SAGGI/GASS fino ari va su una conchiglia nata dalla schiuma che si era formata. Potremmo continuare - è una tentazione - ma il racconto ci porterebbe verso un'altra morale, invece che a quella di cui vogliamo trattare. Ma passiamo un attimo dal mito alla storia. Ricorderete che gli amici di Socrate organizzarono per lui la fuga. Atene non aveva nessuna voglia di trasformare in martire un uomo che l'aveva praticamente esortata a votare per la sua condanna a morte. I suoi nemici sarebbero stati molto soddisfatti se lo scomodo pensatore fosse stato mandato in esilio come il suo protetto Alcibiade, favorendo la decadenza di qualche altra città. Lasciate pure che il tafano vada a mordere un'altra coda. Tanto più che in questo caso si trattava di un cavallo stanco di essere tenuto desto. Ma Socrate declinò l'offerta, pungente fino alla fine, sostenendo, tra le altre cose, di essere un figlio dello Stato, e incapace di rinunciare al suo linguaggio. Le sue argomentazioni sono interessanti, anche se le sue vere ragioni rimangono ignote, e una di esse può aiutarci a capire cosa sia veramente l'esilio. Naturalmente egli sostenne di aver ricevuto un trattamento giusto al processo. Tutto ciò che egli, come del resto voi ed io, possiamo chiedere in tutta onestà al sistema giudiziario è che ci garantisca ciò che è nostro diritto, e Socrate sentì di averlo ottenuto. Se il verdetto del giudice è a suo sfavore, egli, allora, non può tirarsi impulsivamente fuori dal gioco, un gioco fatto di regole che egli aveva accettato, e dei cui vantaggi aveva sempre goduto. Oltre tutto, l'esilio è un' amputazione, una mutilazione della propria identità, perché la società in cui vive Socrate è parte essenziale della sua natura, una natura che adesso egli non può più partecipare ad altri. In breve, Socrate invoca tre principi, nessuno di essi formulato in maniera precisa, ma ognuno a suo modo profondo: egli afferma l'.im1fortanzadi aver avuto un processo giusto (cosa che implica che egli pone la legittimità della procedura al di sopra del verdetto, indifferentemente dall'esito di quest'ultimo, e anche nel caso dovesse mostrarsi infondato); egli crede nella dipendenza reciproca tra diritti e doveri (cosa che implica che nessuno dei due è inalienabile, e che ogni diritto per sua definizione viene acquisito attraverso il pagamento di un dovere corrispettivo); egli dà per scontato una sorta di anatomica corrispondenza tra individuo e società (cosa che implica che la nostra società è, per ognuno di noi, come un braccio in più che abbiamo in comune con altri, che costituisce quindi un vitale potenziamento della nostra identità di singoli). In generale, siamo collegati ad altre cose e persone in uno di questi tre modi: in modo strumentale e in termini di interesse secondo Locke, per cui, ad esempio, lo Stato diventa un puro mezzo per realizzare la felicità individuale di ogni cittadino; in senso collettivo, come nella visione di Hegel, secondo cui siamo tutti elementi funzionali alla salute dell'intero organismo sociale; e, infine, nell'accezione che preferisco, in terrrtini socratici, per cui la comunità è un organo essenziale all'individuo, ma non la somma di tutte le individualità. Secondo la prospettiva strumentale, ogni famiglia, ogni società, ogni governo, vengono puntualmente sciolti quando non riescono a servire gli interessi dei loro membri, proprio come facciamo noi quando sostituiamo una parte meccanica rotta con un'altra, un socio d'affari incompetente con un~ più efficiente, o 86 un allenatore di calcio che perde con uno che vince. Supponiamo che io sia uno scapolo tormentato da continue crisi di nervi, da acne e da anoressia. La vita sembra, cioè, non avere alcun senso senza un chiaro investimento sessuale. Il medico rrticonsiglia di sposarmi: "Il matrimonio vi ripulirà la carnagione, vi calmerà i nervi, e vi farà ingrassare." Allora mi decido e dico, "Va bene," e mi metto in attesa degli effetti benefici del matrimonio. Qualche anno più tardi, però, mi tornano i brufoli, i nervi ricominciano a logorarsi, e non riesco di nuovo a mandar giù il mio piatto di pasta. Naturalmente, mi viene consigliato il divorzio. Invece, in base alla concezione collettivistica, gli individui che non riescono ad adempiere adeguatamente alle loro mansioni vanno sostituiti con altri, alla stesso modo in cui viene sostituito un lanciatore sulla pedana di lancio, perché è la squadra che deve andare avanti (non vale lo stesso principio per la nostra università?), anche se l'allenatore, e quelli che giocano sotto la sua guida, sono passati alla storia. Lo scapolo che si ritrova una brutta pelle venne ammesso alla Famiglia per adempiere alle sue funzioni di marito e di padre, e infine anche di nonno. Se, però, la sua prestazione è scarsa, allora può essere eliminato per far posto a un'altra persona più in grado di lui di guadagnare il pane per tutti, o a qualcun altro che abbia una più solida posizione sociale. In base a questa legge spietata, si trovano a volte famiglie capaci di sopravvivere per interi secoli ad ogni tipo di sventura e di calamità. Ci capita sempre di vedere squadre infiacchite da una serie di stagioni negative, dal licenziamento dell'intera panchina e dal continuo rimescolamento di giocatori. Quest'esempio ci permette di osservare che, anche se la squadra è costituita come un collettivo, il rapporto del presidente nei suoi confronti, può essere del tutto strumentale. Se la società perde non solo partite ma anche soldi, egli potrà venderla e aprire, al suo posto, un'industria di maglieria per signora. È il denaro, ovviamente, l'emblema più puro e perfetto della strumentalità, e per questa ragione, malgrado sia universalmente desiderato, è sempre stato disprezzato dai migliori. Ovviamente, il vero tifoso pensa alla squadra in termini di reciprocità, e, attraverso di essa, la collettività partecipa alle sue alterne vicende, mantenendosi alla stessa temperatura, come se i suoi sostenitori avessero lo stesso cuore. Anche il sangue diventa un veicolo unificante quando la comunità si autodefinisce un organismo comune, come un parco pubblico o una biblioteca che è di tutti e non appartiene a nessuno. Se mi ferisco un braccio, mi dispiace; mi preoccupo; lo curo, faccio rimarginare la ferita; e anche se mi ha causato dolore, non lo amputo. Solo quando l'intero organismo ne è minacciato, si raccomanda quel rimedio. Quella perdita verrà però rimpianta e giudicata irrevocabile. Analogamente, se la pelle dello scapolo ha nuove eruzioni, e se le sorti dei suoi familiari peggiorano per colpa sua, egli non va cacciato di casa. Vanno invece scoperte le ragioni della sua felicità di prima, viene ripristinata la salute dei suoi affari, e in questo modo favorito il benessere della sua famiglia. L'esilio, per come sto tentando di definirlo, non è una condizione plausibile per chi cerca di strumentalizzarlo. Io posso naturalmente separarmi dalla mia canna e dal mio rocchetto, dal mio vitto assicurato, o dalla inia settima moglie, e questa separa-
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