ILCONTESTO Questo articolo viene pubblicato contemporaneamente sulla rivista palermitana "Segno" (n. I38), diretta da Nino Fasullo. Vincino, il più acuto analista politico della città di Palermo, ha scritto in un suo disegno ("Cuore", n. 78, 27 luglio 1992): "Voi non conoscete i nuovi giovani di Palermo. Gente nata in Europa, che legge due o tre quotidiani nazionali, informati su tutto, dalle ultime novità tecnologiche agli ultimi tipi di computer; gente che sa tutto di ecologia, dell'ultimo romanzo americano come dell'ultimo libro della Feltrinelli e della Sellerio, gente dolce, calma, misurata, democratica e incazzatissima". E concludeva: "Come si fa ad avere 20 anni sotto il regno dei Madonia ?". Vincino riscrive, attraverso quell'interrogativo, la più classica delle contraddiz.ioni marxiane: la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive ("nuovi giovani" che leggono due o tre quotidiani, curiosi di tutto, dal1'informatica ali' ecologia, consapevoli e ribelli) e rapporti di produzione ("il regno dei Madonia", i I sistema politico-criminale a Palermo). Ovvero il contrasto, atroce fino al dramma, tra intelligenza colletti va, bisogni sociali e volontà di emancipazione, da un lato, e dominio della criminalità organizzata, dall'altro. Cito Vincino perché ciò che dice corrisponde a quanto io capisco di Palermo - dal momento che non vi risiedo regolarmente - e a quanto io credo di scorgere negli studenti che frequentano i corsi della facoltà di Magistero. Ma scorgo quasi solo questo. Da qui la mia riluttanza a scrivere di Palermo: tanto poco la conosco e tanto poco la capisco. Dunque, la mia può essere solo la testimonianzadi uno scoramento, c!ifficile a dirsi perché comporta una dichiarazione di sfiducia indirizzata a gente sfiduciata, un messaggio di non speranza inviato a chi è indotto, da tutto e tutti, a disperare. E, tuttavia, il ragionamento che intendo fare è politico: a Palermo non vedo percorsi e modalità di mobilitazione efficace perché su tutto prevalgono, a mio avviso, due contraddizioni irrisolvibili. O, almeno, che a me appaiono non risolvibili: la contraddizione del garantismo e la contraddizione del populismo. Mi spiego. Ritengo, da circa un quindicennio, che il garantismo 4 C'è speranza a Palermo? Luigi Manconi Foto di Eligio Pooni (Contrasto). sia un sistema di regole e di procedure, di diritti e di garanzie e, insieme, un fondamentale valore che deve orientare la lotta sociale e politica. Ebbene, mi sto convincendo che ciò sia improponibile a Palermo. Da anni, a Palermo e per quanto riguarda Palermo, "sto con Di Lello" e col solo Peppino di Lello: e tuttavia mi sembra una linea così minoritaria che solo un magistrato valoroso, e impegnato in prima linea come lui, può adottarla. Per intenderci, quando Antonino Caponnetto dice che a Palermo ci vuole l'esercito, io inorridisco: "ma lo dice Caponnetto", e io capisco di non poter contestare tale frase con gli stessi argomenti con i quali contesterei una analoga dichiarazione riferita a un'altra autorità (politica, istituzionale, morale). In altre parole, non si può criticare il parere di Caponnetto solo con argomenti razionali, dal momento che la sua opinione appare autorevole e persuasiva non perché argomentata o perché dotata di una sua logica interna, ma perché espressa da quella persona e in quella circostanza. E, soprattutto, perché quell'opinione risulta, in determinate condizioni, indiscutibile e inconfutabile. Come discutere e come confutare, infatti, un'opinione che sembra non avere alternative? e che sembra davvero l'unica, date le circostanze?La dittatura delle circostanze - spesso richiamata come un regime che non ammette repliche, alternative e vie d'uscita - nel caso di Palermo si impone con una forza ancora maggiore. Più che nel caso del