STORIE/GOMBROWIC:Z intima del suo autore - e abbiamo l'impressione che certi aspetti di questa vita siano deliberatamente nascosti, volutamente taciuti e perfino in parte mistificati - ma l'interesse delle sue pagine sta proprio nel fatto che si occupano meno dei fatti che dei problemi. È chiaro che, a differenza della narrativa, il diario Witold Gombrovicz. non può sfuggire alla questione della sincerità e che, mentre la fiction esige soltanto la verosimiglianza, da un diario intimo ci si aspetta la verità. Ma la sincerità di Gombrowicz, la sua autentica originalità, si manifesta nella maniera di affrontare i problemi che tratta. E le sue allusioni personali, quando non sono mere descrizioni di fatti quotidiani senza importanza, appaiono già trasformate in problemi, in esempi di un dibattito intellettuale. I quattro Io successivi dell'inizio furono aggiunti appositamente per l'edizione in volume. E a un certo momento, dopo aver riportato con minuzia una serie di banalità, finisce dicendo, come se fosse una spiegazione: questo è per coloro a cui potrebbe interessare la mia vita. Il diario di Gombrowicz non è un pretesto per l'introspezione, ma per l'analisi, la riflessione e la polemica. Come è noto, la maggior parte del Diario fu scritta in Argentina. Per ragioni inesplicabili, esiste una sezione chiamata Diario argentino e pubblicata alcuni anni fa a Buenos Aires. Questo smembramento è assurdo per la semplice ragione che tutto il diario è argentino, giacché anche se una parte fu scritta dopo il suo ritorno in Europa e decine e decine di pagine non fanno il minimo riferimento all'Argentina, la ragion d'essere del Diario è l'esperienza argentina, la singolare condizione di isolamento del suo autore poiché, anziché un modo per chiudersi in se stesso, il Diario di Gombrowicz è il campo della battaglia contro questo isolamento. Coloro che meno dovrebbero desiderare l'assurdo smembramento del preteso Diario argentino sono in primo luogo gli argentini, dato che possono essere i più capaci di percepire la risonanza speciale che acquistano i giudizi di Gombrowicz sulla cultura occidentale quando sono proferiti nel contesto argentino. L'intreccio unico dell'avventura witoldiana, la sua lezione fondamentale, consiste nell'iperbole del suo destino, che lo portò da una marginalità teorica e relativa a una reale e assoluta. Da questa marginalità uscì la sua vita, il suo materiale e la sua forza. Siano argentini o no, coloro che leggano il Diario o Transatlantico non leggeranno solo un autore chiamato Gombrowicz, ma leggeranno anche, e non soltanto tra le righe, l'Argentina. 54 MENDOZA Witold Gombrowicz traduzione di Francesco M. Cataluccio Ecco il carnevale! Maschere, arlecchini, Pierrot, mostri illuminati dalla luce delle lampade sotto una pioggia di coriandoli e tutta quella folla sudata che cerca di "consumare" il carnevale. L'argentino (che è nato di domenica e in genere non muore dalla voglia di lavorare) non lavora mai così duramente come quando si diverte. Loro recitano questa festa, come se non fosse loro, recitano il carnevale, inventato da qualcun altro e imposto. Assieme al colonnello ci muoviamo in mezzo alla mischia e alla folla come ubriachi, anche se non lo siamo: un'imitazione degli ubriachi. Ad un tratto qualcuno mi afferra per una mano. È Canal Fejhoo! Il grande scrittore argentino che, come tutti loro, si dà da fare per decifrare la personalità del popolo e rispondere al principale quesito della letteratura argentina: chi siamo? Qual è la nostra realtà? A nord del paese, dove meno forti sono i segni dell'influsso degli immigrati questi quesiti sono un'ossessione, e si aggiungono ad essi altri, dolorosamente complicati: perché non siamo originali? Perché l'America Latina non è creativa? Perché non abbiamo grandi personalità, geni, perché dobbiamo copiare tutto dall'Europa o dagli Stati Uniti? "Finché non scopriremo la nostra vera essenza," mi spiegò uno di Santiago, "non saremo capaci di esistere pienamente". E cercano anche appassionatamente la loro essenza nei propri predecessori, indiani, spagnoli, nel labirinto delle razze, dei retaggi, delle culture, che si sono incrociate. A volte, l'odio per l'Europa, il desiderio di una propria realtà, li porta alla stupidità. "A noi le teorie di Freud non sono necessarie" mi spiegò uno studente dell'Università di Tucuman, "sono un prodotto europeo, qui siamo in America!" Per parte mia ho provato a spiegar loro che l'essenza di un popolo o di un uomo non emergono da laboriose analisi, ma soltanto dall'azione. "Cominciate ad agire" glidicevo," non preoccupatevi degli schemi.Allora scoprirete chi siete. Non rendetevi ridicoli con l'assunto teorico che siete così e così e allora la vostra arte deve essere conseguente. L'arte, come l'uomo, è imprevedibile per se stessa. Non fate letteratura secondo programmi, cominciate a scrivere liberamente, non occupandovi di cultura, retaggi, teorie, scrivete col massimo di sfrontatezza e di audacia. Allora davvero saprete di cosa siete capaci. Non si può essere creativi secondo un programma". Quante volte, mentre dispensavo questi sani consigli mi veniva in mente la Polonia, dove si creava secondo programmi ... Il polacco di oggi si vede anche lui intimato con forza "come dovrei essere" e secondo quella ricetta marxista si accosta alla viva, incalcolabile, creatrice individualità del popolo. Ah,le teorie! Ah, quelle maledette carte che ci nutrono di astratto intellettualismo. Quando infine saremo anche noi liberi di vivere un po' per comprendere finalmente che cosa vogliamo e non vogliamo dalla vita. E mentre qui, in America, una gioventù sprovveduta cerca delle soluzioni cartacee, anche là, noi polacchi, siamo soffocati dalla teoria, dall'ideologia, dal sillogismo e dall'astrazione. L'eterno annusare i fiori con lo spirito e non col naso, con
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