lingua d'adozione come un modo di pensare totalmente nuovo, completamente libero, straordinariamente vitale, perché nemmeno un pezzo della storia che hanno abiurato è rimasto attaccato ad essa, il cordone con la vita passata non è rimasto; si è spogliato di tutte le colpe, di tutti i ricordi e delle vecchie emozioni come l'algebra (e questa è una delle ragioni per cui l'algebra è sempre stata un Eden per i perseguitati). Eppure di sensi di colpa ne hanno fin troppi. I vecchi tempi li hanno ammassati in una nube. È stato questo un altro fattore a favore dell'altra lingua, e dell'altro paese; perché ogni cambiamento, come pure ogni distanza diventava desiderabile, poiché - non importa quanto male vi abbia fatto la vostra madrepatria, e quanto si sia chiaramente sbagliata sul vostro conto, quanto ingiustamente siate stati trattati, quanto duramente abbiate sofferto, e con quanta amarezza siate stati costretti a far la parte di Giobbe - sarete comunque perseguitati dalla figura dei vostri Padri, dei vostri numi tutelari; sarete malgrado tutto corrosi dalla vostra coscienza; e anche quando vi autodefinirete un'ingrata pecora nera, una prole cattiva, un ragazzo nato male - cosa del tutto normale - vi renderete conto, nel momento in cui parlate, che la vostra voce è solo un'eco edulcorata dei vostri nemici, i quali stanno usando le vostre braccia per coprire la vostra fossa, e la vostra bocca per pronunciare dolorosamente le loro frasi. È questa un'altra ingiustizia. Forse l'ultima. E allora, è comprensibile che, in certe circostanze, assumiate, sempre ammesso che ci riusciate, l'immagine di un'altra cultura, perché naturalmente anche voi volete permettervi di girare in tassì e di ordinare croissant, e magari di fischiare ai bastardi che vi hanno strappato alla vostra patria (un vibrante articolo nella lingua locale potrà fare al caso), e arricchirvi per la vostra celebrità acquisita. Può anche darsi, però, come ho già accennato, che abbiate usato la vostra lingua d'origine con la stessa superficialità con cui usereste qualsiasi altra, solo per ordinare toast freddi e tè, per lasciare elegantemente un amante indesiderato, per mettere in circolazione una bella menzogna: o forse può darsi che non conosciate altri modi di usarla se non male, come se fosse un cesto da bucato o un bicchiere di carta che potete accartocciare e buttar via dopo l'uso. Ad esempio, si presuppone che uno scienziato lavori a un livello concettuale che va ben oltre le ristrette vedute della parrocchia a cui appartiene, per cui, anche se il compendio dei suoi esperimenti è scritto in tedesco o in francese, non vuol dire che sono francesi e tedeschi, perché sono espressi in dati di laboratorio e in logaritmi. Supponiamo che le nostre parole escano dalle nostre bocche palpabili come saliva; supponiamo che alcune vengano rinchiuse in soffici nuvole rosa come zucchero filato o circondate da nuvolette come nei fumetti, o che escano in caratteri gotici; supponiamo che riempiano stanzette che riusciamo a guardare a fatica per raggiungere il telefono o la porta, e che piccole damigelle del linguaggio passino la notte a raccoglierle dentro reti, a versarle dentro mastelli, e che alle prime luci dell'alba camion pieni di logos escano furtivamente per le strade diretti a grandi discariche a forma di dizionario. Voglio ipotizzarlo solo per far capire con quanta facilità ci liberiamo delle nostre parole. Che non fanno neppure in tempo a parlare e sono subito assorbite dal vasto, ma sempre più uggioso mare di aria che ci SAGGI/GASS circonda. Quanto alla parola scritta, è ugualmente inutile ... ebbene, possiamo pure morire a forza di scrivere; scrivere male è più contagioso del raffreddore; e se non ci facciamo prendere al collo da quei taccuini di plastica legati da cordoncini a forma di verme, saranno grandi diapositive, best seller gonfiati o la scadenza dei vostri certificati di credito a farlo. Ma se il vostro linguaggio è presumibilmente lo strumento di un'arte; se voi che lo usate, siete un'artista e non un reporter, un persuasore, o un raconteur; se non scrivete principalmente per essere lodati o pagati, ma volete evitare le strade affollate dell' intrattenimento per andare magari a trafficare nella tragedia, per scavare in quello che è profondamente serio; allora (anche se esistono poche eccezioni alla regola) capirete subito di essere benedetti dalla lingua con cui siete nati, la lingua che avete cominciato a dominare nel momento in cui cominciavate a imparare anche a vivere, a leggere le rughe sui volti dei grandi, a riconoscere la luce dalla finestra che voleva dire latte, la porta che vi sottraeva a vostra madre, le canzoni canticchiate da chi vi separava dal petto che succhiavate - dal petto che reclamavate più di ogni altro. Solo se uscite perfettamente formati dalla fronte di Zeus potete scampare alla nascita; evitando di imparare un linguaggio prima di diventare adulti, e di perdere quel linguaggio con l'andar degli anni.È come vivere sotto un sole particolare, se non fosse che le parole cominciano come vento e temperie dello spirito, perché ciò che inizialmente si presenta al mondo come una sorta di baccano viene poi lentamente capito e assimilato. Poi man mano si forma uno stile, gradualmente, così come s'irrobustiscono le vostre ossa e prende forma la vostra fisionomia, allo stesso modo in cui prende forma il vostro carattere - assertivo e duro, mite e debole. Che allora impariate una lingua è molto probabile; che la impariate bene è improbabile; che viviate bene è improbabile; che assumiate una forma è sicuro; che il vostro spirito - quel vecchio fantasma - diventi la fonte dei vostri discorsi e delle parole che scrivete è una congettura socratica che io sostengo; la parola è ciò di cui è fatta l'anima. Allora, a cosa si rinuncia quando si è costretti a vivere lontano dalla propria madre patria? Alle parole. Significa sbarazzarci delle nostre parole quando qualcuno si sbarazza di noi, dal momento che il discorso non è una proprietà che può essere confiscata, comprata o venduta, e quindi lasciata parcheggiata alle nostre spalle come un'automobile che avete venduto usata, ma è il centro stesso dell'individuo. Il tormento dell'esilio sta in questo: anche se il corpo viene scaraventato nel mondo come Adamo ed Eva dall'Angelo, l'anima viene gettata in una cellula d'individuo in cui conterà i giorni con quei graffi sul muro che chiamano scrittura, e in cui perderà inevitabilmente tutti i suoi compagni, per sopravvivere da solo. Questa mia insistenza sulla centralità della parola orale non viene, ovviamente, condivisa. Se pensate all'immagine visiva che abbiamo del nostro tempo, chi dovrebbe crederci? Allo stesso modo, provate ad esprimere la vostra passione alla vostra prossima fiamma. Provate a spiegare i vostri bisogni. Quanto in profondità nei vostri sentimenti potete addentrarvi con le parole? Non assumeranno involontariamente un certo stile da graffito di cesso? Quando tomaté soli con voi stessi, e riflettete su qualche 91
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