METAFORE RADICALI Incontro con Adonis a cura di Fabio Gambaro Adonis è oggi il più grande poeta arabo vivente, le sue poesie sono tradotte in tutto il mondo e negli ultimi anni si è persino parlato di lui come di un possibile candidato al Nobel per la letteratura. Eppure, in Italia, questo libanese nato in Siria sessantadue anni fa, e in esilio a Parigi dal 1986, è ancora quasi sconosciuto. Alcune delle sue poesie sono state pubblicate in "Linea d'ombra" (n. 61, giugno 1991), ma perora si attende ancora una traduzione completa di opere come Canti di Miyarildamasceno (1961), Il libro delle metamorfosi e delle migrazioni nelle regioni del giorno e della notte (1965), Sepolcro per New York (1971), Il libro dell'assedio di Beirut (1985) e Adonis (archiv.io Sindbad, Parigi). Il desiderio che avanza nella geografia della materia (1985). In questi testi, Adonis, il cui vero nome è Ali Ahamad Said, ha dato prova di una straordinaria sensibilità poetica ed è stato capace di far lievitare una scrittura densa di significati, in cui, accanto alla lezione di una certa tradizione araba non dogmatica e antitradizionalista, ha saputo far proprie alcune suggestioni della poesia occidentale, da Rimbaud a Pound, da Valery ai Surrealisti. D'altronde, proprio lo scambio tra cultura orientale e cultura occidentale è sempre stato uno degli aspetti caratteristici della personalità di Adonis, il quale inoltre non si è mai sottratto all'impegno civile, lottando attivamente contro gli oscurantismi e le offese alla:libertà, fenomeni purtroppo assai frequenti nei paesi del Medio Oriente. Recentemente Mari etti ha pubblicato Introduzione allapoetica araba, in cui sono raccolte quattro lezioni che Adonis tenne a Parigi, al Collège de France, nel 1984. li poeta vi ripercorre le grandi tappe della poesia araba, discutendone tutte questioni cruciali: la differenza tra cultura orale e cultura scritta, l'influenza del Corano, il rapporto tra poesia e senso, il carattere necessariamente eversivo della poetica araba moderna e il difficile rapporto con la modernità occidentale. A conclusione del libro, Adonis propone pure una definizione della modernità poetica in lingua araba, che per lui deve essere sempre un'"interrogazione radicale che esplora il linguaggio poetico e apre nuovi spazi sperimentali alla pratica della scrittura. Una scrittura che di continuo rimette in discussione la civiltà araba e al contempo rimette in discussione se stessa". Può dirmi qualcosa della sua formazione culturale? Sono nato in un piccolissimo villaggio sulla costa siriana, un villaggio poverissimo in cui non c'era neppure la scuola. Così, ho potuto iniziare la mia esperienza scolastica solamente a dodici anni. Più tardi, dopo il liceo, ho fatto degli studi letterari e filosofici ali' università di Beirut. Nel 1960 ho passato un anno a Parigi, dove ho conosciuto molti poeti, tra cui Pierre-Jean Jouve, Yves Bonnefoy, Henri Guicochet, Alain Bosquet, Pierre Ernmanuel e tanti altri. Tutto ciò però non è molto importante, sono cose che non contano peruno scrittore. L'unica cosa importante è che ho iniziato a scrivere quando ero ancora molto giovane. Come mai ha scelto lo pseudonimo Adonis? È stato quasi per caso. In gioventù, scrivevo testi e poesie che nessun giornale voleva pubblicare. Verso il 1948, lessi la leggenda di Adone, identificandomi subito con quel giovane: egli veniva ucciso dal cinghiale, io invece dai giornali che non volevano pubblicare i miei scritti. Così, scelsi lo pseudonimo Adonis per mandare una mia poesia a una rivista, che quella volta lo pubblicò. Quando poi mi chiamarono in redazione, furono stupiti nel vedermi povero e vestito male: insomma niente a che vedere con l'immagine bellissima di Adone. In seguito, continuai ad utilizzare quello pseudonimo, rendendomi conto che inconsciamente volevo uscire dalla tradizione nazionalista che imperversava dalle mie parti. Più tardi scoprii che il mito di Adone è di origine mediorientale, importato solamente in seguito in Grecia: fui dunque molto contento di aver scelto questo nome, anche se all'inizio non mi ero reso conto della sua portata. Per altro, la scelta di uno pseudonimo non appartenente alla tradizione araba fu molto criticata, e i fondamentalisti islamici me lo rimproverano ancora oggi. Era già un segno dell'apertura della sua poesia verso la tradizione occidentale, che poi è sempre rimasta una delle sue caratteristiche ... Sì, dato che ho sempre voluto aprirmi e avvicinarmi all'altro, perché per me l'io senza l'altro non è nulla. L'altro fa parte dell'identità dell'io. È anche per questo che i fondamentalisti criticano il mio lavoro. Perché per me l'altro da sé è un'entità fondamentale, mentre per gli integralisti l'altro è il nemico. Quanto hanno contato i viaggi nel suo lavoro e nella sua formazione culturale? Viaggiare è sempre interessante, ma si perde anche molto tempo. Oggi infatti non viaggio più, non ho il tempo di farlo. In passato però i viaggi mi hanno sempre arricchito. Anche quando ha scoperto delle realtà che non le sono piaciute? Certo. Quando sono stato negli Stati Uniti ho scoperto un mondo che non potevo condividere, eppure è stato un viaggio utile e istruttivo, dato che ha permesso la nascita del Sepolcro per New York. Qui a Parigi oggi si sente in esilio? Sono venuto a Parigi nel 1986 per delle ragioni politiche. Beirut per me era diventata invivibile, non potevo più scrivere e lavorare, soprattutto dopo il 1983, l'anno dell'invasione israeliana. Un amico mi ha offerto di lavorare all' Unesco, così ho deciso di venire qui. Ma per quanto riguarda l'esilio, posso solo dire che si è sempre in esilio, anche quando si è a casa propria. Il poeta infatti è sempre alla ricerca e in movimento. Sente il bisogno di ritornare? Certo mi piacerebbe, ma per il momento ci sono troppe difficoltà materiali e politiche. So bene che la mia personalità, le mie prese di posizione, il mio lavoro poetico dividono il mondo arabo: alcuni mi amano molto, mentre altri mi detestano. I fondamentalisti e gli integralisti islamici mi hanno sempre criticato aspramente, come io 45
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