IL CONTESTO e i comportamenti cui si è assistito nel Palazzo e nelle piazze concorrono evidentemente calcoli e ragioni di ordine diverso, ideologiche e politiche nel senso più angust? e meno limpido del termine. Ma non è questo che qui interessa. E più importante, più difficile e interessante, credo, provare a capire e a vigilare. Una vigilanza intellettuale ma anche pratica, politica nel senso invece ampio e alto del termine, è l'unico compito degno per chi ha a cuore il destino di questo paese e dei suoi abitanti. Uso questo termine antipatico - vigilanza - perché mi sembra che nelle attuali condizioni sociali, culturali ma anche psicologiche, una più o meno profonda crisi economica non possa in nessun modo favorire quel processo di ricostruzione di uno spazio politico democratico che in Italia è urgente dopo la stagione dell'ideologia e della partitocrazia. E anzi sono proprio le qualità e le virtù che stanno alla radice della democrazia le prime vittime designate della crisi - nella sua peculiare forma italiana cui ho accennato, con l'intreccio tra recessione economica, delegittimazione politica e crisi morale. L'espressione di questo pericolo non sta solo nelle violenze razziste, nei successi:leghisti, nelle marce neofasciste. Emerge piuttosto in tutti quégli episodi in cui questo paese - e i gruppi, le classi, le persone che lo costituiscono- sembrano consumare ogni forma di coesione e di comunicazione, ogni elemento di comune identità. Per questo, al di là delle opposte e diversamente condivisibili ragioni, i bulloni contro i sindacati hanno una radice molto prossihia al voto secessionista del profondo nord, e persino le resurrezioni estremiste o neofasciste praticano forme e linguaggi non troppo dissimili. Per l'oggettivo declino dei valori che innervano qualunque dimensione di convivenza civile e animano qualunque democrazia, che si aggiunge alla Manifestazioni di questi giorni (foto Brogi /Germogli/Contrasto). storica carenza, nell'immutabile Dna di questo paese, dei caratteri che immunizzano dal virus dell'egoismo asociale, dei particolarismi, della mancanza di senso civico e di responsabilità collettiva. L'ilare e ipocrita serenità con cui il nostro sottile presidente del consiglio annuncia la catastrofe, la rabbiosa difesa delle rendite e dei privilegi che scatena, la sollevazione delle corporazioni, la fuga- solo minacciata?- dei capitali e la corsa a salvare le proprie inutili "conquiste", la protervia degli evasori e la denuncia rituale dei "traditori", il revival di ideologie vecchissime o pseudonuove sono solo alcune delle maschere di quella commedia che gli italiani recitano anche nei momenti più drammatici. Senza alcuna razionalità e con l'aria di aspettare sempre qualche demagogo che bruscamente metta fine alla sceneggiata. Questo è il pericolo dei nostri tempi difficili. Non tanto, dunque, le scene di dickensiana povertà che qualcuno evoca; anche se la straordinaria tenacia e la maramaldesca viltà (ma forse è solo mancanza di fantasia ...) con cui si colpiscono sempre gli stessi gruppi sociali provocherà prima o poi persino risultati del genere. Non tanto la fine dello Stato sociale che comunque, nella sua grottesca configurazione assistenziale affermatasi nell'Italia democristiana, non può che accompagnare lo sfascio del blocco sociale che ha nutrito. Ma ancora prima la caduta della socialità, la disgregazione del tessuto civile di questo paese con l'esplosione e l'illimitata affermazione dei suoi diversi poteri, vizi e interessi. E la chiusura invece di ogni spazio di riflessione, di comunicazione e trasformazione reale. Bisognerà riparlarne, e intanto fare attenzione a quello che succede in profondità, dietro l'ingannevole superficie dei rituali e degli attori politici. Nel rimescolamento di umori, identità, mentalità che questa crisi accelera si mostrano i tratti del nostro futuro. Comprenderli è necessario, anche per combatterli.
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