terrorismo: allora, nei confronti dei militanti della lotta armata, agivano anche delle componenti di sotterranea (e indicibile) "simpatia"; o di mancata ostilità. O di contorto riconoscimento di motivazioni non solo criminali. Questo rendeva più difficile per i non garantisti reclamare misure d'emergenza e leggi speciali.E, tuttavia, è stato fatto. Nel caso della mafia, l'odiosità senza attenuanti dei nemici-mafiosi rende quelle "circostanze eccezionali" un argomento così irriducibile da non consentire discussione: e tanto è maggiore e assoluta quell'odiosità - tanto deve dirsi maggiore e assoluta - tanto più richiede provvedimenti "bellici". Come l'esercito in Sicilia. O la "lotta armata contro la mafia" (che non è un "auspicio", ha precisato Nando Dalla Chiesa su "L'Unità" del 11.9.92, ma potrebbe trasformarsi in una "necessità", dal momento che "le soluzioni di fronte alle quali si trova un popolo aggredito da una dittatura armata, storicamente sono due: o difendere la propria libertà pagando prezzi altissimi o cedere la propria libertà"). Chi, come me, nel decennio '77-86 ha cercato di lavorare per il rispetto delle garanzie (di tutte le garanzie) nei confronti dei militanti della lotta armata (di tutti i militanti della lotta armata), oggi si trova imbarazzato a rivendicare la stessa tutela giuridica per Pippo Madonia. Sia chiaro: non dubito che sia giusto e, forse, persino produttivo - dal punto di vista teorico come da quello pratico - garantire quella tutela, ma non mi sento in grado-dal punto di vista teorico come da quello pratico - di argomentarlo a Palermo. (Analoghe considerazioni ha svolto Andrea Colombo in un articolo, "Scacco al garantismo", pubblicato dal "Manifesto" del 26.8.92). Non mi riferisco solo al garantismo giuridico e processuale. Parlo anche di garantismo politico: e, dunque, delle forme e del linguaggio della lotta politica. Nella lotta politica, il deficit di garantismo può manifestarsi in modi opposti e speculari: a) come ricorso a strumenti giudiziari manovrati sommariamente a fini politici; b) come ricorso a mezzi plebiscitari sul piano sociale (tramite la "mobilitazione sentimentale" delle masse) o sul piano politicoistituzionale (tramite coalizioni di governo di tipo consociativo). Queste due differenti soluzioni vengono adottate, in genere, da gruppi diversi; ma talvolta vengono utilizzate - o alternativamente o contestualmente - dal medesimo gruppo. In ogni caso, si tratta di soluzioni che, tutte, presuppongono e riproducono una situazione di emergenza. È la situazione di emergenza-quella delle circostanze date - che sembra imporre la strategia emergenziale: nella lotta alla criminalità così come nella politica dei partiti, dei movimenti, delle istituzioni. Le norme anti-garantiste nei confronti dei mafiosi sembrano ispirarsi alla stessa logica che impone una soluzione consociativa per la giunta regionale siciliana. Io credo che questo sia un errore: ma, come ho detto, non sono in grado di oppormi a tale logica. Analogamente, ho difficoltà a esprimere i miei dubbi nei confronti del populismo anti-mafioso. E, infatti, "le ragazze di Samarcanda" che urlano il loro odio contro Salvo Lima appena morto suscitano in me reazioni contraddittorie: sto interamente dalla loro parte, dalla parte dei loro sentimenti e della loro disperazione (e delle ragioni del loro odio), ma devo dire che non condivido pressoché una sola parola di quanto dicono. E tantomeno condivido i frammenti di discorso politico rintracciabili in quelle parole e le linee di strategia politica che altri (militanti e dirigenti della Rete, in primo luogo) ne ricavano. (In proposito ha scritto cose molto giuste Ida Dominijanni sul "Manifesto" del 27.9.92). Non condivido, in particolar
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