ascesa degli Usa a potenza mondiale prevalse definitivamente anche una nuova concezione della potenza nazionale. Nel ventesimo secolo il potere si basa in misura crescente sulla potenza economica; il predominio sui mercati è divenuto più importante dell'ampiezza del territorio nazionale e la conquista di territori è passata in secondo piano rispetto alla conquista dei mercati stranieri. L'intervento politico e, all'occorrenza, anche quello militare è subordinato a questo scopo: serve ad assicurare la libertà economica e l'apertura dei mercati. Questa trasformazione ha avuto delle conseguenze anche sul piano linguistico con il passaggio dall'espressione difesa nazionale a quella di sicurezza nazionale. Per gli Usa la sicurezza della loro posizione di forza non dipende più dal loro territorio, ma dalla distribuzione del potenziale economico in tutto il mondo. "Sicurezza" significa preoccuparsi della stabilità delle condizioni politiche degli altri paesi, per favorire la ricchezza e la crescita economica. 10 Oggi, al contrario, diventano di primo piano rischi completamente nuovi per l'evoluzione economica mondiale: gli ostacoli di carattere ambientale. È ormai evidente che la crescita nell'ordine e nella stabilità necessita non solo di premesse di carattere politico: essa è determinata anche dalle condizioni ambientali. Oggi le rivolte e le guerre non vengono più spiegate solo con cause politico-ideologiche, ma fatte risalire ad altre ragioni, come la crisi ambientale. La scarsità d'acqua nel Vicino Oriente, le inondazioni in Bangladesh, le devastazioni in Senegal, il fabbisogno energetico in Cina o la deforestazione nelle Filippine possono divenire, da questo punto di vista delle cause di instabilità e conflitti economici. La destabilizzazione conduce i paesi al caos economico e influenza le migrazioni di popoli anche nel Nord. Nel caso in cui l'equilibrio dei gas atmosferici diventi importante quanto l'equilibrio dei poteri militari, allora dovrà cambiare anche il significato del termine "sicurezza": recentemente i provvedimenti miranti al rispetto dei cicli naturali sono stati riassunti nel concetto di "global security". 6 Dagli interventi per il rilancio a quelli per la prevenzione Truman aveva giustificato l'egemonia degli Usa non come facevano i colonialisti, nel senso di una tutela nei confronti di popoli ancora "minorenni", ma come garanzia di prosperità economica in tutto il mondo. Conseguentemente, furono create istituzioni nazionali e internazionali per !"'assistenza" e la "cooperazione" il cui intento, alimentato da un'illusione di potenza, era quello di stimolare la crescita economica. Gli interventi per lo sviluppo miravano a portare un paese sulla strada del progresso, e, essenzialmente, erano concepiti come interventi per la modernizzazione. Ora sono passati i tempi in cui la "ripresa" del Sud rispetto al Nord era all'ordine del giorno. Attualmente la questione degli interventi per lo sviluppo verte essenzialmente sul tentativo di salvare il salvabile con strumenti piuttosto blandi, e contribuire sia in senso economico che in senso ecologico alla "sicurezza per la sopravvivenza" dei poveri, come indica il nuovo termine della politic;:tdello sviluppo. Gli aiuti allo sviluppo non hanno più nulla a che vedere con il loro nome, dato che nessuno più crede seriamente ad uno sviluppo effettivo. Si tratta, invece, di arrestare la recessione e di occuparsi di questioni come acqua potabile, impianti per la combustione compatibili con l'ambiente o la scarsa possibilità di accesso ai mercati. Gli interventi per lo sviluppo diventeranno una sorta di sovvenzione permanente per i nullatenenti di tutto il mondo oppure, nella migliore delle ipotesi, una parte integrante della politica sociale internazionale. Sono passati anche i tempi in cui gli interventi per lo sviluppo erano attuati per facilitare una crescita autonoma. La nuova giustificazione per una "politica dello sviluppo" risiede non negli interventi verso il rilancio, ma nella prevenzione verso l'acutizzarsi delle situazioni di crisi. Nella politica dello sviluppo prevale un ottica di autodifesa, precisamente per evitare, attraverso i provvedimenti per l'assistenza, che un collasso del Sud travolga anche le società del Nord. Dopo che per molto tempo gli interventi per lo sviluppo sono serviti alle nostre proiezioni utopiche, ora saranno delegati ad acquietare i nostri timori. Dal desiderio di progresso al desiderio di stabilità Questo nuovo atteggiamento trova la sua espressione militare nei piani per le forze di intervento rapido multinazionali; se esse verranno costituite in ambito Ueo, Nato oppure Onu è una

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