SAGGI/GASS Foto di Carlo Paane !Contrasto). disgraziati che erano una volta quando iil prigione rimanevano immobili per il terrore, quando uscivano furtivamente e impauriti lungo le strade grigie o restavano in dormiveglia come gatti in gabbia. Altrettanto facile è diventato sminuire e dimenticarsi dei nostri esuli che non sono approdati a piscine circondate da prati, e che hanno dovuto sottoporsi alle peggiori umiliazioni che si possano immaginare, guidando tassì per strade che non sanno né riconoscere né pronunciare, vendendo frutta ammaccata, e pulendo case di altri quando in patria ne possedevano una; finendo trattati con condiscendenza o ignorati, con in mano un berretto con visiera o una scopa, mandati alla deriva dove non ci sono né acqua né barche. Per produrre risultati come questi, bisogna sfornare altre guerre fredde. Per produrre risultati come questi, gli altri esuli devono trasformarsi in concorrenti indesiderati nello sforzo di rimanere al centro dell'attenzione, nel tentativo di accaparrarsi tutta la solidarietà disponibile, e il limitato accesso ai piaceri della nuova vita. Nel loro paese d'origine, avevano spesso covato un odio sottile e reciproco, e allora perché dovrebbero cambiare questa comoda relazione solo per il fatto di trovarsi insieme in un altro paese? D'altronde, sono solo loro - a prescindere dalla nazione, dalla religione, dalla razza o dalla lingua a cui appartengono, della crudele repressione, della bieca persecuzione, del dolore o della rabbia particolari che essi esprimono - sono solo loro i veri esuli, gli esuli terminali, esuli nel profondo, che hanno un'isola iscritta nel loro nome. Al loro confronto gli altri sono solo carta carbone, copie, nullità incapaci di esprimere tutta la tristezza, il senso di estraneità, e di ostilità nemica che potrebbero conferire loro una condizione d'esilio dignitosa, e l'ingresso nell'élite di chi viene onorevolmente deposto. 90 Chi sono quelli che vivono più facilmente questa transizione? Quelli per cui l'esilio non si fa quasi sentire? Questi fortunati non si sono mai preoccupati della loro terra natìa, ce l'avrebbero fatta comunque, in un luogo o nell'altro; erano cosmopoliti fin dentro le ossa, nel modo di vestire, nei toni, gusti; già molto tempo prima si erano liberati del clan e della famiglia, della campagna e del suo clima - avendo forse vissuto nel condominio di un quartiere urbano tra moltissimi edifici ugualmente anonimi, scrutando il cielo soltanto da una finestra annerita, mentre scrivevano su carte di ciclostile. Adesso a confortarli ci sono la coca-cola e gli hotdog; i loro forni a microonde sanno bene quanto stiano vivendo meglio di prima - con le lenzuola pulite e l'automobile, con un po' di erba buona e gli asciugamani puliti. Il paese a cui avevano sempre tenuto è rimasto per loro una regione della mente, e la mente è per lo più un mucchio di testi, di pagine di reportage e di consegne, e ovviamente di drammi, di sentimenti lagrimevoli, di rime edificanti recitate con raciniana precipitazione poco prima di essere fucilati o decapitati. Per loro la geografia è solo un testo, la storia un testo, i testi soltanto testi, e per questo sono stati capaci di trasferirsi come libri in prestito da una biblioteca ali' altra, soffrendo unicamente del fatto di essere come al solito spiegazzati e buttati via dopo l'uso. In particolare, quelli che hanno fatto fortuna nel loro paese d'adozione sono stati quelli che hanno imparato subito la nuova lingua, che hanno assunto con disinvoltura i nuovi idiomi e i gerghi del nostro tempo, e sono stati <;:apacidi scrivere nella nuova casa come facevano in quella che avevano: rapidamente, di getto, con sicurezza e sarcasmo. Per loro, il passaggio forzato da una lingua all'altra ha messo sia la lingua acquisita che quella originaria in una luce epifanica. Essi non hanno più guardato la madrelingua come una figlia guarda la propria madre, ma come può fare il seduttore della madre, o il panettiere a cui deve i soldi per il pane della settimana scorsa. Essi hanno vissuto la loro
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