Quando trovò la forza di lasciare il veicolo, si accorse della bambina, colore del rame, che, seduta sui gradini della prima capanna, lo stava osservando. "L'emporio?", chiese. Non sperava di essere compreso. Era sicuro dell'inutilità del suo stentato castigliano in un posto del genere. Inoltre, l'informazione, lì, era irrilevante; non c'erano molti posti dove cercare. Comunque ottenne una risposta: un dito infantile, verdastro, sporco di fango indicò nella sola direzione possibile. La tenda a catene11e sull'entrata di legno grezzo distingueva il negozio dalle altre costruzioni. "Hernandez", diceva il laconico cartello, "Provviste". Gli ci volle un po' per abituarsi alla penombra. Mantenne scostate alcune delle listerelle metalliche, per uno o due minuti, facendo entrare il bagliore esterno. Poi le lasciò ricadere. Andò a sedersi vicino a una delle pareti laterali. Il locale era piccolo, una di quelle stanze improvvisate dalla pianta capricciosa in cui blocchi di cemento si mescolavano a mattoni d'argilla e di terracotta e alla pietra. Un cane pigro che andò ad annusargli gli stivali precedette il padrone, un indio, nient'altro che un indio, come lo definì il forestiero, Hernandez, senza dubbio. "Buon giorno", disse Keller. "Buon giorno", rispose l'altro. "Cosa posso servirle?" "Birra, se ne avete". "Certo, certo, bina, arrivo ...". Ritornò senza fretta con una bottiglia scura. Il tappo venne via senza rumore. Il liquido ne uscì senza brio, tristemente. "Il camion che la porta", spiegò l'uomo, "la guasta". Era fredda. "Sono venuto a far visita a una persona", si decise Keller al secondo bicchiere, vedendo che l'indio non se ne andava. "Gliene porto un'altra?", prese tempo Hernandez, facendo finta di niente. "D'accordo". Mise la bottiglia e un altro bicchiere sul tavolo, senza ritirare il primo, e riprese la conversazione a modo suo. "È venuto a trovare il suo compatriota, non è vero?". Keller si sorprese, come se la deduzione di Hernandez, considerando il suo colore, la statura, l'accento, fosse stata difficile. "Braun", disse. "Vive qui?". "Io lo conosco con un altro nome, però è un tedesco anche lui, più o meno della vostra età". "Dev'essere lui", suppose Keller. "Vive solo?". Scostandosi dal tavolo per mettere la mano nella tasca dei pantaloni, il nuovo venuto lasciò vedere la pistola che portava alla cintura. Gli occhi del commerciante scrutarono l'arma e, alla fine, si fissarono sul biglietto da 20 dollari che aveva originato il movimento. "È vedovo, se questo è quello che le interessa. La moglie è morta da poco di febbri". Rimasero zitti, misurando la loro scontrosa complicità. "Vada a dirgli che Keller vuole parlargli ..., preferisco avvisarlo. Le darò un altro di questi" chiese il tedesco. STORIE/VA%QUEZ RIAL Hernandez abbassò la testa e si grattò la nuca, valutando la transazione. "Va bene", accettò. "Vado". Keller rimase solo. Il cane sonnecchiava in un angolo, esausto, con la enorme lingua che toccava il pavimento di cemento. L'indio ritornò e lui non aveva cambiato posizione. Non aveva neppure lasciato il bicchiere ormai tiepido. "Venga", lo sollecitò il suo messaggero dalla porta. "Il suo amico non può uscire. È a letto, ammalato". Adesso era il messaggero di Braun. Keller si alzò e uscì seguendo l'uomo. Non percorsero più di trenta metri. "È qui", disse Hernandez davanti alla porta della seconda casa. Prese il denaro di Keller senza un gesto, un sorriso o una espressione che lasciasse intuire alcunché, fece mezzo giro e si diresse verso il suo negozio, scomparendo dietro la tenda. Keller bussò alla porta. "Entra" sentì dire. Non c'era chiavistello, bastava spingere il battente. Entrò. Nudo, solo col ventre e il sesso coperti da un pezzo di tela rustica, telone o sudario che faceva le veci di un lenzuolo o coperta, Braun si era seduto sul bordo della branda da campo che occupava il fondo della stanza. Si manteneva eretto con difficoltà, i piedi sul pavimento e le mani appoggiate alle coscie. Libri e vecchi giornali tedeschi, ammucchiati contro le pareti, si erano coperti di polvere. Un Braun giovane, in divisa, sorrideva da una cornice dorata, sopra l'unico tavolo. Di fianco a lui, il ritratto di una donna bionda, seria, dalle belle labbra socchiuse. "Volevi parlarmi, mi han detto". Keller avvicinò una grossa seggiola di vimini al letto dell'altro ma non vi si sedette. Aveva preso la fotografia della donna e la studiava con attenzione. "Che strano", disse. "Ho pensato tanto a lei senza ricordarmi come era realmente ... Era così?". "Era così", confermò Braun, "quando hai smesso di vederla". Cioè poco prima che Von Paulus rovinasse tutto, pensò Keller, ma disse: "Poco prima che tu mi facessi mandare al campo perché il lavoro mi rendesse libero. E mi ha reso libero. Sono uscito da lì ridotto pelle e ossa ma nessuno mi ha più perseguitato. Anzi". "Sei venuto per uccidermi, Keller? Perché ci hai messo tanto?". "Ti sei sposato con Gerta alla fine?" proseguì Keller come se non lo avesse sentito. "Sì, ma non capisco perché me lo chiedi. Se sei qui è perché sei riuscito a scoprire molto sulla mia persona". "Voglio che tu me lo racconti". "D'accordo. Ci sposammo. Io ero cittadino paraguayano. Il matrimonio serviva a proteggerla". "Solo a proteggerla? Mi era parso che significasse molto per te, che mi avessi condannato per poter restare con lei, col suo amore, diciamo". "In più volevo proteggerla. Mi sembra logico, no?". 57
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==